Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30926 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. II, 29/11/2018, (ud. 26/04/2018, dep. 29/11/2018), n.30926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2105-2014 proposto da:

L.G.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. RIBOTY 3,

presso lo studio dell’avvocato ANGELA GIUSEPPA SAVINA FURNERI,

rappresentata difesa dall’avvocato LUIGI MARIA CINQUERRUI;

contro

O.F., rappresentata e difesa dall’avvocato S.S.;

– controricorrente –

e contro

L.G.M.G., LO.GA.MA.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1710/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 26/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/04/2018 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CELESTE

Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo e per

l’assorbimento del secondo motivo del ricorso;

udito l’Avvocato LUIGI MARIA CINQUERRUI, difensore della ricorrente,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

Con atto di citazione notificato il 26.10.2001, L.G.R. citava in giudizio innanzi al Tribunale di Caltagirone O.F., L.G.G. e L.G.M. chiedendo dichiararsi l’usucapione di un piccolo vano sito in (OMISSIS) deducendo di aver esercitato il possesso sin dal 1963/63.

Si costituivano O.F. e L.G.G. contestando il possesso esclusivo dell’attrice e deducendo che ella aveva avuto la disponibilità del bene per mera tolleranza.

L.G.G. si costituiva ed assumeva che il bene era in compossesso con le convenute.

Con sentenza del 23.5.2009 il Tribunale di Caltagirone rigettava la domanda di usucapione proposta da L.G.R., sul presupposto che la medesima, agendo in qualità di compossessore, non aveva dimostrato di aver posto in essere un atto di interversione del possesso.

Interposto gravame da L.G.R., la Corte d’Appello di Catania, con sentenza depositata il 26.11.2012 rigettava l’appello, correggendo la motivazione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto che la L.G. avesse agito in qualità di compossessore; secondo il giudice d’appello, invece, ella aveva fatto valere il proprio possesso esclusivo, antecedente all’apertura della successione della nonna P.F.. In ragione dei rapporti familiari tra nonna e nipote, riteneva che il rapporto di fatto con il bene da parte della L.G. fosse fondato su un contratto di comodato e che la medesima non avesse provato il mutamento della detenzione in possesso. Secondo la Corte, le condotte invocate per provare il possesso (parcheggio del mezzo, deposito della legna ed attrezzi) potevano trovare giustificazione anche in altri rapporti obbligatori che danno origine ad una relazione di fatto con il bene. Quanto al possesso delle chiavi per accedere al vano, la cui disponibilità era stata dedotta dal marito della L.G. come risalente al 1977, data di sostituzione della saracinesca, la corte territoriale osservava che si trattava di comportamento non univocamente volto ad escludere il proprietario.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso L.G.R. sulla base di due motivi, resistito con controricorso da O.F., L.G.G. e Lo.Ga.Ma..

Disposta l’assegnazione alla Sesta Sezione Civile di questa Corte, il relatore ha formulato proposta di rigetto del ricorso, ritenendolo fondato solo su una diversa valutazione delle prove testimoniali.

Il ricorrente ha depositato memorie ex art.380 bis c.p.c.

La Sesta Sezione Civile, con ordinanza interlocutoria del 13.11.2014-2.2.2015 ha ritenuto non sussistenti le condizioni di cui all’art.375 c.p.c., ha rimesso la causa alla pubblica udienza.

Diritto

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 112,115 e 345 c.p.c. per avere la corte territoriale posto a fondamento della decisione i rapporti familiari tra nonna e nipote al fine di provare che la consegna del bene era avvenuta a titolo di comodato, nonostante l’assenza di allegazione e prova del titolo contrattuale. La sentenza sarebbe viziata da ultrapetizione, oltre che dall’errata presunzione che vi fossero buoni rapporti tra nonna e nipote, di cui non vi era traccia nel processo.

Il motivo non è fondato.

Il ricorrente muove dall’erroneo presupposto che integri il vizio di ultrapetizione la qualificazione della relazione di fatto con il bene, mentre è compito del giudice, sulla base delle allegazioni delle parti, qualificare il titolo in virtù del quale un soggetto ha la disponibilità del bene.

La relazione di fatto del bene può derivare da un rapporto obbligatorio, da una situazione di fatto corrispondente all’esercizio di un diritto o da una mera tolleranza.

L’attrice ha dedotto che la relazione del bene derivava dal suo possesso esclusivo, instaurato con la cosa ben prima della morte della nonna, proprietaria del medesimo, escludendo che le convenute fossero mai state nel compossesso del piccolo vano.

