Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30923 del 22/12/2017


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 30923 Anno 2017
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: DE STEFANO FRANCO

ORDINANZA

Rep.

sul ricorso 23282-2015 proposto da:
RIZZELLA GIUSEPPE,

COLOMBO MARIO,

Ud. 16/11/2017

elettivamente cc

domiciliati in ROMA, VIALE DEI COLLI PORTUENSI 536,
presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA LUISA
REVELLI, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ERNESTINA LANCETTI giusta procura in
calce al ricorso;
– ricorrenti contro

COMUNE MENAGGIO , in persona del Sindaco pro tempore
ADOLFO VALSECCHI, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA SARDEGNA, 38, presso lo studio dell’avvocato
LUCIO NICASTRO, che lo rappresenta e difende

Data pubblicazione: 22/12/2017

unitamente

GIUSEPPINA

all’avvocato

CH.NUCCIA

QUATTRONE giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 903/2015 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 25/02/2015;

consiglio del 16/11/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO
DE STEFANO;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero,
in persona del Sostituto Procuratore generale ALBERTO
CARDINO che ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso;

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udita la relazione della causa svolta nella camera di

rilevato che:

la domanda di Mario Colombo e Giuseppe Rizzella per i danni
causati al proprio fondo – allagamento del terreno e crollo di un
manufatto, poi ricostruito a loro spese – dalla tracimazione di una
condotta indicata come comunale, proposta contro il Comune di
Menaggio con citazione notificata addì 08/09/2009 e con chiamata in

Tribunale di Como con sentenza n. 596/14, di condanna del
convenuto a pagare C 48.029, oltre IVA, accessori e spese di lite;
la Corte di appello di Milano, investita del gravame, dato atto
dell’acquiescenza del Comune al rigetto delle domande nei confronti
della sua assicuratrice, riformò la sentenza di primo grado ed escluse
il titolo di responsabilità individuato dal primo giudice nell’art. 2051
cod. civ. e respinse quindi le domande dei proprietari dei fondi
danneggiati, condannandoli alle spese in favore dell’appellante e
compensandole nei rapporti tra questi e l’appellata assicuratrice;
Mario Colombo e Giuseppe Rizzella ricorrono oggi, affidandosi a
tre motivi, per la cassazione della sentenza di appello, pubblicata il
25/02/2015 col n. 903; resiste con controricorso il Comune di
Menaggio; e, per l’adunanza in camera di consiglio, non partecipata,
del 16/11/2017, il Procuratore Generale conclude per iscritto per il
rigetto del ricorso e le parti depositano memorie ai sensi del
penultimo periodo dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ. [come inserito dal
comma 1, lett. f), dell’art. 1-bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv.
con modif. dalla I. 25 ottobre 2016, n. 197], ma il controricorrente
soltanto il 15/11/2017;
considerato che:

il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in
forma semplificata;
va preliminarmente riscontrato che la memoria del Comune di
Menaggio, pervenuta il 15/11/2017 in relazione all’adunanza fissata

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causa dell’assicuratrice INA Assitalia, fu accolta in primo grado dal

per il 16/11/2017, è inammissibile, in quanto irrimediabilmente fuori
termine: la richiamata norma dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ. fissa
quest’ultimo in dieci giorni prima della data fissata per l’adunanza non
partecipata in camera di consiglio onde garantire uno spazio minimo
non ulteriormente comprimibile per l’espletamento delle attività di

inammissibile una memoria che pervenga oltre quel limite e renda
quindi impossibile il pieno ed ordinato espletamento di quell’attività;
al riguardo, ben può applicarsi, attesa l’identità di ratio, pure a detta
memoria la giurisprudenza consolidata di questa Corte
sull’inammissibilità di quelle ai sensi degli artt. 375 o 380-bis cod.
proc. civ. pervenute in ritardo e finanche se a mezzo posta, tale
modalità essendo ammessa – ex art. 134 disp. att. cod. proc. civ. esclusivamente per ricorso e controricorso (Cass. ord. 10/10/2016, n.
20314; Cass. 19/04/2016, n. 7704; Cass. 31/03/2016, n. 6230;
Cass., ord. 20/10/2014, n. 22201; Cass. ord. 04/01/2011, n. 182;
Cass. 04/08/2006, n. 17726; anche dopo la novella del 2016, per la
memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.: Cass. ord. 10/08/2017, n.
19988);
ciò posto, si osserva che i ricorrenti si dolgono: col primo motivo,
di «violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2051 c.c., in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.»; col secondo motivo, di «violazione
e/o falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c., in relazione all’art. 360
n. 3 c.p.c.», sotto i profili di omessa gestione dello sviluppo del
territorio, di sostituzione della griglia originaria con altra inadatta, di
chiusura della finestra di ispezione del c.d. tombotto a valle; col terzo
motivo, di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 n. 5 c.p.c.»;
il primo motivo è infondato: correttamente la corte territoriale ha
concluso per la non appartenenza agli impianti comunali o pubblici
delle strutture per il convogliamento delle acque meteoriche sui fondi

