Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30900 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 29/11/2018, (ud. 14/11/2017, dep. 29/11/2018), n.30900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6027/2013 proposto da:

D.M.F., C.F. (OMISSIS), C.A. C.F. (OMISSIS),

rappresentati e difesi dagli avvocati GIUSEPPE MARZIALE e PATRIZIA

TOTARO, domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR PRESSO LA CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

TUPINI 113, presso lo studio dell’avvocato NICOLA CORBO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA ALLA VIA DEI

PORTOGHESI 12, giusta atto di costituzione;

– resistente –

avverso la sentenza n. 8500/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/02/2012 R.G.N. 4189/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/11/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PATRIZIA TOTARO;

udito l’Avvocato ANGELO POMPEI per delega Avvocato NICOLA CORBO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Roma, con sentenza depositata il 14.2.2012, rigettava il gravame interposto da C.A. e D.M.F., nei confronti della Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva respinto il ricorso con cui i medesimi chiedevano il risarcimento del danno per essere stati ingiustamente privati delle concessioni gratuite di viaggio, così come accertato dal Tribunale di Salerno con la sentenza n. 3086/1999, confermata dalla Corte di Appello con pronunzia resa in data 22.3.2001, divenuta irrevocabile.

Per la cassazione della sentenza il C. ed il D.M. hanno proposto ricorso sulla base di tre motivi.

La Rete Ferroviaria Italiana ha resistito con controricorso.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato un “Atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”, senza svolgere attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè il difetto di motivazione per illogicità e contraddittorietà della stessa, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed in particolare, si assume che la motivazione sarebbe “violativa dell’art. 115 c.p.c., perchè non è vero che gli allora appellanti fossero transitati al Ministero dei Lavori Pubblici; risulta dagli atti che gli appellanti siano transitati al Ministero dell’Economia e delle Finanze, peraltro costituito in giudizio” ed inoltre che violerebbe l’art. 112 c.p.c., “perchè gli allora appellanti non hanno lamentato in giudizio contrariamente a quanto sostenuto dal Collegio – una omessa determinazione nella retribuzione del controvalore economico delle concessioni gratuite di viaggio” e, quindi, i giudici di secondo grado avrebbero motivato oltre la domanda, “anzi, prendendo in esame una domanda del tutto assente in atti”; dalla qual cosa, discenderebbe, a parere dei ricorrenti, la illogicità della motivazione della sentenza impugnata, causata, appunto, dall’errata identificazione e qualificazione della domanda, che non atteneva alla “rideterminazione del trattamento economico in godimento ai ricorrenti all’indomani della mobilità”, ma “alla pretesa risarcitoria avanzata nei confronti di RFI per l’omesso rilascio delle concessioni gratuite di viaggio”.

2. Con il secondo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1223,1226,1453,2697 c.c. e degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la illogicità e contraddittorietà della motivazione e si lamenta che la sentenza impugnata avrebbe affermato, in modo erroneo e contraddittorio, che la mancata concessione della carta di viaggio gratuito non produce ex se un danno, e che, se ha prodotto un danno, come lamentato dai lavoratori, questo deve essere provato; in tal modo, a parere dei ricorrenti, i giudici di secondo grado non avrebbero considerato che la responsabilità di cui agli artt. 1218 e 1453 c.c., discende automaticamente dall’inadempimento del debitore, obbligando quest’ultimo a risarcire il danno prodotto, costituito, nel caso di specie, dalla mancata disponibilità del bene “concessioni gratuite di viaggio”. I ricorrenti ribadiscono, anche con tale motivo, la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., nella parte in cui nella sentenza si assume che i medesimi avrebbero lamentato il danno derivato dal mancato godimento di viaggi gratuiti, avendo, invece, i lavoratori denunciato la mancanza di disponibilità del bene “concessioni gratuite di viaggio”: domanda, peraltro, “ben individuata a pag. 3 della sentenza, ove è scritto che gli odierni appellanti chiedono così come hanno chiesto in primo grado il risarcimento del danno per essere stati ingiustamente privati delle concessioni gratuite di viaggio dal 1991 al 2003…”.

3. Con il terzo motivo si assume che la sentenza sia nulla, in quanto, in violazione dell’art. 132 c.p.c., “non è stata resa nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, parte del giudizio di appello, sebbene contumace”.

1.1. Il primo motivo non è meritevole di accoglimento.

Invero, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità la violazione dell’art. 112 c.p.c. – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 – sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda o la pronunzia su una domanda non proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn. 13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008); ipotesi, queste, che non si profilano nel caso di specie, in cui i giudici di seconda istanza hanno correttamente identificato il petitum con la richiesta, da parte dei ricorrenti, di “risarcimento del danno per essere stati ingiustamente privati delle concessioni gratuite di viaggio dal 1991 sino al 2003” (v. pag. 3 della sentenza). Del resto, proprio il C. ed il D.M., nell’articolazione dei primi due mezzi di impugnazione, hanno affermato che la domanda di entrambi “non atteneva alla rideterminazione del trattamento economico in godimento ai ricorrenti all’indomani della mobilità”, ma “alla pretesa risarcitoria avanzata nei confronti di RFI per l’omesso rilascio delle concessioni gratuite di viaggio” (primo motivo); ed altresì che tale “domanda”, peraltro, è stata “ben individuata a pag. 3 della sentenza, ove è scritto che gli odierni appellanti chiedono così come hanno chiesto in primo grado il risarcimento del danno per essere stati ingiustamente privati delle concessioni gratuite di viaggio dal 1991 al 2003” (secondo motivo).