O.F. e L.G.G. hanno contestato il possesso esclusivo del bene da parte dell’attrice, deducendo che ella aveva avuto la disponibilità del bene per mera tolleranza mentre L.G.R. aveva allegato una situazione di compossesso.

La corte territoriale, sulla base delle allegazioni di parte attrice, ha correttamente escluso che essa avesse agito per la tutela di una situazione di compossesso, apparendo chiaro, sin dall’atto introduttivo che la domanda fosse basata su una situazione di possesso esclusivo. Poichè la relazione al bene era cominciato, quando la nonna era in vita, il giudice d’appello, con argomentazioni logico-giuridiche, in considerazione dei rapporti familiari, ha escluso che l’attrice abbia avuto la disponibilità ed il godimento del bene contro il volere della proprietaria nel godimento dello stesso. Da tale ragionamento, argomentava che la consegna fosse avvenuta in virtù di un contratto di comodato.

Non appare, pertanto, perinente il richiamo all’art. 112 c.p.c., che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., in relazione al “petitum” che va determinato con riferimento a quello che viene domandato nel contraddittorio sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che, in proposito, siano state sollevate dal convenuto, ma non concerne le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati quali “causa petendi” dell’esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti.(Cassazione civile, sez. 2, 10/05/2018, n. 11289; Cass. Civ., sez. 2, del 04/02/2016, n. 2209; Cass. Civ., sez. 02, del 13/06/2002, n. 8479; Cass. Civ., sez. 2, del 24/03/2011, n. 6757)

Nella specie l’attrice aveva chiesto dichiararsi l’usucapione sulla base del possesso esclusivo, mentre il giudice di merito ha ritenuto l’insussistenza del possesso, in quanto la relazione con il bene era scaturita da un rapporto obbligatorio, il comodato, escludendo che vi fosse la prova di un atto di interversione del possesso.

Nè può sostenersi che il ragionamento inferenziale sull’esistenza di un contratto di comodato sia stato arbitrario, poichè era basato su fatti allegati e provati, in virtù dei quali il giudice d’appello ha escluso che vi sia stata un’autonoma ingerenza dell’attrice nel godimento del bene.

Come più volte affermato da questa Corte, in tema di prova per presunzioni, nel dedurre il fatto ignoto dal fatto noto, la valutazione del giudice del merito incontra il solo limite della probabilità, con la conseguenza che i fatti su cui la presunzione si fonda non devono essere tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati secondo un legame di necessità assoluta ed esclusiva, ma è sufficiente che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità con riferimento alla connessione degli accadimenti, la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza, basate sull'”id quod plerumque accidit”. Ne consegue che, anche se il giudizio valutativo svolto dal giudice del merito sugli indizi è insindacabile, essendo il controllo di legittimità circoscritto alla verifica della correttezza logico giuridica del ragionamento seguito, tuttavia, in relazione all’utilizzo di massime o regole d’esperienza, anche in sede di giudizio di legittimità, si deve verificare che il giudizio probatorio non sia fondato su congetture, ovvero ipotesi non fondate sull'”id quod plerumque accidit” o regole generali prive di una sia pur minima plausibilità invece che su vere e proprie massime di esperienza. (Cassazione civile, sez. 3, 15/03/2018, n. 6387; N. 18665 del 2017)

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 246 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3 per avere la corte territoriale ritenuto che non vi fosse la prova dell’interversione del possesso sulla base delle dichiarazioni del teste M., nonostante la sua incapacità a testimoniare, perchè avente un interesse nella causa, come da sua stessa ammissione.

Il motivo non è fondato.

La Corte ha fondato la decisione non sulle dichiarazioni del teste M., che ha fatto risalire l’inutilizzabilità delle chiavi originarie al 1997 (mentre il D. aveva dichiarato che la sostituzione delle chiavi da parte della L.G. era avvenuta nel 1977-79) ma dalla circostanza che detto comportamento non era univoco nell’escludere il proprietario dal possesso, in quanto era volto alla sostituzione di tutta la saracinesca. Inoltre, secondo la corte non risultava dedotto o provato che la nonna avesse richiesto le chiavi e la consegna fosse stata rifiutata.

La ratio decidendi non si fonda sulla dichiarazione del teste asseritamente ritenuto incapace a testimoniare ma sull’idoneitò della sostituzione delle chiavi a costituire atto di interversione del possesso.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di lite che liquida in Euro 2500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge, iva e cap come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione seconda Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 26 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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