Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3091 del 09/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 09/02/2021), n.3091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13175-2013 proposto da:

AC. SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA SCROFA 57,

presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO ZOPPINI, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE PIZZONIA, GIUSEPPE RUSSO

CORVACE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 32/2012 della COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA,

depositata il 30/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. VENEGONI ANDREA.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

La CTR della Lombardia, con sentenza n. 32/29/12, depositata il 30.3.2012, su appello dell’ufficio, riformava la sentenza della CTP di Milano e confermava l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società Ac. spa, con sede in Milano, ai fini ires ed irap per l’anno 2002, limitatamente a due rilievi:

a) il recupero a tassazione delle differenze di cambio negative relative a crediti vantati nei confronti della società americana Ac. Inc., che il contribuente aveva dedotto, e

b) il recupero a tassazione dell’ammortamento di beni strumentali, in quanto effettuato con coefficienti superiori a quelli massimi, anche alla luce del fatto che la società non aveva esibito in sede di verifica i documenti attestanti le modalità di utilizzo dei beni che giustificassero coefficienti più elevati.

Gli altri rilievi contenuti originariamente nell’avviso di accertamento, che la società aveva impugnato sotto vari profili tra cui quello di difetto di motivazione, erano stati definiti con conciliazione nel giudizio di primo grado o annullati dalla CTP, residuando, a seguito della parziale riforma della sentenza di quest’ultima da parte della CTR, solo le questioni sopra indicate.

Per la cassazione di tale sentenza, limitatamente ai suddetti rilievi in cui è rimasta soccombente, ricorre a questa Corte la società sulla base di quattro motivi, alcuni dei quali articolati in sotto-motivi.

Resiste l’ufficio con controricorso.

La società ricorrente ha depositato memoria del 24.9.2020.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la società ricorrente deduce nullità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato assorbito il motivo di appello incidentale afferente la nullità della sentenza di primo grado per omessa pronuncia sul motivo di ricorso introduttivo relativo alla nullità dell’avviso di accertamento impugnato per difetto di motivazione. La sentenza è “in parte qua” viziata per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

In sede di appello, proposto dall’Agenzia contro la sentenza della CTP che aveva annullato l’accertamento, relativamente ai rilievi su cui non vi era stata conciliazione, la società aveva proposto appello incidentale condizionato, riproponendo la doglianza relativa alla nullità dell’accertamento per difetto di motivazione – per non avere l’ufficio motivato sul rigetto delle osservazioni che il contribuente aveva compiuto con memoria dopo la notifica del processo verbale di constatazione -, su cui la CTP non si era pronunciata, avendo annullato l’accertamento nel merito. La CTR, pur accogliendo l’appello principale dell’ufficio,. non si è pronunciata sull’appello incidentale del contribuente, dichiarando assorbiti gli altri rilievi, tra cui il presente.

Il motivo è infondato nei termini seguenti.

L’omissione denunciata indubbiamente sussiste, a meno di non voler ritenere che la CTR abbia implicitamente considerato superato il rilievo, e che quindi abbia inteso pronunciarsi implicitamente.

In effetti la parte, pur vittoriosa in toto in primo grado, ha proposto appello incidentale su un aspetto formale dell’avviso, per il caso in cui la CTR avesse ritenuto fondato l’appello dell’ufficio. La CTR ha in effetti ritenuto su alcuni punti fondato l’appello dell’ufficio, ma, allora, doveva prendere in considerazione l’originario motivo di impugnazione sulla motivazione dell’accertamento, proposto in primo grado e riproposto come appello incidentale subordinato. Si potrebbe sostenere che con l’espressione “assorbiti gli altri rilievi” la CTR abbia voluto implicitamente rigettare l’appello incidentale sul punto. Tuttavia, la proposizione dell’appello incidentale non è riportata neppure nella parte narrativa, cosicchè non può affermarsi con sicurezza che gli “altri rilievi” comprendessero anche quelli di cui a tale specifico mezzo di impugnazione, proprio per il fatto che esso non è citato in sentenza, ad esso non è compiuto alcun riferimento.