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preparazione da parte del Collegio decidente e deve allora dichiararsi

privati, con conseguente esclusione della custodia da parte del
Comune su di essi;
il secondo motivo è del pari infondato: in punto di fatto – e quindi
con valutazione del materiale probatorio incensurabile in questa sede
(per tradizionale insegnamento, su cui, tra innumerevoli, v. Cass.
Sez. U. 12/10/2015, n. 20412) se, come nel caso, scevra da quei soli

gravissimi vizi motivazionali soli a rilevare dopo la novella del n. 5
dell’art. 360 cod. proc. civ. (su cui v. Cass. Sez. U. nn. 8053, 8054 e
19881 del 2014) – è stata esclusa la prova della necessaria specificità
e concludenza anche di un solo intervento da parte del Comune;
mentre correttamente è negata la responsabilità dell’ente territoriale
per l’immutazione dello stato dei luoghi ad opera di privati, alla
stregua dell’eccessiva genericità del richiamo ad un indifferenziato
obbligo di gestire lo sviluppo del territorio; ed effettivamente vaghe
sono le risultanze dell’istruzione, come tali apprezzate – anche in tal
caso insindacabilmente in questa sede – dal giudice del merito al fine
di escludere un sufficientemente affidabile nesso causale con i danni
verificatisi ed esposti dagli attori in primo grado;
il terzo motivo è del pari infondato: l’elemento dedotto è stato con
ogni evidenza considerato, sia pure in una visione complessiva, ma in
quanto tale del tutto consentita (tra molte, Cass. Sez. U. 02/12/2016,
2445, punti 14 g, 1

17/02/2017,

n. 4222, p.

reginni deila drosíono; Cass. Sez. U.

4 delle

ragioni della dedsíone) per

l’insussistenza di un obbligo del giudicante di dare conto specifico e
puntuale di ciascuna risultanza istruttoria (con l’avallo pure della
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo sulla non
necessità di una risposta ad ognuno degli argomenti dedotti dalle
parti: per tutte, Corte EDU, 21/03/2000, Dulaurans c. Francia, ric. n.
34553/97), nella valutazione di irrilevanza per genericità del
testimoniale sugli interventi anche come eseguiti a valle;

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\

né mutano tali conclusioni, in punto di incombenza sui privati
proprietari degli oneri di manutenzione del manufatto, gli argomenti
svolti o ribaditi in memoria (e nella limitata parte in cui essi non
sviluppino tesi nuove, inammissibili anche dopo la novella del 2016
con l’ultimo atto scritto di interlocuzione con la Corte in cui quella

privato e sottratto così – se non altro in linea di principio e fino
all’adozione di formali provvedimenti ablatori nel rispetto della
normativa sulla tutela della proprietà privata – alla peculiare signoria
sul bene richiesta per la responsabilità prevista dall’art. 2051 cod.
civ., quand’anche esso sia funzionale a scopi pubblici per i quali ultimi
un Ente pubblico abbia percepito entrate obbligatorie: e precisato che
nessun altro profilo di responsabilità – quanto all’omessa vigilanza
derivante da pretesi obblighi generali, che non rileverebbe però più ai
fini dell’art. 2051 cod. civ., ma di altre norme, non espressamente e
chiaramente invocate fin dal primo grado – è mai idoneamente,
ovvero con la dovuta precisione ed analiticità, prospettato dai
ricorrenti a carico del Comune;
il ricorso è pertanto rigettato e le spese del giudizio di legittimità
– esclusa dalla liquidazione l’attività difensiva relativa alla redazione
della non ammissibile memoria – seguono la soccombenza, dovendo
porsi a solidale carico dei ricorrenti, attesa l’identità della relativa
posizione processuale;
infine, deve darsi atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo
(tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez.
U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per
l’applicazione dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n.
115, inserito dall’art. 1, co. 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, in
tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e
per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito;
p. q. m.

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memoria si risolve), visto che un manufatto non cessa di essere

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, tra loro in solido, al
pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in C 4.100,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in C
200,00 ed agli accessori di legge.

inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 16/11/2017

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,

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