Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30902 del 27/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 27/11/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 27/11/2019), n.30902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al numero 4412 del ruolo generale dell’anno

2015, proposto da:

M.F., rappresentata e difesa, giusta procura speciale in

calce al ricorso, dall’avv.to Roberto Succio e dall’avv.to Francesco

D’Ayala Valva, elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’ultimo difensore, in Roma, Viale Parioli n. 43;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Piemonte, n. 892/38/14, depositata in data 9 luglio

2014, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2

ottobre 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido

di Nocera;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale De

Augustinis Umberto che ha concluso per l’inammissibilità e, in

subordine, per il rigetto del ricorso;

uditi per il contribuente l’Avv.to Licia Fiorentini per delega

dell’avv.to D’Ayala Valva e per l’Agenzia delle entrate l’avv.to

dello Stato Anna Collabolleta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 892/38/14, depositata in data 9 luglio 2014, la Commissione tributaria regionale del Piemonte rigettava l’appello proposto da M.F. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 71/01/2013 della Commissione tributaria provinciale di Alessandria che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta contribuente avverso l’avviso di liquidazione n. (OMISSIS), notificato il 16 marzo 2011, con il quale l’Ufficio aveva revocato le agevolazioni fiscali sull’acquisto (con atto pubblico del 14 marzo 2008, registrato il 1 aprile 2008) della prima casa di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, Nota II-bis Tariffa, Parte Prima, – recuperando la maggiore Iva, oltre sanzioni e interessi- in quanto l’immobile in questione, ad avviso dell’Agenzia, doveva essere qualificato di lusso ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, art. 6, per avere una superficie utile superiore ai 240 m.q.

2. La CTR – nel confermare la decisione di primo grado – in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che l’avviso di liquidazione impugnato era stato sufficientemente motivato in ordine alle ragioni di revoca del beneficio fiscale e che la CTP non aveva disatteso immotivatamente le conclusioni della CTU, avendo correttamente tenuto distinto il concetto di “superficie utile” da quello di “superficie abitabile”, per cui- contrariamente a quanto sostenuto dal CTU-i “locali di sgombero” dell’immobile in questione, ancorchè qualificati inabitabili in base alla normativa di settore, dovevano essere inclusi nel computo della “superficie utile” di cui al DM del 2 agosto 1969, assumendo unicamente rilievo la potenzialità degli stessi allo svolgimento delle attività della vita quotidiana.

3. Avverso la suddetta sentenza della CTR, M.F. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.

4. La causa è stata rimessa alla quinta sezione dalla sesta, non ravvisandosi i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1 e 5.

5. La contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, e della L. n. 241 del 1990, art. 3, per avere la CTR ritenuto l’avviso di liquidazione impugnato sufficientemente motivato anche se in nessuna parte dello stesso erano state indicate le ragioni sottese alla revoca dell’agevolazione fiscale sull’acquisto della prima casa di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, Nota II- bis Tariffa, Parte Prima, avendo l’Agenzia, solo in sede di controdeduzioni, fatto riferimento al parere tecnico dell’UTE del 10 marzo 2011 in ordine al carattere di lusso dell’immobile in questione.

1.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza non avendo il ricorso riportato testualmente il contenuto dell’avviso di liquidazione la sufficienza della cui motivazione viene censurata. Al riguardo, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. sez. 5, n. 16147 del 28/06/2017) essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento (Cass. sez. 5, n. 9536 del 19/04/2013).

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficienza, l’illogicità e contraddittorietà motivazionale della sentenza impugnata e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, tabella A, parte 2, allegata, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, nota 2-bis, tariffa allegata, e del D.M. 2 agosto 1969, art. 5. In particolare, la ricorrente deduce l’omesso esame da parte della CTR del fatto che i “locali di sgombero” dell’immobile in questione, reputati da includere nella “superficie utile” complessiva ai fini della configurazione dell’abitazione di lusso ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, art. 6, non godessero – come dimostrato dal CTU- delle caratteristiche di abitabilità e non fossero in concreto fruibili per le attività della vita quotidiana. Da qui anche il connesso errore di diritto in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado nell’avere fatto dipendere l’inclusione dei “locali di sgombero” dell’immobile in questione nel computo della “superficie utile” complessiva ai fini della qualificazione dello stesso come casa di lusso ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, art. 6, dalla sussistenza della caratteristica astratta dell’abitabilità e non dalla concreta utilizzabilità abitativa dei vani medesimi, e, dunque, senza considerare che questi ultimi – come accertato dal CTU -indipendentemente dalla loro nominalistica indicazione catastale come “locali di sgombero” anzichè di “cantina”, al pari di quelli espressamente esclusi dalla norma richiamata dal computo della superficie utile, fossero concretamente utilizzabili soltanto come “deposito, stenditoio e simili” non essendo, pertanto, fruibili per l’espletamento delle funzioni proprie della vita quotidiana.

