Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30922 del 22/12/2017


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Cassazione civile, sez. III, 22/12/2017, (ud. 16/11/2017, dep.22/12/2017),  n. 30922

Fatto

RILEVATO

che:

la domanda di D.T., proposta nei confronti del Comune di Cogoleto con atto di citazione del 13/11/2003 all’esito di procedimento di urgenza favorevolmente concluso dinanzi al Tribunale di Genova, per il risarcimento dei danni patiti al suo immobile (sito nel condominio ubicato in (OMISSIS)) e da lui ascritti ad un allagamento dovuto alla rottura di una conduttura comunale, fu accolta dal giudice di primo grado, ma, a seguito del gravame dell’Ente territoriale, respinta dalla corte di appello, che escluse il nesso causale per essere l’immobile già di per sè e da tempo esposto ad infiltrazioni;

per la cassazione di tale sentenza, pubblicata il 15/01/2015 col n. 45 e notificata il 19/05/2015, ricorre oggi, affidandosi a tre motivi e con atto notificato il 06/07/2015, il D.; resiste, con controricorso notificato il 10-15/09/2015, il Comune di Cogoleto; e, per l’adunanza camerale non partecipata del 16/11/2017, il controricorrente deposita la prova del completamento della notifica del controricorso;

considerato che:

il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata;

il ricorrente si duole: col primo motivo, “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere la sentenza impugnata omesso l’esame di un fatto storico decisivo risultante dalle consulenze tecniche disposte sia nel procedimento cautelare sia nel giudizio di merito”; col secondo motivo, di “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere la sentenza impugnata omesso l’esame di un fatto storico decisivo risultante dalle consulenze tecniche disposte sia nel procedimento cautelare sia nel giudizio di merito e dai documenti allegati al fascicolo della fase cautelare”; col terzo motivo, di “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione all’art. 2043 c.c. e art. 41 c.p., in applicazione del principio di causalità”;

il controricorrente, eccepita l’inammissibilità del ricorso in quanto fondato su di una diversa lettura delle risultanze probatorie, sostiene comunque che i danni esposti non fossero di per sè riconducibili causalmente all’evento ulteriore, pure ammesso, della rottura della conduttura, ma alle condizioni preesistenti dell’immobile: in tal senso leggendo la reiezione della domanda da parte dei giudici di appello;

il primo ed il secondo motivo sono inammissibili, perchè, nonostante la premessa sull’ambito del vizio disciplinato dal novellato dell’art. 360 c.p.c., n. 5, essi involgono la contestazione della lettura e quindi della valutazione della consulenza tecnica di ufficio e delle altre risultanze istruttorie: ciò che invece è sempre precluso in questa sede, a maggior ragione dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014), rimanendo comunque gli apprezzamenti di fatto se scevri, come lo sono nella specie, da quei soli ed evidenti vizi logici o giuridici ammessi dalle or ora richiamate pronunzie delle Sezioni Unite – istituzionalmente riservati al giudice del merito (tanto corrispondendo a consolidato insegnamento, su cui, per tutte, v. Cass. Sez. U., n. 20412 del 2015, ove ulteriori riferimenti);

il terzo motivo è inammissibile, ma sotto un diverso profilo;

poichè infatti la comparazione fra cause imputabili a colpa ed inadempimento e cause naturali è esclusivamente funzionale a stabilire, in seno all’accertamento della causalità materiale, la valenza assorbente delle une rispetto alle altre, non può operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità dell’apporto causale del danneggiante, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile (Cass. 21/07/2011, n. 15991; Cass. 06/05/2015, n. 8995), o, a maggior ragione, tra più concause naturali o comunque indipendenti dal fatto umano;

pertanto, non può accedersi alla tesi della risarcibilità autonoma dei soli danni riferibili ad una di più cause concorrenti (o del c.d. danno differenziale per una sola delle concause intervenute su di una situazione preesistente), per la contraria necessità di individuare e riconoscere quale fonte di esclusiva responsabilità quella tra le cause concorrenti che abbia avuto, ma appunto da sola, quell’efficacia determinante;

ma allora, per la verifica della correttezza della conclusione cui è pervenuta la corte territoriale, di esclusione del nesso causale tra evento danneggiante e danni in concreto esposti, sarebbe stato indispensabile – ma è invece mancato – un analitico riscontro, nel ricorso stesso e con indicazione di quando e con quali espressioni la relativa questione era stata sottoposta al giudice di secondo grado, dei danni stessi, in modo da evidenziare come e perchè quegli specifici per cui si agiva si riconducessero non alla conclamata preesistente situazione di precarietà del bene, ma, indicandone un’efficacia causale diretta ed esclusiva, all’evento traumatico che ad essa si era aggiunto o che in essa era intervenuto;

in sostanza, non è dato a questa Corte, stante la struttura del ricorso, apprezzare se e in quali termini la questione dell’efficacia causale diretta ed esclusiva dell’evento sopravvenuto – non rilevando un concorso con causa preesistente ai fini dell’individuazione della responsabilità, neppure una volta provato quel nesso esclusivo sotto il profilo del temperamento di una valutazione equitativa (Cass. 21/07/2011, n. 15991; Cass. 06/05/2015, n. 8995; o comunque solo marginalmente in sede di liquidazione, escluso sempre qualunque automatismo riduttivo, come rimarca Cass. 29/02/2016, n. 3893) sia stata prospettata con specifico riferimento a quegli specifici danni di cui era stato chiesto il risarcimento e che erano stati oggetto della domanda prima e della condanna di primo grado poi;

il ricorso è dichiarato inammissibile ed il soccombente ricorrente condannato alle spese del giudizio di legittimità;

infine, deve darsi atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2017

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