Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30898 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 29/11/2018, (ud. 08/11/2017, dep. 29/11/2018), n.30898

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15537/2013 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II

5, presso lo studio dell’avvocato ETTORE TRAVARELLI, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3484/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/06/2012 R.G.N. 249/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CAMILLA NANNETTI per delega verbale Avvocato ARTURO

MARESCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte territoriale di Roma, con sentenza depositata il 21.6.2012, respingeva l’appello interposto da Poste Italiane S.p.A., nei confronti di M.F., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che, in accoglimento della domanda del ricorrente, aveva dichiarato il diritto dello stesso a prestare servizio alle dipendenze della società, secondo le mansioni e gli orari indicati nell’Accordo sottoscritto il 13.1.2006 dalla stessa società e dalle OO.SS..

A sostegno del gravame, Poste Italiane S.p.A. assumeva che il M. non possedeva i requisiti richiesti per aderire al predetto accordo e che, pertanto, non era valido il verbale di conciliazione del 27.4.2006, sottoscritto dal lavoratore e dalla società, dal quale era scaturito l’obbligo di quest’ultima di assumere il M. con contratto part-time verticale per la durata di due anni dalla sottoscrizione del verbale, a fronte della rinunzia del lavoratore a far valere la sentenza del Tribunale di Roma con cui era stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato inter partes.

Per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A., articolando due motivi ulteriormente illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 codice di rito.

M.F. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’interpretazione dell’Accordo tra Poste Italiane S.p.A. e le OO.SS. del 13.1.2006, nonchè del verbale di conciliazione sottoscritto dalle parti in data 27.4.2006 ed altresì la violazione dell’Accordo del 13.1.2006. In particolare, si lamenta che la Corte di merito avrebbe erroneamente interpretato tale Accordo – che regola il consolidamento dei rapporti di lavoro dei dipendenti riammessi in servizio per ordine del giudice, a seguito della dichiarazione di illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro – e, conseguentemente, avrebbe erroneamente ritenuto la validità del verbale di conciliazione sottoscritto dal M. e dalla società datrice di lavoro in data 27.4.2006, senza considerare che il lavoratore non possedeva i requisiti richiesti per poter aderire all’Accordo da cui è scaturito il verbale, dal momento che egli, alla data del 13.1.2006 non era in servizio presso Poste Italiane S.p.A.. Ciò, in quanto, a far data dal 5.1.2006, non si era più presentato sul luogo di lavoro senza avvertire la società; per la qual cosa, quest’ultima aveva avviato, nei confronti dello stesso, un procedimento disciplinare, all’esito del quale, in data 21.2.2006, aveva intimato il licenziamento al dipendente. E pertanto, a parere della ricorrente, il lavoratore, nè alla data del 13.1.2006, nè al momento della firma del verbale di conciliazione (27.4.2006), possedeva uno dei requisiti fondamentali – la prestazione del servizio presso la società – richiesti per poter essere compreso tra i lavoratori cui l’Accordo si riferiva.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per insufficiente o omessa motivazione, e si assume che i giudici di seconda istanza avrebbero omesso di valutare il documento n. 16 (che viene allegato), con il quale, in data 31.5.2006, Poste Italiane S.p.A. ha eccepito l’invalidità della transazione sottoscritta il 27.4.2006, per mancato possesso, da parte del M., dei requisiti per la sottoscrizione del verbale di conciliazione ritenuto “invalido a tutti gli effetti atteso che alla data del 13.1.2006 Ella non prestava attività lavorativa per l’Azienda come previsto dal citato Accordo del 13.1.2006, quale requisito essenziale per la stabilizzazione della posizione lavorativa”.

1.1.; 2.2. I motivi, da trattare congiuntamente, stante l’evidente connessione, non sono meritevoli di accoglimento.

Invero, i giudici di merito sono pervenuti alla decisione oggetto del giudizio di legittimità attraverso un iter motivazionale sorretto da un corretto percorso logico-giuridico, fondato sull’esame analitico degli atti di causa e sulla valutazione del comportamento tenuto dalle parti nella vicenda di cui si tratta. Ed hanno condivisibilmente sottolineato che “la fattispecie oggetto della controversia trae origine da contrastanti comportamenti della società, la quale, da un lato, aveva proceduto ad intimare al Masciolo con lettera raccomandata del 21.2.2006 (a seguito di contestazione disciplinare ricevuta dall’appellato il 9.2.2006) il licenziamento”, perchè egli non si era presentato al lavoro e, dall’altro “aveva accettato l’istanza presentata in data 28.2.2006 dall’appellato di adesione all’accordo collettivo sul consolidamento del rapporto di lavoro”. Ed infatti, la stessa società aveva, successivamente, in data 27.4.2006, sottoscritto con il ricorrente, il verbale di conciliazione in sede sindacale. Ed ancora, in data 31.5.2006, con la lettera raccomandata di cui al documento 16, sul quale verte la censura del secondo mezzo di impugnazione, aveva eccepito l’invalidità di quella transazione, per mancato possesso, da parte del M., dei requisiti per la sottoscrizione del verbale di conciliazione, assumendo che lo stesso, al momento della stipula dell’Accordo del 13.1.2006 tra Poste Italiane S.p.A. e le OO.SS., non prestasse più attività lavorativa presso l’azienda.

Inoltre, la circostanza – sulla quale non vi è contestazione – che il M., dal 5.1.2006, non si sia più presentato al lavoro senza addurre giustificazione integra una ipotesi di assenza ingiustificata, ma, in mancanza di un provvedimento espulsivo (intervenuto solo il 21.2.2006), non può indurre ad affermare che, già il 13.1.2006, il lavoratore non fosse più da considerare alle dipendenze della società ricorrente. La quale ultima, peraltro, come innanzi riferito, aveva sottoscritto con il M. la transazione novativa del 27.4.2006, con cui, sulla base di una reciproca rinunzia alle rispettive pretese, le parti hanno estinto la situazione negoziale precedente, instaurando, così, un nuovo rapporto di lavoro, volto a costituire situazioni giuridiche autonome, in sostituzione di quello precedente.

Pertanto, correttamente, la Corte di merito ha reputato che, avendo la società, nelle more del provvedimento espulsivo, accolto l’istanza di adesione all’accordo collettivo da parte del lavoratore, abbia posto in essere un comportamento positivo volto a superare l’intimato licenziamento.

Per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato.

3. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

4. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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