2.1. Il primo profilo del secondo motivo concernente l’assunto difetto motivazionale della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile, stante l’applicabilità alla sentenza impugnata della regola della pronuncia c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348 ter c.p.c. (applicabile ratione temporis poichè il gravame è stato proposto il 14 agosto 2013), e della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (essendo stata la sentenza di appello depositata il 9 luglio 2014); in particolare, la doglianza è inammissibile in quanto contravviene al principio, condiviso dal Collegio, secondo cui nell’ipotesi, come quella che ci occupa, di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, applicabile anche nel giudizio di legittimità in materia tributaria, ovvero al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (cfr. Cass., sez. un., n. 8053 del 2014), il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 2014; Cass.n. 26774 del 2016); adempimento che la ricorrente, nel caso di specie, non ha svolto, emergendo comunque dal contenuto del ricorso che identica è la quaestio facti esaminata dalle due commissioni.

2.2. Parimenti inammissibile e, comunque, infondato si profila il secondo profilo del secondo motivo concernente la assunta violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, tabella A, parte 2, allegata, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, nota 2bis, tariffa allegata e del D.M. 2 agosto 1969, art. 5.

2.3. In primo luogo, la censura è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza, in quanto la ricorrente non ha trascritto, neppure per stralcio, il contenuto della relazione peritale, non essendo, a tal fine, sufficiente la riportata (pag. 9 del ricorso) determinazione – ad avviso del CTU – della superficie utile dell’immobile in questione in complessivi m.q. 195,41, per essere dalla contribuente contestata, ai fini della includibilità dei “locali di sgombero” in questione nella “superficie utile” complessiva ai fini della qualificazione dell’immobile come di lusso in forza del D.M. 2 agosto 1969, art. 6, la effettiva destinazione degli stessi in termini di potenziale utilizzabilità abitativa, a prescindere dalla loro astratta inabitabilità in base alla normativa di settore; ciò, in spregio al consolidato insegnamento di questa Corte, secondo cui “Il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 743/2017; n. 26174/14, sez. un. 28547/08, sez. un. 23019/07, sez. un. ord. n. 7161/10).

2.4. Peraltro, la ricorrente, nel denunciare l’erroneità della sentenza impugnata per essere stati i “locali di sgombero” dell’immobile de quo inclusi dalla CTR nel calcolo della superficie utile (superiore a m.q. 240) per qualificare l’abitazione di lusso, in base alla loro astratta abitabilità ancorchè questi non fossero concretamente utilizzabili per l’espletamento delle funzioni proprie della vita quotidiana, da un lato, non coglie la ratio decidendi, avendo il giudice di appello fondato la propria decisione – in ossequio all’orientamento consolidato di legittimità Cass. n. 17439/2013; Cass. n. 861/2014- sulla ritenuta utilizzabilità dei locali in questione per lo svolgimento delle attività della vita quotidiana, a prescindere dalla loro inabitabilità in base alla normativa di settore, e, dall’altro, chiede in realtà a questa Corte una inammissibile- in sede di legittimità- rivalutazione dei fatti di causa, avendo il giudice di appello – disattendendo, come la confermata CTP, le conclusioni della relazione peritale- accertato la “potenzialità abitativa” dei vani medesimi, in disparte alla loro inabitabilità; con ciò, risolvendosi la doglianza in una inammissibile assunta difformità di apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr. ex plurimis, Cass. 24198 del 2018; Cass. n. 27162 del 2009; Cass. n. 6064 del 2008).

