Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3090 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. I, 10/02/2020, (ud. 18/10/2019, dep. 10/02/2020), n.3090

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliera –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

D.S.S., domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentata e difesa nel presente giudizio,

giusta procura alle liti in calce al ricorso, dall’avv. Antonina

Scolaro, che dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al

processo alla p.e.c. antoninascolaro.pec.ordineavvocatitorino.it e

al fax n. 011/5617188;

– ricorrente –

nei confronti di:

Avv. C.A., nella qualità di curatrice speciale del

minore M.S.F., che rappresenta il minore nel

presente giudizio, in cui domicilia presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione con indicazione della p.e.c.

assuntaconfente.pec.ordineavvocatitorino.it e del telefax n.

011.19765349;

– controricorrente –

e

G.R., tutore provvisorio del minore

M.S.F., domiciliata presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa, per delega in calce al controricorso,

dall’avv. Carola Maria Giraudo che indica per le comunicazioni

relative al processo il fax n. 011/7419118 e p.e.c.

carolagiraudo.pec.ordineavvocatitorino.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/2018 della Corte di appello di Torino,

emessa il 19.6.2018 e depositata il 13.9.2018, n. R.G. n. 473/2017;

sentita la relazione in Camera di consiglio del relatore Dott.

Giacinto Bisogni.

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale per i minorenni di Torino ha aperto in data 12.5.2014 una procedura per l’accertamento dello stato di abbandono e la dichiarazione di adottabilità nei confronti del minore D.S.S.F., su ricorso del P.M. che aveva segnalato come il bambino era nato, il (OMISSIS), in stato di astinenza neonatale per l’assunzione di cocaina e benzodiazepina da parte della madre, D.S.S., durante la gravidanza. Questa circostanza e le condizioni di fragilità psichica e di difficoltà economica della madre nonchè il mancato riconoscimento da parte del padre avevano indotto il Procuratore minorile a richiedere l’apertura del procedimento.

Con il decreto di apertura del procedimento il T.M. di Torino ha disposto l’inserimento del minore insieme alla madre in comunità.

Nel procedimento sono intervenuti i nonni paterni e la nonna materna chiedendo l’affidamento del minore.

Nel (OMISSIS) il bambino è stato riconosciuto dal padre, M.G., di cui ha assunto il cognome in sostituzione di quello materno.

Le relazione del Servizio Sociale del (OMISSIS) ha evidenziato una serie di profili problematici di entrambi i genitori. La madre non riconosce di essere tossicodipendente e chiede di essere inserita in una comunità diversa mostra un forte legame con il figlio ma presenta anche una forte incapacità di intraprendere un percorso di cura e ciò le impedisce di svolgere adeguatamente il suo ruolo di madre. Il padre è assuntore di sostanze dichiarato e convinto e non intende farsi aiutare per smettere.

Il T.M. con decreto del 5.1.2015 ha disposto l’inserimento del minore presso un’altra comunità insieme alla madre. Successivamente, con decreto del 1 marzo 2016, pur rilevando che dalla consulenza tecnica, esperita per ricostruire il profilo soggettivo e la capacità genitoriale di D.S.S. e M.G. e per accertare le condizioni del minore, risultano forti elementi ostativi a una risoluzione terapeutica dei problemi personali dei genitori, ha tuttavia rilevato che la relazione trasmessa dalla Comunità terapeutica non evidenzia una particolare inadeguatezza materna nella gestione quotidiana materiale del bambino, che il padre ha iniziato da un anno un percorso terapeutico e si è presentato regolarmente agli incontri con il bambino e ha ritenuto che debba essere data ai genitori la possibilità di proseguire il loro percorso di cura al fine di consentirgli di diventare una risorsa per il figlio e di assumere il loro ruolo di genitori. Il T.M. ha quindi sospeso il procedimento per sei mesi disponendo l’inserimento di S. presso una famiglia affidataria e disponendo che i Servizi Sociali, il SERT e il Servizio di NPI proseguissero i rispettivi interventi. Ha disposto incontri bisettimanali con i genitori e quindicinali con i nonni.

Durante il periodo di sospensione il sig. M. ha abbandonato la terapia e non si è presentato più presso il SERT. La sig.ra D.S. ha tentato il suicidio in quanto era sopraffatta dal timore che il piccolo S. venisse dichiarato adottabile.

