Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3092 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. I, 10/02/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 10/02/2020), n.3092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 33509/2018 proposto da:

S.O., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria

civile della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avv.

Daniele Porena in forza di procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione di

Firenze Sez. di Perugia;

– intimato –

e contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ex

lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 283/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 18/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, depositato il 20/12/2016, S.O., cittadino del (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Perugia impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, cittadino del Senegal, falegname, aveva raccontato di aver conosciuto un cittadino gambiano, omosessuale, con cui aveva intrecciato una relazione, assumendolo come collaboratore nel proprio laboratorio; che era arrivato nel villaggio un commerciante gambiano che aveva riconosciuto il connazionale e ne aveva pertanto rivelato alla comunità l’omosessualità; che la gente aveva iniziato a perseguitarli, sin che un giorno il suo compagno era stato aggredito, legato e picchiato; resosi conto di che cosa stava succedendo, era fuggito, rifugiandosi in Libia e poi in Italia.

Con decreto del 5/12/2017 il Tribunale di Perugia ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto dal S. è stato rigettato dalla Corte di appello di Perugia, a spese compensate, con sentenza del 18/4/2018.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso S.O., con atto notificato il 15/11/2018, svolgendo tre motivi.

Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 3, comma 3. La Corte di appello, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria fondata sul conflitto armato interno esistente in Senegal, e in particolare nella regione del Casamance, con rischio di minacce gravi e individuali alla vita per il grado di violenza indiscriminata che lo caratterizzava, aveva omesso di valutare la condizione generale del Paese, ignorando la copiosa argomentazione prodotta dal ricorrente, senza procedere ai doverosi accertamenti con riferimento al momento di adozione della decisione e si era limitata a negare la sussistenza di situazioni rischiose.

Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), art. 4, con riferimento alla valutazione espressa circa l’inesistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno, ignorando la documentazione prodotta dal ricorrente.

Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e n. 5, il ricorrente ha denunciato violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e omesso esame della domanda di protezione umanitaria.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con controricorso notificato il 27/12/2018, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

In data 27/9/2019 il difensore del ricorrente, avv. Daniele Porena, con apposita nota ha depositato, fra l’altro, copia di lettera del 29/8/2019 inviata al cliente recante rinuncia al mandato difensivo, restituita al mittente per destinatario sconosciuto, e copia di lettera raccomandata del 3/9/2019 inviata al cliente, contenente avviso di fissazione di udienza, parimenti restituita al mittente per destinatario sconosciuto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In linea preliminare il Collegio osserva che la rinuncia al mandato da parte del difensore del ricorrente appare ininfluente.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6 – 1, n. 26429 del 08/11/2017,Rv. 647022 – 01; Sez. 3, n. 16121 del 09/07/2009,Rv. 608961 – 01) per effetto del principio della cosiddetta perpetuatio dell’ufficio di difensore, di cui è espressione l’art. 85 c.p.c., nessuna efficacia può dispiegare, nell’ambito del giudizio di cassazione, oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio, la sopravvenuta rinuncia che il difensore del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell’udienza di discussione già fissata.

Nella fattispecie la rinuncia è stata comunicata alla Corte, tra l’altro indirettamente, mediante la nota di deposito della lettera indirizzata al cliente successivamente alla notifica dell’avviso di fissazione di udienza, avvenuta il 3/9/2019.

La cancellazione dell’avv. Porena dall’Albo degli Avvocati è stata solamente preconizzata per il futuro (per il 16/10/2019) nella lettera del 3/9/2019 al cliente e sarebbe comunque successiva alla comunicazione dell’avviso di fissazione dell’adunanza del 5/11/2019 e non risulta documentata in atti.

2. Il Collegio rileva altresì l’intervento di uno jus superveniens.

In data 7/10/2019 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 235 il D.M. 4 ottobre 2019, recante “Individuazione dei Paesi di origine sicuri, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 2-bis”, il cui art. 1, rubricato “Paesi di origine sicuri”, prevede che siano considerati Paesi di origine sicuri Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina e dispone che nell’ambito dell’esame delle domande di protezione internazionale la situazione particolare del richiedente sia valutata alla luce delle informazioni sul Paese di origine risultanti dall’istruttoria di cui in premessa.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 bis., inserito dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 7-bis, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, prevede l’adozione, con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, dell’elenco dei Paesi di origine sicuri, basato sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione di cui all’art. 5, comma 1, nonchè su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell’Unione Europea, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti, aggiornato periodicamente e notificato alla Commissione Europea.

Secondo tale articolo uno Stato non appartenente all’Unione Europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7, nè tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, nè pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.

Ai fini di tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4/11/1950, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19/12/1966, ratificato ai sensi della L. 25 ottobre 1977, n. 881, e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 10/12/1984, in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell’art. 15, paragrafo 2, della predetta Convenzione Europea; c) il rispetto del principio di cui all’art. 33 della Convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.

La valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all’Unione Europea è un Paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione di cui all’art. 5, comma 1, nonchè su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell’Unione Europea, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

L’art. 2 bis citato, comma 5, ammette il richiedente a invocare gravi motivi per ritenere che quel Paese, definito sicuro dal decreto,non lo è per lui per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova; dell’art. 9, il comma 2 bis, prevede che la decisione con cui è rigettata la domanda presentata dal richiedente di cui all’art. 2-bis, comma 5, sia motivata dando atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso.

3. Il decreto citato può assumere rilievo ai fini della decisione, poichè il Senegal, nazione di provenienza del ricorrente, è stato dichiarato Paese sicuro ai fini sopra indicati.

Il Collegio ritiene pertanto opportuno che il ricorso, che presenta interesse nomofilattico, sia trattato e discusso in pubblica udienza, con l’intervento del Procuratore generale.

P.Q.M.

La Corte rinvia alla pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020

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