Rebus sic stantibus, non può ritenersi che vi sia stata da parte della Corte territoriale una errata identificazione e qualificazione della domanda, nè, conseguentemente, che si sia in presenza di “una motivazione che, prendendo in esame una domanda del tutto assente in atti”, sarebbe “illogica, a causa di quella errata qualificazione”.

Neppure può profilarsi la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., perchè nella sentenza oggetto del presente giudizio si afferma che il C. ed il D.M., “a seguito delle procedure di mobilità previste dalla L. 29 dicembre 1988, n. 554, erano transitati dalle Ferrovie dello Stato al Ministero dei Lavori Pubblici”, mentre “risulta dagli atti” che “erano transitati al Ministero dell’Economia e delle Finanze, peraltro costituito in giudizio”. L’errata indicazione del Ministero, frutto di un evidente errore materiale, non ha inciso, infatti, sul contenuto sostanziale della decisione, nè ha condotto i giudici di secondo grado ad un illegittimo mutamento della domanda, costituendo un vizio meramente formale della sentenza, derivante da una divergenza evidente – e che avrebbe potuto essere facilmente rettificata ai sensi degli artt. 287 codice di rito e segg. (cfr., ex plurimis, Cass. civ. Sez. 6, ord. n. 1207/2015), tra l’intendimento dei giudici e la sua esteriorizzazione, con esclusione di tutto ciò che attiene al processo formativo della volontà.

2.2. Anche il secondo motivo è da respingere.

Per quanto, innanzitutto, attiene alle censure relative alla violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., ed alla denunciata illogicità della motivazione, valgano le considerazioni svolte sub 1.1.

In ordine, poi, alla asserita violazione degli artt. 1218,1223,1226,1453,2697 c.c., per non avere la Corte di Appello accolto la richiesta dei lavoratori di risarcimento del danno effettivamente cagionato dall’omesso rilascio delle concessioni gratuite di viaggio cui i ricorrenti avevano diritto, va osservato che, correttamente, i giudici di merito hanno affermato, al riguardo, che i ricorrenti non hanno fornito la prova di avere subito un danno a causa del mancato rilascio delle carte di viaggio, poichè da tale mancato rilascio il danno non consegue ex se, non potendosi avallare la tesi dei medesimi, alla stregua della quale la prova del danno sarebbe data dalla lesione dell’interesse creditorio alla disponibilità delle tessere gratuite, avendo l’inadempimento cagionato l’indisponibilità delle stesse, con conseguente perdita dell’opportunità di effettuare eventuali viaggi.

Ed invero, “in tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di chances – che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non costituisce una mera aspettativa di fatto ma una entità a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione – ha l’onere di provare la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta” (v., tra le molte, Cass. n. 23240/2011). Del tutto condivisibile ed esente, altresì, dai denunciati vizi di motivazione, è, quindi, la sentenza oggetto del presente giudizio che, facendo corretta applicazione del disposto degli artt. 1218 e segg., artt. 1453e 2697 c.c., ed in sintonia con le pronunce giurisprudenziali di questa Corte, ha osservato che “la previsione dell’art. 1453 c.c., comma 2, in forza della quale è possibile, in deroga alle norme processuali che dispongono il divieto della mutatio libelli nel corso del processo, la sostituzione della domanda di risoluzione per inadempimento a quella originaria di adempimento del contratto, non può essere estesa al caso in cui la domanda originaria abbia avuto ad oggetto il risarcimento del danno, che integra una azione con un petitum del tutto diverso sia dalla domanda di adempimento che da quella di risoluzione”. E nella fattispecie, non essendosi in presenza di una domanda di adempimento per la prestazione rimasta ineseguita, ma, come più volte ribadito, di risarcimento del danno conseguente al mancato rilascio delle carte gratuite di viaggio, i lavoratori avevano l’onere di provare, come rettamente sottolineato dalla Corte di merito, di avere sopportato dei costi per effettuare dei viaggi, costituendo tali costi il danno subito.

3.3. Neppure il terzo motivo può essere accolto.

Ed invero, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di legittimità, l’omessa indicazione nell’epigrafe della sentenza del nome di una delle parti rende nulla la sentenza solo quando non sia dato desumere, dallo “svolgimento del processo” o dai “motivi della decisione”, la sua effettiva partecipazione al giudizio, con conseguente incertezza assoluta in ordine all’individuazione del soggetto nei cui confronti la pronunzia è destinata a produrre i suol effetti (cfr., tra le altre, Cass. nn. 16535/2012; 23670/2011; 7343/2010). Ed inoltre, la mancata indicazione della parte contumace nell’epigrafe della sentenza ipotesi analoga a quella di cui si tratta – e la mancata dichiarazione di contumacia della stessa non incidono sulla regolarità del contraddittorio, ove risulti che la parte sia stata regolarmente citata in giudizio, configurando tali omissioni errore materiale emendabile con la apposita procedura (v., tra le altre, Cass. nn. 18513/2006; 8364/2000). Pertanto, nella fattispecie, si è in presenza di un mero errore materiale e non di una ipotesi di nullità della sentenza impugnata, poichè quest’ultima è comunque idonea al raggiungimento dello scopo, essendo, peraltro, direttamente ricavabili dalla stessa (nella quale, più volte, si fa riferimento al Ministero) le indicazioni mancanti in epigrafe. Inoltre, è da rilevare che i ricorrenti non hanno svolto alcuna doglianza in ordine alla regolarità del contraddittorio.

Per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato.

4. Le spese, liquidate in favore della R.F.I. S.p.A. come in dispositivo, seguono la soccombenza. Nulla per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non ha svolto attività difensiva.

5. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, in favore della R.F.I. S.p.A., liquidate complessivamente in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Nulla nei confronti del M.E.F..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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