Tuttavia il provvedimento di sospensione del T.M. è stato prorogato di sei mesi a partire dal 20 ottobre 2016 e nello stesso tempo è stata disposta una nuova CTU che ha affermato la assenza di patologie psichiatriche maggiori a carico della madre, che tuttavia vive una condizione borderline che la rende fragile e incapace di tollerare le frustrazioni, ma ha riconosciuto una forte collaborazione con i Servizi per il buon esito dell’intervento terapeutico cui si è sottoposta e ha affermato l’esistenza di una relazione importante di S. con la madre la quale ha smesso qualsiasi assunzione di sostanze stupefacenti e si è dimostrata molto motivata a recuperare la sua capacità genitoriale.

In considerazione di queste valutazioni il T.M. con sentenza del 26 settembre 2017 ha dichiarato non luogo a provvedere sulla richiesta dichiarazione di adottabilità e ha confermato per due anni l’affidamento eterofamiliare periodo da utilizzare per un massiccio intervento terapeutico a sostegno della madre.

La sentenza è stata appellata in via principale dalla curatrice speciale del minore e dal tutore provvisorio e in via incidentale dalla sig.ra D.S. che ha censurato la persistente dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale.

La Corte di appello ha accolto l’impugnazione della curatrice speciale e del tutore provvisorio ritenendo che sebbene dalla audizione della D.S., degli operatori dei servizi sociali e della psicologa del SERT presso cui è in cura, risulta l’impegno della madre in un percorso psicoterapeutico rivolto al superamento delle sue fragilità e al recupero delle sue capacità genitoriali, tuttavia tale percorso iniziato di recente non consente ancora di pronosticare quali obiettivi saranno effettivamente raggiunti nè di preventivare i tempi di recupero delle capacità genitoriali. A fronte di questi profili problematici riferibili alla madre sta il disinvestimento affettivo e materiale del padre nella relazione con il figlio e la incapacità riscontrata nei nonni di assumere un valido ruolo di sostegno. Secondo la Corte distrettuale, dopo quattro anni dalla sua nascita, non è dato al piccolo S. di godere di quella stabilità di legami con le figure di riferimento di cui ha bisogno per il suo sviluppo. Tale situazione di precarietà non è adeguatamente risolvibile con un affidamento extrafamiliare data l’imprevedibilità delle possibilità di recupero delle capacità genitoriali da parte della madre e dei tempi in cui essa potrà attuarsi. La Corte di appello ha ritenuto pertanto che la sola adozione può garantire a S. una stabilità di legami di cui ha indifferibilmente bisogno.

Ricorre per cassazione D.S.S. che propone tre motivi di impugnazione, illustrati da memoria difensiva, con i quali deduce: a) violazione e/o falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,8 e 15, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; b) violazione dell’art. 18 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 ratificata con L. 27 maggio 1991, n. 176, nonchè violazione dei principi di cui all’art. 30 Cost., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; c) omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La ricorrente ritiene con il primo motivo che la dichiarazione di adottabilità viola le disposizioni normative invocate perchè recide definitivamente, e in assenza di una situazione di abbandono, il legame fondamentale del piccolo S., con la madre, determinandogli un trauma grave e ponendosi in contrasto con il diritto fondamentale di ogni minore a vivere nella sua famiglia di origine. Tutto ciò mentre sono stati acquisiti risultati straordinari nel recupero delle capacità genitoriali e di una condizione di equilibrio e di stabilità sia psichica che esistenziale. Nel periodo successivo alla decisione in data 26/9-5/10/2017 del Tribunale minorile che aveva, contestualmente alla pronuncia di non luogo a provvedere sulla dichiarazione di adottabilità, confermato l’affidamento etero-familiare per ulteriori due anni e previsto incontri di S. in luogo neutro con la madre con possibilità della loro liberazione, la ricorrente, oltre a continuare a non assumere qualsiasi sostanza stupefacente e a prestare una piena adesione al progetto di recupero predisposto dai servizi, ha infatti reperito un alloggio ATC, dove abita da sola, ha frequentato un corso di 300 ore di formazione al lavoro, svolge attività lavorativa, sia pure saltuaria, come badante e collaboratrice familiare, si è iscritta alle liste di collocamento, è inserita in un progetto territoriale in favore dei minori, ha instaurato un ottimo rapporto sia con i servizi che con la famiglia affidataria nello spirito di un reciproco riconoscimento e di una proficua collaborazione, si è sottoposta a un trattamento psicoterapeutico rispetto al quale è fortemente partecipativa e puntuale ottenendo un aiuto importante per superare le difficoltà cui deve fare fronte, ha sviluppato un atteggiamento più maturo, consapevole e responsabile. La ricorrente ritiene pertanto immotivata la affermazione della Corte di appello secondo cui non è possibile pronosticare alcun esito del progetto di recupero delle sue capacità genitoriali e esistenziali e tanto meno è possibile pronosticare un tempo di definizione di tale intervento di sostegno che sia compatibile con le esigenze del minore. Questi è attualmente inserito molto positivamente in un nucleo familiare affidatario che riconosce il ruolo imprescindibile della madre e si dichiara e si dimostra disposto a fornire l’aiuto necessario nel periodo necessario a completare l’intervento di recupero finalizzato a consentire il ritorno del piccolo S. presso la madre.