2.5. In ogni caso la censura è infondata in quanto l’argomentazione in diritto della CTR- per cui ai fini della inclusione dei “locali di sgombero” nella superficie utile complessiva ai fini della qualificazione dell’immobile come di lusso non rileva l’abitabilità ma la potenzialità degli stessi allo svolgimento delle attività della vita quotidiana- è conforme all’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte in materia.

In tema di agevolazioni c.d. prima casa, al fine di stabilire se un’abitazione sia di lusso e come tale esclusa da detti benefici, occorre fare riferimento- avuto riguardo al momento dell’acquisto-alla nozione di superficie utile complessiva di cui al D.M. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, n. 1072, art. 6, per il quale, premesso che viene in rilievo la sola utilizzabilità e non anche l’effettiva abitabilità degli ambienti, detta superficie deve essere determinata escludendo dalla estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta, quella di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina (Cass., sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8409 del 26/03/2019; Sez. 5, Ordinanza n. 8421 del 31/03/2017). Costituendo parametro idoneo l’utilizzabilità” degli ambienti (a prescindere dalla loro effettiva abitabilità), a titolo esemplificativo, i vani, pur qualificati come cantina e soffitta ma con accesso dall’interno dell’abitazione e ad essa indissolubilmente legati, sono computabili nella superficie utile complessiva (Sez. 5, Sentenza n. 18480 del 21/09/2016). Parimenti, rientra nella superficie utile il sottotetto, trattandosi di locale non compreso nella predetta elencazione tassativa (Sez. 5, Sentenza n. 18483 del 21/09/2016). In definitiva, ciò che assume rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare – è la marcata potenzialità abitativa dello stesso (Sez. 5, Sentenza n. 25674 del 15/11/2013) e, più precisamente, l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana (Sez. 5, Sentenza n. 23591 del 20/12/2012).

Ne è possibile alcuna interpretazione che ne amplii la sfera operativa, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica (Sez. 5, Sentenza n. 10807 del 28/06/2012. In quest’ottica, non è possibile aderire ad una soluzione ermeneutica estensiva, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica e, quindi, questi non possono essere riconosciuti nelle ipotesi in cui non siano espressamente previsti (Sez. 5, Sentenza n. 22279 del 26/10/2011). La giurisprudenza di questa Corte ha altresì chiarito che, ai fini per cui è causa, non si applicano le normative edilizie o igienico-sanitarie (Cass. 12942/2013; 23591 del 2012; n. 10807 del 2012, n. 22279 del 2011; 25674/2013), in quanto gli unici locali da escludersi sono quelli espressamente indicati nella su riportata normativa (Cass. 861/2014; Cass. 24469/2015; 2016/11556). Questa Corte, con sentenza n. 21287/13, ha condivisibilmente affermato che il D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, art. 6, va interpretato nel senso di dover escludere dal dato quantitativo globale della superficie dell’immobile indicata nell’atto di acquisto (in essa compresi, dunque, i muri perimetrali e quelli divisori) solo, i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine e non l’intera superficie non calpestatile. A suffragio di tale orientamento può altresì sottolinearsi come nella formula “superficie utile complessiva” contenuta nel D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, art. 6, manchi l’aggettivo “netta” che, invece era presente nel testo (“superficie utile netta complessiva”) della disposizione che dettava la previgente definizione delle caratteristiche delle abitazioni di lusso (tabella allegata al D.M. 4 dicembre 1961; in questi termini, Cass., sez. 6, ord. 1 dicembre 2015, n. 24469).

Da ultimo, questa Corte (sez. 5, n. 19186 del 2019) ha, in materia, affermato il condivisibile principio di diritto secondo cui: “Ai fini della individuazione di una abitazione di lusso, nell’ottica di escludere il beneficio cd. prima casa, la superficie utile deve essere determinata guardando alla “utilizzabilità degli ambienti” a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituendo tale requisito, il parametro idoneo ad esprimere il carattere “lussuoso” di una abitazione. Ne consegue che il concetto di superficie utile non può restrittivamente identificarsi con la sola “superficie abitabile, dovendosi il D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, art. 6, essere interpretato nel senso che è “utile” tutta la superficie dell’unità immobiliare diversa dai balconi, dalle terrazze, dalle cantine, dalle soffitte, dalle scale e dal posto macchine e che nel calcolo dei 240 mq rientrano anche le murature, i pilastri, i tramezzi e i vani di porte e finestre”.

