Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30929 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. II, 29/11/2018, (ud. 03/07/2018, dep. 29/11/2018), n.30929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9862/2014 R.G. proposto da:

B.F., rappresentata e difesa dall’avv. Massimo Balì e

dall’avv. Pierfrancesco Bruno, con domicilio eletto presso

quest’ultimo in Roma, Via Belli n. 39.

– ricorrente –

contro

Be.Lu., e Be.Fi., rappresentati e difesi

dall’avv. Emanuele Mazzocchi e dall’avv. Simona Latini, con

domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, Via Montaione n. 26.

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1006/2013,

depositata in data 13.5.2013.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3.7.2018 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Be.Lu. e Fi. hanno adito il tribunale di Aosta, chiedendo la condanna di B.L. a ripristinare una servitù di passaggio dalla larghezza di mt. 6, costituita in favore della loro proprietà con atto del 6.11.2003.

Gli attori aveva acquistato da M.D. taluni fondi agricoli siti nel Comune di Saint Michel, e contestualmente alla vendita, il convenuto aveva concesso una servitù di passaggio pedonale e carrabile sul mappale (OMISSIS), dietro il pagamento di un’indennità di Euro 500,00. Circa sei mesi dopo, il Comune di Saint Michel aveva comunicato la pendenza di una procedura espropriativa che interessava il fondo servente e che avrebbe inciso anche sulla servitù, riducendo la larghezza del tracciato asservito.

Sull’assunto che il titolare del fondo servente fosse a conoscenza della procedura ablatoria e che essa avesse determinato l’interclusione del fondo dominante, gli attori hanno chiesto la condanna del B. a costituire sui mappali (OMISSIS), la servitù di passaggio su un tracciato dalla larghezza di mt. 6

In corso di causa B.L. è deceduto e la causa è proseguita verso gli eredi.

Il Tribunale ha accolto la domanda e ha costituito la servitù, senza indennità, sul tracciato dalla larghezza di mt. 6 individuato dalla consulenza tecnica d’ufficio.

La pronuncia è stata confermata dalla Corte distrettuale la quale ha ritenuto i resistenti avessero diritto alla tutela reale del diritto di passaggio e che l’esproprio avesse ridotto la larghezza del percorso asservito, dovendosi quindi ripristinare la servitù conformemente al titolo. Ha stabilito che il B. era a conoscenza dell’esproprio già al momento del contratto costitutivo della servitù e che non aveva reso alle controparte “ogni informazione rilevante ai fini della costituzione della servitù”, pur essendovi tenuto.

Per la cassazione di questa sentenza B.F. ha proposto ricorso in 5 motivi, illustrati con memoria, cui Be.Lu. e Fi. hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 342,112 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, lamentando che la Corte distrettuale abbia ritenuto inammissibile il primo motivo di appello, benchè l’appellante avesse argomentato le proprie tesi sostenendo che il Tribunale aveva ordinato la ricostituzione della servitù con la larghezza originaria del tracciato, trascurando che tale statuizione non poteva essere eseguita, poichè la ricorrente aveva alienato il fondo servente in corso di giudizio.

Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 111 e 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza dichiarato inammissibile il primo motivo di impugnazione non considerando che la ricorrente aveva contestato specificamente che la pronuncia di primo grado aveva accordato alle controparti una tutela obbligatoria, condannandola ad un facere insuscettibile di attuazione, data l’intervenuta alienazione dei fondo gravato, e per aver mal applicato l’art. 111 c.p.c., avendo ritenuto che, a seguito della vendita del fondo servente, fosse possibile condannare l’alienante ad un facere riguardante il bene venduto.

I due motivi, che necessitano di esame congiunto, sono fondati.

La ricorrente aveva denunciato in appello che la sentenza di primo grado, nel porre a carico dell’appellante l’obbligo di procurare la costituzione della servitù con una larghezza costante di metri sei, le aveva imposto un obbligo incoercibile o non eseguibile spontaneamente, poichè il fondo servente era stato alienato a terzi. Le censura trascritta in ricorso (cfr. pag. 13), sottoponeva – quindi al giudice del gravame, sia pure con argomentazioni succinte, un quesito specifico concernente la portata del decisum, la sua coerenza rispetto alla natura della domanda proposta dai Be. e, soprattutto, gli effetti derivanti dalla cessione del fondo servente nella pendenza del giudizio, evidenziando le ragioni di dissenso rispetto alla pronuncia del Tribunale, che sul punto si era espresso in poche righe, soffermandosi esclusivamente sull’opponibilità della pronuncia nei confronti dell’acquirente del fondo.

La Corte distrettuale ha ritenuto che l’appellante si fosse limitato a riproporre le medesime argomentazioni già disattese in primo grado ed ha giudicato inammissibile la censura.

Il motivo di appello era tuttavia – come si è detto – sufficientemente specifico e rispondeva ai requisiti previsti dal disposto dell’art. 342 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. 0a)).

Nel giudizio di appello la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso l’enunciazione di specifici motivi. Tale requisito esige che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle dell’appellante, dirette ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime con sufficiente grado di specificità, da correlare con la motivazione della sentenza impugnata (Cass. 10401/2001; Cass. S.U. 28498/2005; Cass. s.u. 16/2000; Cass. 3805/1998; Cass. 8297/1997), ma ciò è possibile anche mediante la deduzione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè, come è accaduto nel caso di specie, ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure (Cass. s.u. 28057/2008).

1.2. Affermata l’ammissibilità del primo motivo di appello, ne va però dichiara l’infondatezza, potendo la questione esser definita nel merito, non occorrendo compiere accertamenti in fatto.

