Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30912 del 22/12/2017


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 30912 Anno 2017
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: DOGLIOTTI MASSIMO

sul ricorso 12537/2013 proposto da:
Palma Cosimo, in proprio, e Palma Fernanda, entrambi quali eredi di
Ottino Lucia, domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la
Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi
dagli avvocati Saracino Donato, Rita Masciullo, giusta procura a
margine del ricorso;
-ricorrenti contro
Comune di Martano,

in persona del Sindaco pro tempore,

domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della
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Data pubblicazione: 22/12/2017

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Cesare
wicciati, giusta procura in calce al controricorso;

-controricorrente –

avverso la sentenza n. 98/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
28/06/2017 dal cons. DOGLIOTTI MASSIMO.

In un procedimento tra PALMA Cosimo , PALMA Fernanda, il primo in
proprio ed entrambi nella qualità di eredi di OTTINO Lucia, e Comune
di Martano, avente ad oggetto determinazione di indennità di
esproprio di un terreno, la Corte di Appello di Lecce, con sentenza in
data 30/1/2013, a modifica della sentenza del Tribunale di Lecce, n.
127 del 2009, rigettava la domanda di risoluzione di preliminare di
compravendita di terreno, mentre confermava la domanda di
risarcimento dei danni proposta dai promittenti venditori, ritenendo
che essi non avessero più interesse a richiedere la risoluzione,
essendovi stata trasformazione irreversibile dell’area da parte del
Comune; riduceva la statuizione di condanna alla somma di €.
2.582,00.
Ricorrono per cassazione Palma Cosimo e Fernanda, che pure
depositano memoria difensiva.
Resiste con controricorso il Comune.
Il primo motivo del ricorso, violazione dell’art. 112 cpc, omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio, difetto ed errata
motivazione (sostenendo i ricorrenti il loro interesse alla risoluzione
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depositata il 30/01/2013;

del contratto e alla restituzione dell’area nonché alla eliminazione di
una presa d’aria)/_Q

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es.-r-r~Kt è inammissibile.
I ricorrenti si limitano a richiamare il dictum della sentenza
impugnata nonché le conclusioni dell’atto di citazione in primo grado,

argomentazioni della Corte di Appello. Sostengono altresì l’inesistenza
del passaggio di proprietà al Comune per occupazione usurpativa
avendo essi fatto riferimento alla “irreversibile trasformazione ”
come mero fatto storico. Null’altro aggiungono. Si tratta, all’evidenza,
di affermazioni apodittiche inidonee ad incidere sulle complesse
argomentazioni del giudice a quo circa l’interpretazione della
domanda delle parti.
E’ vero che la memoria difensiva è assai più ampia ed articolata ma
essa non può sopperire espressamente alla totale inadeguatezza del
motivo.
A fronte di tale inadeguatezza, il giudice a quo richiama la
giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass.S.U. n. 4863 del
2010) per cui nel contratto preliminare a effetti anticipati la
disponibilità del bene conseguita dal promissario acquirente ha luogo
con la piena consapevolezza da parte dei contraenti che l’effetto
traslativo non si è ancora verificato, risultando piuttosto dal titolo
l’altruità della cosa, per cui la relazione del promissario acquirente
con la cosa stessa deve essere qualificata come mera detenzione.
D’altra parte – continua la sentenza impugnata – l’amministrazione
comunale,conseguita la detenzione dell’area in questione, l’ha
irreversibilmente trasformata anche attraverso la realizzazione di una
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affermando che tali conclusioni appaiono in palese contrasto con le

servitù di presa di luce. Aggiunge il giudice a quo, che con la citazione
introduttiva, i promittenti venditori hanno dedotto che il Comune,
senza averne titolo per il mancato perfezionamento della vendita, ha
illecitamente proceduto ad irreversibile trasformazione dell’area, ed
hanno chiesto il risarcimento per occupazione usurpativa del

è divenuto proprietario dell’area per occupazione usurpativa, con
conseguente venir meno di ogni interesse in ordine alla risoluzione
del preliminare di vendita, essendo il terreno non più di proprietà dei
promittenti venditori. Ne consegue – secondo la sentenza impugnata
– che il residuo petitum è costituito solo dalla determinazione del
risarcimento del danno.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 112
c.p.c. e vizio di motivazione in ordine alla determinazione del danno !
con riguardo al valore di mercato del bene, postoTgi-sarebbe dovuto
quantomeno tener conto delle spese relative al frazionamento e ai
compensi notarili. Con il terzo, ancora, violazione dell’art. 112 c.p.c. e
vizio di motivazione, in quanto avrebbe dovuto ulteriormente
considerarsi la perdita di valore dell’area residua.
I motivi vanno trattati congiuntamente, essendo strettamente
connessi.
Con motivazione adeguata e non illogica il giudice a quo richiama il
prezzo che le parti avevano liberamente pattuito, nel contratto
preliminare, precisando che non vi era motivo per non ritenerlo
corrispondente al valore di mercato di tale area alla fine dell’anno
1999 ( il preliminare recava la data del 9/11/99 e la notifica dell’atto
introduttivo del presente giudizio era del 10 ottobre 2001). Evidenzia
la corte di merito, oltre alla vicinanza delle date i l’assenza di
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Comune; dunque, con detta citazione, essi ammettono che il Comune

apprezzabili modifiche del mercato immobiliare in tale periodo, ma
pure la modesta dimensione dell’area in questione (mq. 68),
pacificamente priva di vocazione edificatoria.
Nessuna prova da parte dei ricorrenti – così ancora la sentenza
impugnata – di un ulteriore danno risarcibile, non risultando che la

seguito dell’acquisizione del Comune, fosse conseguita
un’apprezzabile diminuzione di valore nella loro residua proprietà.
Va infine precisato che i ricorrenti affermano i’az!~ che in
previsione di alcune spese (notarili, di frazionamento ed altro) a
carico del Comune il prezzo pattuito sarebbe stato inferiore a quello di
mercato. Si tratta, anche in tal caso, di affermazioni del tutto
apodittiche e generiche, e sul punto il ricorso presenta ulteriori profili
di inammissibilità.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido al
pagamento delle spese processuali che si liquidano in C. 4.500,00 per
compensi , oltre C. 200,00 per esborsi, spese forfettarie ed accessori
di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso.
Roma, 28/6/2017
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superficie de qua fosse utilizzata per la produzione di reddito né che a

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