Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30911 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 27/11/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 27/11/2019), n.30911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11763-2013 proposto da:

IMMOBILIARE SAGITTARIO SRL, elettivamente domiciliato in ROMA V.LE

GIUSEPPE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

ALBERTO PENNISI, rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO ANTONIO

MARIA CACOPARDO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE CATANIA, AGENZIA DELLE

ENTRATE DIREZIONE CENTRALE NORMATIVA E CONTENZIOSO, MINISTERO

ECONOMIA E FINANZE;

– intimati –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE NORMATIVA E CONTENZIOSO in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

IMMOBILIARE SAGITTARIO SRL, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE

PROVINCIALE CATANIA, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 80/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

CATANIA, depositata il 19/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/06/2019 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 7.11.2006, Serit Sicilia s.p.a., Agente della riscossione della Provincia di Catania, notificò a Immobiliare Sagittario s.r.l. due intimazioni di pagamento, con cui le si chiedeva di pagare, rispettivamente, l’importo di Euro 134.028,32 e di Euro 6.594,00, somme iscritte a ruolo e riportate in due cartelle di pagamento, notificate il 22.11.2001 e il 17.2.2004, ma non impugnate. Assumendo che dette cartelle non le fossero state in realtà mai notificate, così come l’avviso di rettifica n. (OMISSIS), relativo ad IVA 1994, Immobiliare Sagittario s.r.l. propose ricorso avverso dette cartelle di pagamento e le relative iscrizioni a ruolo, tuttavia non impugnando anche l’intimazione di pagamento. L’adita C.T.P. di Catania, con sentenza del 8.11.2007, nella contumacia dell’Agenzia delle Entrate, dichiarò l’inammissibilità del ricorso per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, non avendo la società contestualmente impugnato anche l’atto notificato per ultimo, ossia l’intimazione di pagamento, come invece previsto da detta norma. Proposto appello dalla stessa società, la C.T.R. della Sicilia, con sentenza del 19.3.2012, respinse l’appello, compensando le spese.

Immobiliare Sagittario s.r.l. ricorre ora per cassazione, sulla base di un unico motivo, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, che ha pure proposto ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

RICORSO PRINCIPALE.

1.1 – Con l’unico motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 La ricorrente lamenta l’erroneità della decisione, nella parte in cui è stata negata la facoltà per il contribuente – che assuma la mancata conoscenza degli atti prodromici di cui abbia per la prima volta notizia per effetto della notifica dell’atto conseguente – di impugnare i soli atti prodromici e non anche quello per ultimo notificato (oltre che dell’atto di pignoramento presso terzi pure nel frattempo avviato dall’Agente della riscossione), come nella specie l’intimazione di pagamento D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 50, atto di per sè scevro da vizi propri.

RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO:

1.2 – Con l’unico motivo, per il caso di accoglimento del ricorso principale, l’Agenzia delle Entrate denuncia l’omessa pronuncia circa l’indeterminatezza del ricorso introduttivo, pure rilevata dalla C.T.P. quale autonoma ratio decidendi, ma non adeguatamente censurata da parte della società.

2.1 – Preliminarmente, va rilevata l’inammissibilità del ricorso come proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non è legittimato a resistere, perchè (anche) tale potere spetta nella specie all’Agenzia delle Entrate, e ciò a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, disposto dal D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1, di tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competenze” già facenti capo allo stesso Ministero, a partire dal 1gennaio 2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza del D.M. 28 dicembre 2000, art. 1 – v. Cass., Sez. Un., n. 3116/2006).

3.1 – Ciò posto, il ricorso principale è infondato.

La questione sottesa alla censura muove dall’interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, che al comma 1 elenca gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, e al comma 3 espressamente stabilisce: “Gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”.

Ora, la C.T.R., uniformandosi alla prima decisione, ha negato che la contribuente possa limitarsi, in forza della citata norma, ad impugnare il solo atto prodromico notificato, giacchè essa “avrebbe dovuto impugnare innanzi tutto le due intimazioni e l’atto di pignoramento presso terzi e insieme ad essi le cartelle richiamate… e i relativi ruoli non individuati”.

