Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30900 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2019, (ud. 05/02/2019, dep. 26/11/2019), n.30900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.E., elettivamente domiciliato in Roma, via Anapo 20,

presso l’avv. Carla Riccio (fax 06/8553168, p.e.c.

carlariccio.ordineavvocatiroma.org) rappresentato e difeso dall’avv.

Nerio Zuccaccia (fax 075/5732789; p.e.c.

nerio.zuccaccia.avvocatiperugiapec.it) come da procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

nei confronti di:

P.B., elettivamente domiciliata in Roma, viale Parioli

77, presso l’avv. Paolo Colosimo (fax 06/44240559, p.e.c.

paolocolosimo.ordineavvocatiroma.orq) e rappresentata e difesa

dall’avv. Alessia Pula fax 075/9665556, p.e.c.

alessia.pula.avvocatiperugiapec.it) giusta procura in calce al

controricorso;

(ammessa p.s.s. 2117/2017 Delib. Ord. Avv. Perugia);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 230/17 della Corte di appello di Perugia

emessa il 23.3.2017 e depositata il 6.4.2017 R.G. n. 533/2016;

sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons.

Bisogni Giacinto.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di Appello di Perugia ha respinto la domanda, proposta dal sig. B.E., di delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio, contratto con la sig.ra P.B. e celebrato il (OMISSIS). La Corte di appello richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Ci v. S.U. n. 16379 del 17 luglio 2014) ha ritenuto di dover respingere la domanda sul presupposto della stabile convivenza dei coniugi per oltre tre anni dalla data del matrimonio.

2. Ricorre per cassazione il sig. B. con due motivi illustrati anche con memoria difensiva. Con il primo, con il quale deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 121 del 1985, art. 8, comma 2, e dell’art. 797 c.p.c., sostiene che secondo la giurisprudenza delle SS.UU. i due requisiti (stabilità ed esteriorità) della convivenza ultratriennale, ostativi alla delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento, sono, nel caso in esame, insussistenti ed espone di aver avuto una relazione extraconiugale già a partire dal 2012 e di aver vissuto con la P. come un “separato in casa” già dal dicembre del 2011. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo rilevando che dalla sentenza ecclesiastica non può evincersi la continuità della convivenza. In ogni caso il ricorrente ritiene errata la interpretazione e qualificazione della convivenza, come stabile e continuativa, ai fini dell’applicazione della citata giurisprudenza di legittimità, perchè, anche a voler qualificare la convivenza come continuativa, essa sarebbe stata comunque l’espressione di un matrimonio meramente formale.

3. Si difende con controricorso P.B..

Diritto

RITENUTO

che:

4. Il ricorso è infondato alla luce della giurisprudenza citata (cfr. anche Cass. Civ. sez. I n. 8494 del 27 gennaio 2015 e la giurisprudenza successiva).

5. Il Collegio oltre a ribadire che la convivenza “come coniugi”, quale elemento essenziale del “matrimonio-rapporto”, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di “ordine pubblico italiano”, la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, già affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 18 del 1982 e n. 203 del 1989, ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del “matrimonio-atto” intende altresì affermare che il dato incontroverso (come nel caso in esame) della convivenza continuativa ultratriennale non può essere messo in discussione, al fine di escludere la condizione ostativa al riconoscimento in Italia della sentenza di annullamento ecclesiastico del matrimonio, deducendo una non adesione affettiva al rapporto di convivenza da parte di uno o di entrambi i coniugi. Occorre, perchè tale dedotta mancanza di affectio coniugalis sia rilevante, che entrambi i coniugi la riconoscano, al momento della proposizione della domanda di delibazione, ovvero che gli stessi abbiano manifestato inequivocamente all’esterno la piena volontà di non considerare la convivenza come un elemento fondamentale integrativo della relazione coniugale ma come una semplice coabitazione. Occorre altresì che sia manifesta la consapevolezza delle conseguenze giuridiche di tale esteriorizzazione e cioè l’affermazione comune dell’esclusione degli effetti giuridici propri del matrimonio per effetto della semplice coabitazione. In altri termini è necessaria una ricognizione comune ed esteriorizzata della esclusione del carattere coniugale della convivenza. In questa prospettiva appare irrilevante accertare se l’unione fra i coniugi nel periodo di convivenza ultratriennale sia stata più o meno felice ovvero se vi sia stata una parziale o integrale non adesione affettiva da parte dei coniugi al dato fattuale della convivenza. Tale mancanza di adesione affettiva può acquistare rilevanza giuridica solo se viene concordemente riconosciuta e manifestata all’esterno in modo da privare alla convivenza ogni valenza riconducibile all’estrinsecazione del rapporto coniugale.

6. Nel caso in esame questo ulteriore requisito che renda rilevante la mancanza di affectio coniugalis non è stato dedotto dal ricorrente nè tantomeno provato. Esso è inoltre contestato dalla controricorrente. Pertanto le deduzioni del ricorrente potrebbero tuttalpiù attestare una sua non adesione affettiva al matrimonio dopo pochi mesi dalla sua celebrazione ma tale attitudine psicologica non ha impedito ai due coniugi di vivere insieme per oltre tre anni dando continuità alla convivenza che avevano intrapreso in quanto coniugi.

7. Il ricorso deve essere pertanto respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. Non sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, quanto alla imposizione del versamento di ulteriore somma pari a quella già versata dal ricorrente a titolo di contributo unificato in seguito all’ammissione al patrocinio a spese dello stato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 3.600 Euro, di cui 200 per spese, oltre spese forfettarie e accessori di legge.

Ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Dispone che in caso di pubblicazione della presente ordinanza siano omesse le generalità e gli altri elementi identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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