Con il secondo motivo la ricorrente evidenzia che, in base a tutte le circostanze e le considerazioni prospettate con il precedente motivo, la dichiarazione di adottabilità non risponde palesemente nel caso esame a quella caratteristica di provvedimento percorribile come extrema ratio di fronte alla constatata incapacità della famiglia di origine a recuperare e svolgere il proprio ruolo di cura e di educazione. Infine con il terzo motivo la ricorrente prospetta il mancato esame di un fatto decisivo quale la “liberalizzazione” degli incontri della madre con il figlio a partire dal giugno 2018 e sottolinea gli esiti estremamente positivi di questo provvedimento che ha determinato una situazione di benessere per il figlio e una piena collaborazione fra la madre e la famiglia affidataria nell’organizzazione degli incontri.

Propongono controricorso l’avv. C.A. nella qualità di curatrice speciale del minore e la direttrice del Servizio Sociale CSSA di (OMISSIS) in qualità di tutore provvisorio del minore. Entrambe ritengono il ricorso inammissibile perchè inteso a una rivalutazione del merito e affermano la piena e esauriente valutazione da parte della Corte di appello di tutte le circostanze prospettate dalla ricorrente. Condividono quindi la decisione della Corte di appello che ha preso atto di una situazione di precarietà che si protrae dalla nascita del minore e che pregiudica il suo inserimento in una famiglia idonea a curarne l’educazione e la crescita nonostante l’accertata incapacità genitoriale. Rilevano che la stessa CT di parte ( D.S.) ha concluso la propria relazione suggerendo una adozione mite o aperta condividendo evidentemente l’attuale stato di abbandono e l’impossibilità di recupero della capacità genitoriale della madre in tempi compatibili con le esigenze del minore.

Diritto

RITENUTO

che:

La controversia presenta aspetti altamente problematici nella valutazione delle capacità e nei tempi di recupero della madre e del suo rapporto con il figlio che, sebbene costituiscano l’oggetto di una indagine e di una deliberazione prettamente di merito, debbono tuttavia essere esaminati e discussi, in pubblica udienza, in questo giudizio, al fine di verificare se il tempo di due anni previsto dal Tribunale minorile come durata ulteriore dell’affidamento etero-familiare entro la quale sperimentare il percorso di recupero della capacità genitoriale costituisca uno spazio temporale necessario e non revocabile cui subordinare l’eventuale e successiva adozione di un provvedimento rescissivo del rapporto genitoriale, salvo la constatazione di chiari e irreversibili elementi che smentiscano radicalmente le possibilità di recupero, e ciò nella prospettiva della legittimazione, sia nel diritto interno, che in quello convenzionale e internazionale, della dichiarazione di adottabilità come extrema ratio derogativa del diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine e del procedimento di adottabilità come procedimento inteso primariamente a consentire il recupero di tale capacità attraverso un percorso di sostegno e di monitoraggio da realizzare sotto il controllo dell’autorità giudiziaria.

Ulteriore elemento di discussione, che emerge dal caso in esame e che il Collegio ritiene proprio del giudizio di legittimità, è quello di verificare in che termini una situazione cd. di semi-abbandono possa ritenersi compatibile con la dichiarazione di adottabilità e in che misura essa richieda la valutazione, in concreto, della adeguatezza, all’interesse del minore, di un affidamento eterofamiliare in corso e della possibilità che esso consenta il futuro e positivo reinserimento del minore nel suo nucleo familiare di origine.

Va pertanto rinviato a nuovo ruolo il giudizio per la discussione in pubblica udienza.

PQM

La Corte rinvia la causa a nuovo ruolo.

Dispone che in caso di pubblicazione o diffusione della presente ordinanza vengano omesse le indicazioni dei nominativi e degli elementi identificativi della ricorrente e del minore.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020

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