La questione, però, è un’altra: anche ritenendo, sulla base delle suddette considerazioni, che vi sia l’omissione, occorre, però, chiedersi se il vizio dedotto nell’originario motivo di ricorso del contribuente (difetto di motivazione dell’avviso per mancato recepimento di osservazioni fatte in una memoria) sia decisivo. Nella specie, non è in contestazione il rispetto del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ma la mancata risposta alle osservazioni del contribuente al processo verbale di constatazione.

Sulla mancata risposta ai rilievi, la giurisprudenza di questa Corte è stabilizzata nel senso di affermare che il contraddittorio è salvaguardato se l’ufficio ha preso in considerazione ed esaminato le osservazioni del contribuente, non se ha dato risposta a ciascuna di esse nell’avviso di accertamento. In altri termini, e sintetizzando estremamente la questione, se l’ufficio non ha neppure esaminato i rilievi, l’avviso è nullo (sez. VI-5 n. 17210/18); se li ha esaminati ma non ha inserito nell’avviso le risposte ad essi, l’avviso è valido.

Afferma, al riguardo, sez. VI-5 n. 29487 del 2018:

Ed invero, Cass.n. 3583/2016 ha avuto modo di precisare che “…Come emerge dalla stessa lettura della prima parte del comma 7 e dal raffronto con il tenore più perentorio della seconda parte, per la quale invece, all’esito di tanto complessa quanto nota evoluzione giurisprudenziale, si è pervenuti a conclusione opposta – all’obbligo dell’amministrazione finanziaria di “valutare” le osservazioni del contribuente (cui l’imposizione del termine dilatorio, questa sì a pena di nullità, è strumentale) non si aggiunge l’ulteriore obbligo di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo, a pena di nullità.’ Si tratta di una considerazione assai rilevante, posto che essa va coniugata con l’ulteriore affermazione secondo la quale in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente della L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo” (Cass.n. 8378/2017, Cass. 20781/2016; Cass. 15616/2016). Si vuol dire che la lesione del contraddittorio endoprocedimentale sussiste le sole volte in cui l’ufficio ha manifestato apertamente di non avere considerato le deduzioni difensive esposte dal contribuente nel termine dilatorio com’è avvenuto nel caso di specie, posto che l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di “valutare” le osservazioni del contribuente cui l’imposizione del termine dilatorio, a pena di nullità, è strumentale- e non quando lo stesso ufficio le ha, anche implicitamente, considerate e disattese all’atto di emanare l’accertamento.

Nel presente caso, non solo non vi è la prova che l’ufficio non abbia valutato la memoria del contribuente, ma anzi vi è la prova che ciò ha fatto. Lo stesso contribuente afferma, infatti, a pag 18-19 del ricorso in cassazione che l’ufficio nell’avviso ha dato atto di avere “preso atto della memoria presentata dalla parte il 26 maggio 2006”. Il fatto che ad essa non abbia risposto in avviso di accertamento, non è quindi causa di nullità.

Il motivo, pertanto, è da rigettare perchè, in ultima analisi, anche la denunciata omissione non è decisiva.

Con il secondo motivo deduce nullità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato assorbito il motivo di appello incidentale afferente la nullità/illegittimità della sentenza di primo grado laddove non ha accolto l’eccezione di inammissibilità protestata dalla società con riferimento alla contestazione, formulata per la prima volta dall’Agenzia nella memoria presentata il 15 febbraio 2008, in ordine alla indeducibilità della perdita derivante da differenze cambi negativi (corrispondente al rilievo 2 dell’accertamento) per mancanza dei presupposti di certezza e precisione previsti dal citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 66, comma 3, nella formulazione applicabile ratione temporis. La sentenza è “in parte qua” viziata per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il rilievo originariamente contenuto nell’avviso relativamente alla perdita su cambi non faceva riferimento ai presupposti di certezza e precisione dell’art. 66 tuir, trattandolo alla stregua delle perdite su crediti, ma solo alla violazione degli art. 72,75 tuir e art. 76 tuir, comma 2. Il riferimento ai criteri di certezza e precisione è stato dedotto dall’ufficio solo in corso di giudizio di primo grado, in una memoria del 15.2.2008. La società aveva dedotto questa eccezione in appello incidentale e la CTR la ha considerata assorbita senza pronunciarsi su di essa.