In proposito, a parte l’evidentemente erronea affermazione circa la necessità di “impugnare” l’atto di pignoramento presso terzi (affermazione per la quale è sufficiente la mera correzione della motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., giacchè il pignoramento può essere contrastato dal contribuente con le opposizioni di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, e non certo con il ricorso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, di cui qui si discute), la decisione impugnata va assolta dalla censura che le è stata mossa.

Infatti, già dal tenore letterale del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3 (“ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”), può desumersi che l’ipotesi espressamente prevista dal legislatore muove dalla funzione “recuperatoria” dell’impugnazione dell’ultimo atto notificato, che attribuisce al contribuente la facoltà di far valere, ora per allora, i vizi propri degli atti prodromici.

3.2 – Ulteriori considerazioni di tipo sistematico, tuttavia, militano a favore della detta soluzione.

Infatti, incontestato essendo che la questione che qui principalmente occupa appartiene alla giurisdizione tributaria, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, venendo in rilievo atti del procedimento di riscossione fino all’intimazione di pagamento, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 50, è noto che il citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, definisce i c.d. limiti interni della stessa giurisdizione tributaria, recando l’elencazione degli atti impositivi autonomamente impugnabili, di cui è peraltro pacificamente affermata la natura tassativa, benchè suscettibile di interpretazione estensiva (Cass., Sez. Un., n. 16776/2005; Cass. n. 4513/2009; Cass., Sez. Un., n. 3773/2014).

In quest’ottica, con detta ultima pronuncia è stato efficacemente esposto che “Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 attiene, invece, specificamente, alla proponibilità della domanda dinanzi al giudice tributario e, quale espressione della struttura impugnatoria del processo tributario, contiene il “catalogo” (anch’esso arricchitosi nel tempo) degli “atti impugnabili”, cioè degli atti che, se ritualmente notificati, comportano, in ragione della loro ritenuta natura immediatamente impositiva, l’onere della impugnazione, a pena della cristallizzazione della pretesa in essi contenuta; secondo la giurisprudenza di questa Corte, peraltro, la tassatività di detta elencazione va riferita non tanto ai singoli atti nominativamente indicati, ma piuttosto alla individuazione di “categorie” di atti, considerate in relazione agli effetti giuridici da quelli prodotti, con la conseguenza che la norma è suscettibile, in presenza di determinate condizioni, di interpretazione estensiva, in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.); ciò con la precisazione, quanto agli atti per i quali si ritenga di ammettere la possibilità di una tutela di natura “anticipata, della mera facoltatività dell’impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa in un secondo momento, quando cioè essa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti espressamente indicati nell’art. 19 (cfr., da ult., Cass. nn. 17010 del 2012 e 24916 del 2013)” (così, in motivazione, la già citata Cass. Sez. Un. 3773/2014).

Più in dettaglio, secondo il cennato orientamento, la facoltatività dell’impugnazione concerne quegli atti che, seppur espressione di una pretesa impositiva, non sono immediatamente riconducibili ad una delle tipologie elencate dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1 (c.d. atti “atipici”: ad es., v. Cass. n. 5966/2015, riguardo all’invito al pagamento del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 212 per l’imposta di registro relativamente a sentenza penale; v. Cass. n. 14675/2016 e n. 26637/2017 in tema di fatture T.I.A.; v. Cass. n. 26129/2017 in tema di preavviso di iscrizione ipotecaria; v. Cass. n. 29026/2017 in tema di diniego di disapplicazione di norme antielusive del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37-bis, comma 8, ecc.). Ovviamente, presupposto della proponibilità dell’impugnazione facoltativa è che vi sia un interesse da parte del contribuente, ex art. 100 c.p.c., derivante dall’immediata lesività dell’atto. 3.3 – Vale poi la pena evidenziare che, sia la questione della facoltatività dell’impugnazione, che anche quella dell’interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3 (quest’ultima indirettamente), sono state affrontate dalla nota Cass., Sez. Un., n. 19704/2015, secondo cui “E’ ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’ultima parte del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione”.

In altre parole, nel delineare la facoltà del contribuente di accedere ad una tutela “anticipata” nei confronti dell’atto presupposto, ove l’atto conseguente non sia stato (validamente) notificato, le Sezioni Unite danno sostanzialmente per ricevuta la considerazione che la norma in discorso impone di impugnare, in ogni caso, l’atto conseguente, se ritualmente partecipato al contribuente.