La domanda proposta dai resistenti era volta ad eliminare gli effetti pregiudizievoli prodotti dall’esproprio di una porzione del fondo servente e a ricostituire l’originaria ampiezza del tracciato asservito secondo le prescrizioni dell’atto costitutivo.

La sentenza di primo grado ha disposto il ripristino del diritto con le modalità ed il tragitto individuati dal consulente.

Per dare concreta attuazione a quanto deciso, era irrilevante che il fondo servente fosse stato ceduto in corso di causa.

L’art. 111 c.p.c., si applica tutte le volte che il trasferimento in corso di causa per atto “inter vivos” della “res litigiosa” riguardi gli immobili interessati dalle vicende di causa, allorquando gli effetti del provvedimento giurisdizionale siano destinati a prodursi nella sfera giuridica di soggetti diversi da quelli che rivestivano inizialmente la posizione di attore o convenuto e ciò anche riguardo alle posizioni di obbligo connesse alla successione nella titolarità di un diritto reale (cfr., Cass. 10563/2001, nonchè, in motivazione, Cass. 3643/2013). Il soggetto condannato ad un “tacere” mediante esecuzione di determinate opere su un immobile trasferito ad altri, non perde in conseguenza del trasferimento del bene la legittimazione passiva all’azione esecutiva ai sensi dell’art. 2909 c.c. e artt. 474,475 c.p.c., potendo la successione a titolo particolare avere incidenza soltanto a seguito di una iniziativa del nuovo titolare del diritto sul bene, essendo consentito a costui di interloquire sulle modalità dell’esecuzione, ferma restando la validità e l’efficacia del precetto intimato al dante causa (Cass. 73/2003; Cass. 11272/1993; Cass. 11583/2005; Cass. 601/2003).

2. Il terzo motivo censura la violazione degli artt. 1079 e 1337 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che l’azione non poteva considerarsi di natura reale, poichè il contratto costitutivo della servitù era stato integralmente attuato, residuando la sola azione risarcitoria in forma specifica ricollegabile all’intervenuta espropriazione di parte del tracciato asservito, la quale, peraltro, era stata proposta subordinatamente all’accoglimento della richiesta di risoluzione del contratto costitutivo della servitù, abbandonata in corso di giudizio. In ogni caso, l’esproprio non aveva reso i terreni interclusi e non poteva esser ripristinata la servitù.

Il quarto motivo censura la violazione degli artt. 1337,1223 e 2058 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la sentenza abbia dato rilievo alla consapevolezza da parte della B. della pendenza del procedimento espropriativo al momento della costituzione della servitù, trascurando però che, configurandosi solo un illecito, la parte poteva ottenere il risarcimento del danno nei confronti della sola ricorrente e non anche verso l’acquirente del fondo servente, non essendo la domanda soggetta a trascrizione.

I due motivi, suscettibili di esame congiunto, sono infondati.

Si è detto che i resistenti avevano chiesto di eliminare gli effetti pregiudizievoli dell’esproprio parziale del fondo servente che aveva determinato l’interclusione dei terreni, volendo riottenere l’asservimento di un tracciato avente la medesima larghezza prevista dal rogito del 6.11.2003.

L’azione era volta al ripristino della servitù in tutta la sua originaria ampiezza e – in questi termini – non poteva considerarsi subordinata alla pronuncia di risoluzione per inadempimento del contratto, essendo chiaro l’intento dei resistenti di mantenere la condizione di asservimento nei termini inizialmente convenuti quanto alla larghezza del tracciato, risultato che poteva conseguirsi solo dando attuazione al titolo costitutivo (e che non sarebbe stato necessariamente assicurato dall’eventuale costituzione in via coattiva del diritto di passaggio).

La pronuncia impugnata, nel disporre la costituzione del diritto di passaggio sul tracciato individuato dal c.t.u., non ha, perciò, pronunciato sulle conseguenze risarcitorie ricollegabili all’esproprio e alla condotta tenuta dai contraenti nel corso delle trattative precontrattuali (il che rende inconferente la denunciata violazione di legge sostanziale), ma ha riconosciuto ai resistenti la “tutela reale del proprio diritto di servitù contrattuale nei termini pattuiti” (cfr. sentenza pag. 18), osservando che, pur avendo le parti stabilito l’ampiezza del tratto gravato dal diritto di passaggio, al momento del contratto era già in corso il procedimento ablatorio che avrebbe successivamente ridotto l’ampiezza della striscia di terreno asservita.

4. Il quarto motivo censura la violazione del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte di merito liquidato le spese di lite prescindendo dall’ammontare dell’indennità di asservimento e delle spese necessarie alla costituzione della servitù, che non superava l’importo di Euro 5200,00.

Il motivo è infondato.

Ai sensi del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, applicabile ratione temporis, la liquidazione dei compensi del difensore della parte vincitrice doveva essere effettuata in base al valore della causa, determinata a norma del codice di procedura civile.

Nella specie, discutendosi della ricostituzione del tracciato soggetto alla servitù di transito costituita per contratto e dell’ottemperanza del titolare del fondo servente alle previsioni degli accordi, la lite ricadeva nelle previsioni dell’art. 15 c.p.c. e il valore della causa, ove non determinabile in base al reddito dominicale, andava ricostruito in base agli atti o, in mancanza di elementi utili, doveva ritenersi indeterminabile ai sensi dell’art. 15 c.p.c., u.c., non venendo in considerazione il solo ammontare dell’indennità e i costi necessari per realizzare il percorso (Cass. 1562/1967).

Il ricorso è quindi respinto, con regolazione delle spese processuali secondo soccombenza.

Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater.

P.Q.M.

accoglie il primo secondo motivo di ricorso e, decidendo nel merito, rigetta il primo motivo dell’appello proposto dalla ricorrente avverso la sentenza di primo grado; respinge gli altri motivi di ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Si dà atto che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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