Con il secondo motivo, submotivo 1, in subordine, deduce illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui, in accoglimento dell’appello dell’ufficio, ha confermato la legittimità e fondatezza del rilievo n. 2 “differenze di cambi indeducibili”. La sentenza è in parte qua viziata da insufficienza della motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In ogni caso, anche qualora si ritenesse corretta l’introduzione in giudizio del riferimento alle perdite su crediti ed all’art. 101, la decisione è carente di motivazione perchè ha ritenuto che sussistessero i presupposti dell’indeducibilità, cioè la mancata prova della inesigibilità del credito, senza indicare gli elementi da cui sono giunti a tale conclusione, ma affermandolo in maniera apodittica.

Il motivo è fondato in questa seconda parte, con assorbimento della prima.

Il senso di questa seconda parte del motivo sembra potersi esplicitare nei seguenti termini: anche ammettendo che la sentenza della CTR sia corretta laddove ha, di fatto, legittimato l’utilizzo dei criteri di deducibilità delle perdite su crediti (di cui, nella prima parte, viene eccepita l’inammissibilità perchè motivo nuovo), tuttavia la stessa è insufficientemente motivata sulla ricorrenza di tali criteri nel caso concreto.

Va considerato, al riguardo, che il vizio dedotto è valutabile alla luce della formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 anteriore alla riforma del 2012, essendo la sentenza impugnata stata depositata nel marzo 2012.

La motivazione della sentenza sul punto si esaurisce nella seguente espressione, contenuta in due righe: “la perdita subita…va considerata alla stregua di perdita su crediti, ed in quanto tale è deducibile solo se è provata l’effettiva inesigibilità del credito”.

Si tratta di motivazione che non dà conto alcuno del percorso logico seguito dalla CTR per ritenere che, nel caso di specie, non ricorresse il requisito per la deducibilità e la perdita non fosse, quindi, deducibile.

Essa, in altre parole, dà conto del criterio che secondo la CTR deve essere seguito per stabilire la deducibilità, ma non dà conto del motivo per cui ha ritenuto che nella specie esso non ricorresse.

In quanto tale, già sulla base di questo elemento, il motivo va accolto e la sentenza cassata, con assorbimento della prima parte del motivo e rinvio della causa alla CTR per nuova valutazione su tutti gli aspetti.

Con il terzo motivo deduce illegittimità della sentenza impugnata – per diversi profili più oltre denunciati in dettaglio – nella parte in cui, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha confermato la legittimità/fondatezza del “rilievo n. 5 – ammortamenti indeducibili”.

La CTR ha negato la deducibilità delle quote di ammortamento nella misura indicata (più elevata dell’ordinario) sulla base di tre elementi:

– la società non ha evidenziato in nota integrativa le specifiche ragioni giustificanti i coefficienti più alti;

– la misura è comunque superiore a quella massima dell’art. 102 tuir;

– la documentazione che provava l’uso più intenso dei beni non era stata prodotta in sede di verifica.

Con il terzo motivo, submotivo 1, la società deduce che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha affermato che le ragioni di applicazione di coefficienti di ammortamento più alti deve essere indicata in nota integrativa, è viziata da violazione dell’art. 2427 c.c. e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, nella versione all’epoca vigente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’indicazione delle ragioni per cui è stato applicato un coefficiente maggiorato di ammortamento non deve avvenire in nota integrativa nè in base alla normativa fiscale, nè a quella civilistica. La CTR ha quindi richiesto un adempimento non previsto da alcuna norma. Il maggiore coefficiente è sottoposto ad un’unica condizione, quella della dimostrazione da parte del contribuente della più intensa utilizzazione del bene.