Nella specie, la CTR, con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, ha, in applicazione dei suddetti principi, incluso il piano interrato nel computo della “superficie utile complessiva”, a prescindere dalla abitabilità dello stesso, in base alla sua destinazione di uso quale “locale deposito” (derivante dalla autorizzazione di agibilità rilasciata dal Comune di Trani) il che ne esclude, al contempo, l’assimilabilità, di per sè, al concetto di “cantina”.

Nè, infine, risulta pertinente, ai fini della pretesa sussistenza del diritto alle agevolazioni fiscali, il richiamo allo jus superveniens asseritamente costituito dal D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 10, dedotto con la memoria depositata dalla ricorrente ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.; ciò in quanto la pretesa retroattività di tale disposizione viene sostenuta equiparando apoditticamente la materia impositiva a quella sanzionatoria alla quale soltanto si applica il principio del favor rei (v., in tal senso, Cass., sez. 5, n. 13420 del 2016). Al riguardo, il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 10, modificato dal D.L. 12 settembre 2013, n. 104, art. 26, comma 1, convertito dalla L. 8 novembre 2013, n, 128, intervenendo sul D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, tariffa parte prima allegata, ha effettivamente modificato l’art. 1 introducendo una diversa definizione dei requisiti oggettivi delle case di abitazione, per il cui acquisto a titolo oneroso è possibile usufruire – in presenza delle condizioni di cui alla nota 2A-bis – di un’aliquota ridotta dell’imposta di registro, ancorandola solo alla categoria catastale. Ora, come questa Corte ha già chiarito, di detta modifica, in forza alla quale l’aliquota ridotta è dovuta, ove ricorrano le condizioni di cui alla nota 2-bis per “le case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9,” “non può farsi applicazione retroattiva, in quanto si tratta di un intervento legislativo di totale e profonda innovazione del trattamento agevolato ai fini dell’imposta di registro che non si limita a modificare la fattispecie regolata dalla normativa previgente, ma opera una vera e propria sostituzione con una fattispecie assolutamente nuova e diversa. La stessa previsione legislativa stabilisce esplicitamente (al citato art. 10, comma 5) che le disposizioni dei precedenti commi si applicano a decorrere dal 1 gennaio 2014: con la conseguenza che la nuova regola trova applicazione esclusivamente con riferimento ai contratti registrati successivamente a tale data” (Cass., sez. 5, n. 13318 del 2016). Invero, il regime impositivo sostanziale, secondo la concreta tipologia del bene e le sue intrinseche caratteristiche qualitative e di superficie, in base ai parametri del D.M. 2 agosto 1969, è stato superato in forza del D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 33, che, nel modificare il D.P.R. n. 633 del 1972, n. 21 della tab. A, parte seconda, allegato – allineandosi allo stesso criterio dell’imposta di registro di cui al D.Lgs., n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a), il quale, ha sostituito il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, comma 2, parte prima, Tariffa allegata – ha espressamente richiamato il “criterio catastale”; con il risultato che- con riguardo ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente al 1 gennaio 2014- anche l’agevolazione IVA è esclusa (indipendentemente dalla sussistenza di tutti gli altri requisiti) per gli immobili rientranti in una delle suddette categorie; come già statuito da questa Corte, i principi di ragionevolezza ed equità contributiva impongono che, al fine di stabilire la spettanza delle agevolazioni tributarie di cui sopra, l’abitazione vada considerata “di lusso” o “non di lusso” con riferimento al momento dell’acquisto, e non a quello della sua costruzione o ristrutturazione successiva (vedi Cass. n. 1439/2016; sez. 6 – 5, n. 12853 del 21/06/2016; Sez. 5, n. 21791 del 05/12/2012). Nella specie, non può, pertanto, trovare applicazione la nuova normativa per essere l’atto di trasferimento in questione antecedente al richiamato discrimine temporale, con conseguente legittimità dell’avviso di liquidazione impugnato.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019

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