Tale opzione ermeneutica, del resto, si pone in linea con il più risalente insegnamento delle Sezioni Unite (v. in particolare, Cass. Sez. Un., n. 16412/2007 e n. 5791/2008), dettato in relazione al procedimento di riscossione come disciplinato anteriormente alla riforma disposta dal D.Lgs. n. 46 del 1999, secondo cui la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata dal rispetto di una sequenza ordinata di determinati atti, e delle relative notificazioni, destinati, ognuno con specifica funzione, a fare emergere la pretesa stessa ed a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, sì da permettere l’esercizio del diritto di difesa, cosicchè l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce vizio procedurale implicante la nullità dell’atto consequenziale notificato, nullità che il contribuente può fare valere mediante l’opzione, ammessa dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, tra impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli, per il solo vizio della pregressa notifica, rimanendo esposto ad una nuova iniziativa dell’amministrazione che sia ancora nei termini per notificare l’atto presupposto, oppure impugnare anche l’atto presupposto non notificato, contestando in radice la pretesa tributaria.

3.4 – Quanto fin qui detto, a ben vedere, non solo è del tutto coerente con lo stesso tenore letterale del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, ma – avuto riguardo al caso di specie – è vieppiù confermato dalla circostanza che l’atto in parola, deliberatamente non impugnato dalla società, è “tipico”, trattandosi dell’avviso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2 (sulla cui assimilazione al “vecchio” avviso di mora D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 46 previgente, cui fa espresso riferimento il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. e, v. Cass. Sez. Un. 8279/2008 e Cass. n. 1658/2013), il cui scopo è quello di invitare il contribuente al pagamento, entro cinque giorni, prima di dare avvio all’esecuzione forzata, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata notificata da più di cinque anni.

3.5 – In quest’ottica, è senz’altro da respingere l’affermazione della ricorrente secondo cui, nella specie, le intimazioni di pagamento che le furono notificate erano prive di vizi propri (sicchè non v’era ragione di impugnarle), perchè risulta in tutta evidenza che, stando alla stessa prospettazione della ricorrente, almeno un vizio proprio di tali atti dovesse sussistere. Infatti, richiamando l’insegnamento giurisprudenziale cui s’è fatto riferimento, non può che evidenziarsi che, in mancanza di notifica della cartella di pagamento, l’intimazione D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 50, comma 2, non può dirsi rispondente alla sequenza procedimentale prescritta ex lege, perchè l’atto in discorso presuppone necessariamente assolto detto adempimento. Pertanto, è ben possibile opporvisi dinanzi al giudice tributario, senza contestualmente (e necessariamente) dover impugnare l’atto presupposto, ossia la cartella di pagamento non notificata. In tal senso, in linea col descritto orientamento e proprio in tema di intimazione di pagamento, nella giurisprudenza di questa Corte è stato condivisibilmente affermato che “In materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato” (così, Cass. n. 6729/2015; nello stesso senso, ancor più di recente, v. Cass. n. 618/2018).

3.6 – Da quanto precede, anche alla luce della descritta tipicità dell’intimazione ex art. 50 citato, non può che discendere, sine ullo dubio, la necessità della sua tempestiva impugnazione da parte del contribuente, una volta notificatagli, pena la cristallizzazione della pretesa tributaria in essa manifestata, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza sopra richiamata. Ove invece il contribuente opti per l’impugnazione della sola cartella di pagamento, benchè l’intimazione D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 50 gli sia stata regolarmente notificata, detta azione non può che considerarsi in ogni caso inammissibile, per difetto d’interesse ex art. 100 c.p.c., giacchè l’annullamento della cartella giammai potrebbe essere disposto, stante la definitività dell’atto conseguenziale, non impugnato.

3.7 – Ne deriva che la statuizione della C.T.R. circa l’inammissibilità dell’impugnazione spiegata dalla società ricorrente avverso la sola cartella di pagamento è del tutto corretta, perchè coerente con la previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3.

4.1 – Il ricorso incidentale condizionato resta conseguentemente assorbito.

5.1 – In definitiva, il ricorso principale è rigettato, mentre resta assorbito l’incidentale. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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