Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30905 del 29/10/2021

Cassazione civile sez. lav., 29/10/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 29/10/2021), n.30905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25865-2015 proposto da:

V.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO n.

19, presso lo studio dell’avvocato ORNELLA RUSSO, rappresentato e

difeso dall’avvocato SALVATORE BIANCA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SIRACUSA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO N. 109, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI D’AMICO, rappresentato e difeso dall’avvocato

SALVATORE BIANCA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 742/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 10/07/2015 R.G.N. 568/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/04/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con sentenza in data 18 giugno-10 luglio 2015 n. 742 la Corte d’Appello di Catania confermava, con diversa motivazione, la sentenza del Tribunale di Siracusa, che aveva respinto la domanda proposta da V.P. nei confronti del datore di lavoro COMUNE DI SIRACUSA per l’accertamento della dipendenza da causa di servizio della malattia da cui era affetto (sindrome depressiva endoreattiva) e del diritto all’equo indennizzo.

2.La Corte territoriale, accogliendo le difese dell’appellante, riteneva erronea la statuizione del giudice del primo grado, che aveva dichiarato intempestiva la domanda di equo indennizzo.

3.Nel merito, respingeva la domanda per mancanza di prova della dipendenza causale della infermità dalla attività lavorativa. Esponeva che nel ricorso introduttivo del giudizio erano allegati quali fatti determinanti la menomazione i comportamenti posti in essere dalla dirigente di divisione ad interim, Dott. G.; di tale allegazione, poco circostanziata, era documentato l’unico episodio, risalente a febbraio 2000, dell’allontanamento del V. dalle funzioni di responsabile del gruppo di lavoro “Commercio su Aree Pubbliche”, condotta venuta meno nel giugno dello stesso anno, a seguito del trasferimento del V. alla Ragioneria municipale. La illegittimità di tale trasferimento era stata dedotta solo genericamente né il dipendente pubblico vantava un diritto alla immodificabilità delle mansioni.

4. Era dimostrato un unico fatto stressogeno, consistente nella privazione delle funzioni di capogruppo, rispetto al quale doveva escludersi la causazione della patologia.

5. Il ctu nominato era giunto a conclusioni diverse; tuttavia, a tal fine, esorbitando dai limiti dell’incarico, aveva considerato non solo i fatti di servizio allegati in ricorso ma l’intero periodo lavorativo intercorso dal 1999 al 2003. Dalle stesse valutazioni espresse dal perito – (che in più punti aveva evidenziato che i fattori lavorativi stressanti costituivano fatto concausale efficiente e determinante purché prolungati nel tempo ed a frequente incidenza) – si evinceva a contrario che l’unica vicenda lavorativa di cui era stata offerta la prova, in considerazione della ridotta durata, non rivestiva tale efficienza causale.

6. Non conduceva a conclusioni diverse neppure il riferimento alla sentenza accertativa del diritto del V. al risarcimento del danno per mobbing, perché la vicenda in essa esaminata non aveva costituito oggetto né di prova né di allegazione; peraltro l’accertamento era stato integralmente riformato in appello, per violazione del divieto di frazionamento, tenuto conto che il V. aveva in precedenza promosso analogo giudizio, definito con sentenza di rigetto passata in giudicato.

7. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza V.P., affidato a due motivi ed illustrato con memoria, cui ha opposto difese con controricorso il COMUNE DI SIRACUSA.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 41 c.p., art. 2697 c.c., art. 116 c.p.c..

2.La censura è articolata in due paragrafi, in cui si deduce, rispettivamente: violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di onere della prova (lett. a); errata valutazione ed apprezzamento delle risultanze istruttorie (lett. b).

3.Nella prima parte si lamenta la erronea applicazione dei principi in tema di rapporto di causalità, assumendosi la rilevanza causale, a tenore dell’art. 41 c.p., anche delle concause.

4.Nel secondo paragrafo si censura la mancata adesione del giudice dell’appello alle conclusioni cui erano pervenuti tre consulenti tecnici (relazione depositata al fascicolo di parte in appello-sub D; relazione disposta dalla Corte d’Appello di Catania in altro giudizio per fatti analoghi; CTU disposta dal medesimo collegio giudicante) nonché la Commissione Medica Ospedaliera di Augusta, assumendosi la assoluta inadeguatezza della motivazione.

5. Con il secondo mezzo la parte ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nei fatti di servizio esposti nel ricorso, nelle deduzioni ivi svolte, nella sentenza di condanna resa nel primo grado per mobbing (in una vicenda processuale in cui non si era verificato alcun frazionamento della domanda), nelle certificazioni mediche, nelle relazioni peritali.

6. I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessone, sono inammissibili.

7. Le censure svolte contrappongono alla valutazione degli elementi istruttori operata dal giudice dell’appello un diverso apprezzamento delle complessive risultanze di causa, conforme alle aspettative della parte, richiedendo a questa Corte un non consentito riesame del merito.

8. Manca, invece, la allegazione specifica di un fatto storico non esaminato nella sentenza impugnata ed avente rilievo decisivo, secondo il paradigma del vigente art. 360 c.p.c., n. 5.

9. Anche la deduzione dell’errore di diritto svolta con il primo motivo di ricorso non identifica alcuna statuizione della sentenza impugnata che si porrebbe in contrasto con le norma regolanti il rapporto di causalità nella materia dell’equo indennizzo ma e’, piuttosto, diretta a sostenere che gli elementi in atti e le conclusioni del ctu avrebbero deposto nel senso della sussistenza del rapporto di causalità. Il giudice dell’appello, invero, non ha disconosciuto il rilievo della concausa lavorativa ma, in radice, ha ritenuto che il fatto allegato in ricorso non avesse efficienza di concausa.

10. Sotto altro profilo, la inammissibilità del ricorso discende, altresì, dal rilievo che le due censure non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo la quale l’unico fatto storico specificamente allegato in ricorso – ovvero la privazione dei compiti di responsabile di un gruppo di lavoro – non era idoneo a rivestire alcuna incidenza causale rispetto all’infermità denunciata, per quanto ricavabile, a contrario, dalla stessa relazione del ctu.

11. Il ricorso deve essere conclusivamente dichiarato inammissibile.

12. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

13. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021

 

 

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