Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30892 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. I, 29/11/2018, (ud. 07/11/2018, dep. 29/11/2018), n.30892

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso nr.12122/2018 proposto da:

SULEIMAN KONTEH, elettivamente domiciliato in Fermo Viale della

Carriera 109 presso lo studio dell’Avv.to Lara Petracci che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore

domiciliati in Roma Via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che li rappresenta e difende ex lege;

– intimato –

avverso il decreto nr.2911/2018 emessa dal Tribunale Ordinario di

Ancona, in data 7/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

7/11/2018 dal consigliere MARINA MELONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa

ZENO Immacolata, che ha concluso per inammissibilità in subordine

per il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Lara Petracci che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona con decreto nr. 2911 in data 7/3/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona in ordine alle istanze avanzate da SULEIMAN KONTEH, nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento del diritto dello status di rifugiato, alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il ricorrente, aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona di essere fuggito dal proprio paese per paura di essere ucciso dallo zio paterno che, dopo aver ucciso suo padre, lo aveva minacciato di morte. Avverso il decreto emesso dal Tribunale di Ancona il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito al fine di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omessa motivazione o motivazione apparente in quanto il giudice territoriale non ha ritenuto credibile e verosimile il racconto del ricorrente senza motivare in alcun modo sul punto.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,5, 7 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 dell’art. 4 della direttiva2004/83/CE in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il tribunale di Ancona senza adempiere al dovere di cooperazione istruttoria ha negato la protezione sussidiaria ed anche la protezione umanitaria pur esistendo in tutta la Nigeria, paese di provenienza del ricorrente, una situazione di violenza generalizzata derivante da un conflitto armato come più volte affermato in analoghi ricorsi sia dalla giurisprudenza di merito che di legittimità.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. C) ed D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Ancona ha motivato il provvedimento affermando che la situazione di violenza in Nigeria era limitata ad una determinata area del paese mentre avrebbe dovuto riconoscere la protezione sussidiaria al ricorrente a cagione degli atti di violenza fisica e psichica che egli potrebbe subire in caso di suo rimpatrio in quanto le autorità nigeriane non erano in grado di offrire adeguata protezione al ricorrente.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 34; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Ancona, nonostante le discriminazioni e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria e non ha dato applicazione al principio di non refoulement.

Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Ancona non ha osservato le formalità relative alla videoregistrazione ed al verbale di trascrizione.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto in ordine a tutti i motivi proposti.

I motivi di ricorso da uno a quattro contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludendo così il diritto alla protezione sussidiaria. La situazione politica del paese di origine cioè la Nigeria è stata approfonditamente analizzata dal giudice territoriale che ha escluso dopo ampia motivazione l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente.

La censura si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., sez. un., n. 8053/2014).

In riferimento poi alla protezione umanitaria il legislatore ha inteso apprestare una tutela residuale per le situazioni di vulnerabilità inerenti a diritti umani fondamentali alle quali, in base ad un giudizio prognostico, lo straniero sarebbe stato esposto in caso di suo rimpatrio oppure nei casi risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato Italiano (art. 5, comma 6, cit.).

In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine.

Nella specie, la Corte territoriale non ha violato i suddetti principi, nè è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali tenuto anche conto della concreta possibilità di accesso alla protezione interna da pericoli derivanti da soggetti non statuali, non risultando dimostrata la sua assenza.

Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Miglior sorte infine non toccherebbe al motivo in esame alla stregua del testo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,comma 3 come recentemente modificato dal D.L. n. 113 del 2018, non recando la prospettazione dell’odierno motivo di ricorso alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui al D.Lgs. 25 luglio 1988, n. 286, art. 19, commi 1 e 11 come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018.

Deve infine essere respinto il quinto motivo di ricorso in quanto non risulta dalla sentenza impugnata che il ricorrente avesse richiesto al giudice di acquisire o esaminare la videoregistrazione o la trascrizione. Il mancato adempimento delle suddette modalità, non sanzionato a pena di nullità, non può essere lamentato in questa sede trattandosi di questione nuova che non è stata sollevata davanti al giudice territoriale.

Il ricorso deve pertanto essere respinto. Nulla per le spese in assenza di attività difensiva.

Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater essendo il ricorrente stato ammesso al gratuito patrocinio a carico dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della Corte di Cassazione, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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