Con il terzo motivo, submotivo 2, deduce che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha affermato che la società ha applicato un coefficiente di ammortamento superiore alla misura massima consentita, è viziata da violazione del citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, nella versione vigente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’ammortamento in questione è quello definibile “accelerato” di cui all’art. 67 tuir, comma 3, primo periodo, (nella versione della norma risalente al periodo di imposta relativo al caso in questione), che si distingue da quello “anticipato” di cui all’art. 67 tuir, comma 3, secondo periodo.

La CTR ha errato non facendo tale distinzione ed applicando all’accelerato il limite previsto solo per l’anticipato.

Con il terzo motivo, submotivo 3, la società deduce che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha affermato l’inutilizzabilità dei documenti prodotti in giudizio, è viziata da violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha errato a ritenere non utilizzabili i documenti perchè il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 (e non l’art. 32) ne sancisce l’inutilizzabilità quando il contribuente ha “rifiutato” di esibirli durante la verifica, ma il rifiuto presuppone una specifica esplicita richiesta di esibizione da parte dell’ufficio.

Il motivo è innanzi tutto fondato in questa terza parte, con assorbimento degli altri aspetti.

L’art. 67 tuir, comma 3, nella versione in vigore dall’1.1.2002 (secondo quella numerazione) e che, in sostanza, è sempre rimasta invariata, anche con le successive modifiche, fino al 31.12.2007, quando è stata abrogata a partire dall’1.1.2008, prevedeva due regimi speciali di ammortamento, rispetto a quello ordinario: il c.d. ammortamento accelerato, per i beni soggetti ad un più intenso utilizzo, e il c.d. ammortamento anticipato, per i beni a più rapida consumazione. La norma prevedeva che:

3. La misura massima indicata nel comma 2 può essere superata in proporzione alla più intensa utilizzazione dei beni rispetto a quella normale del settore. La misura stessa può essere elevata fino a due volte, per ammortamento anticipato nell’esercizio in cui i beni sono entrati in funzione per la prima volta e nei due successivi; nell’ipotesi di beni già utilizzati da parte di altri soggetti, l’ammortamento anticipato può essere eseguito dal nuovo utilizzatore soltanto nell’esercizio in cui i beni sono entrati in funzione. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, la indicata misura massima può essere variata, in aumento o in diminuzione, nei limiti di un quarto, in relazione al periodo di utilizzabilità dei beni in particolari processi produttivi.

Pertanto, secondo la lettera della disposizione, solo per l’ammortamento c.d. “anticipato” (secondo periodo) era previsto il tetto di fino a due volte il livello ordinario, mentre per l’ammortamento c.d. “accelerato” (primo periodo) non vi era limite.

La giurisprudenza ha affermato nel tempo che l’onere della prova del requisito per l’ammortamento accelerato, e cioè la più intensa utilizzazione del bene, grava sul contribuente.

Si veda, al riguardo, sez. V n. 2905 del 2019, secondo cui:

In tema di determinazione del reddito d’impresa, per la deducibilità delle maggiori quote di ammortamento “accelerato” del costo dei beni strumentali, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, comma 3, è richiesta la prova, a carico del contribuente, della loro più intensa utilizzazione rispetto a quella normale del settore al quale essi appartengono, e non la loro mera obsolescenza” (Cass. n. 9804 del 07/05/2014; Cass. n. 22034 del 13/10/2006).

Nella specie, posto che il contribuente si è avvalso della possibilità di tale regime di ammortamento, egli contesta la dichiarata inutilizzabilità della documentazione attestante il presupposto dello stesso, affermata dalla CTR “perchè non è stata esibita in sede di verifica, ma solo successivamente”.

La CTR ha interpretato, in tal modo, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 3, nella versione rilevante ai fini del periodo di imposta in questione. La norma di riferimento, in realtà, appare più il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, perchè nella specie si era in presenza di una verifica fiscale, il quale rinvia al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52.

Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte (sez. V, ord. n. 7011 del 2018) afferma costantemente che:

In tema di accertamento, l’omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa solo ove l’amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale richiesta degli stessi, accompagnata dall’avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza, e che il contribuente ne aveva rifiutato l’esibizione, dichiarando di non possederli, o comunque sottraendoli al controllo, con uno specifico comportamento doloso volto ad eludere la verifica.

Sez. V n. 10527 del 2017 ha ulteriormente precisato, anche riferendosi alla sentenza Sez. Un. 45 del 2000:

perchè la dichiarazione, resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere libri, registri, scritture e documenti (compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sia obbligatoria) richiestigli in esibizione determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, occorre: la sua non veridicità o, più in generale, il suo concretarsi – in quanto diretta ad impedire l’ispezione del documento – in un sostanziale rifiuto di esibizione, accertabile con qualunque mezzo di prova e anche attraverso presunzioni; la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento; pertanto, non integrano i presupposti applicativi della preclusione le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al vero) dell’indisponibilità del documento, non solo se questa sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, ma anche se imputabile a colpa, quale ad esempio la negligenza e imperizia nella custodia e conservazione. In definitiva, la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo, solo ove sia non veritiera, cosciente, volontaria e dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale. Infatti, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5, a cui rinvia il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto alla difesa e da non obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti, sicchè non può reputarsi sufficiente, ai fini della suddetta preclusione, il mancato possesso imputabile a negligenza o imperizia nella custodia e conservazione della documentazione contabile.

Nel caso di specie, la CTR non ha dato alcun conto del fatto se nella specie vi fosse stata, durante la verifica, una specifica e precisa richiesta di esibizione della documentazione rilevante e del rifiuto consapevole opposto dal contribuente, ma ha valorizzato la semplice omissione, contrariamente alla giurisprudenza sopra citata. Oltretutto la CTR, a sostegno della propria tesi, ha errato nel riferimento giurisprudenziale, atteso che la sentenza di questa Corte n. 7161 del 2005 riguarda questione del tutto diversa. La sentenza cui la CTR intendeva riferirsi è, verosimilmente, Cass. n. 7161 del 1995 (citata dall’ufficio in controricorso) la quale, peraltro, non avvalora affatto la tesi dell’ufficio perchè riguarda il concetto di “sottrazione” da parte del contribuente di documenti in suo possesso, ma presuppone pur sempre che vi sia stata la richiesta specifica dell’amministrazione, e di questo, nel caso di specie, non vi è prova.

Già solo sulla base di queste considerazioni, assorbenti delle altre parti del motivo, la sentenza deve essere cassata e la causa rinviata alla CTR per l’esame del merito.

Con il quarto motivo la società deduce nullità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato assorbito il motivo afferente la illegittimità delle sanzioni irrogate perchè le violazioni contestate sono state commesse per errore sul fatto e/o sul diritto. La sentenza è in parte qua viziata per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Nel ricorso di primo grado la società aveva chiesto l’annullamento delle sanzioni per buona fede. La CTP lo aveva considerato assorbito nell’accoglimento nel merito, la società la aveva riproposta in appello incidentale subordinata all’eventuale accoglimento dell’appello dell’ufficio, la CTR non ha detto nulla, se non che “gli altri rilievi sono assorbiti”.

Il motivo è assorbito dall’accoglimento del ricorso sui motivi attinenti al merito dell’accertamento, così come resta assorbito quanto dedotto dal contribuente nel paragrafo 5 del ricorso denominato “riproposizione dei motivi assorbiti”.

La causa deve, pertanto, essere rinviata alla CTR della Lombardia, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il secondo motivo, paragrafo 1, ed il terzo motivo, paragrafo 3, assorbiti gli altri, ad eccezione del primo motivo.

Cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla CTR della Lombardia, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio.

Rigetta il primo motivo.

Così deciso in Roma, il nella camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2021

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