Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30892 del 22/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 30892 Anno 2017
Presidente: SCALDAFERRI ANDREA
Relatore: DI MARZIO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 21340-2016 proposto da:
SUSCA, STEFANIA, AGOSTINELLI AGNESE, SUSCÀ ANTONIO,
nella qualità di eredi con beneficio di inventario di Domenico
Nicola Susca, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA
CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE di
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ALBERTO
FLORIO;
– ricorrenti contro

FASCINA GAETANO, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MICHELE
URSINI, PIERFRANCESCO URSINI;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1092/2015 della CORTE D’APPELLO di
BARI, depositata il 15/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
non partecipata del 07/11/2017 dal Consigliere Dott. MAURO
DI MARZIO.

RILEVATO CHE

Data pubblicazione: 22/12/2017

1. — Con sentenza del 15 luglio 2015 la Corte d’appello di Bari
ha accolto l’impugnazione dinanzi ad essa proposta da Fascina
Gaetano nei confronti di Agostinelli Agnese, Susca Stefania
Susca Antonio, disattendendo l’eccezione di giudicato proposta
in primo grado dagli appellati in sede di opposizione ad un
decreto ingiuntivo ottenuto nei loro confronti dal Fascina e
condannando pertanto gli stessi appellati, previa revoca del
decreto ingiuntivo, al pagamento in favore della controparte di
un importo da compensarsi con una minor somma dovuta dal
Fascina.

2..— Per la cassazione della sentenza Agostinellì Agnese, Susca
Stefania Susca Antonio hanno proposto ricorso affidato ad un
solo motivo.
Fascina Gaetano ha resistito con controricorso illustrato da
memoria.

CONSIDERATO CHE

3. — Il ricorso contiene un solo motivo con cui si denuncia:
«Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e
dell’articolo 324 c.p.c., in relazione all’articolo 360
comma 1, n. 3, avendo la Corte d’appello di Bari erroneamente
disconosciuto l’efficacia oggettiva del giudicato formatosi nel
giudizio tra le stesse parti, avente ad oggetto la medesima

causa petendi del giudizio de quo, con motivazione illogica e
contraddittoria».

RITENUTO CHE

4.

— Il Collegio ha disposto l’adozione della modalità di

motivazione semplificata.

Ric. 2016 n. 21340 sez. M1 – ud. 07-11-2017
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5. — Il ricorso è manifestamente fondato.
La complessa e lunga vicenda processuale oggi in esame può
così brevemente riassumersi.
Domenico Susca & C. S.n.c. ha ottenuto un decreto ingiuntivo

dbvute alla società per l’esecuzione di lavori edilizi. Fascina
Vito ha proposto opposizione lamentando vizi dell’opera

e

tardività nella sua consegna, chiedendo condanna della società
all’eliminazione dei denunciati vizi di costruzione ovvero
condanna della medesima, in solido con Susca Domenico
(dante causa degli odierni ricorrenti), quale socio della società,
al pagamento dell’importo a tal fine necessario, oltre al
risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Bari, con sentenza del 18 ottobre 2005, nel
confermare il decreto ingiuntivo, ha nondimeno accolto le
domande formulate dal Fascina Vito nei confronti della società,
condannandolq, al pagamento di un certo importo ed
all’esecuzione di determinati lavori ovvero al pagamento della
somma a tal fine necessaria, mentre, sulla domanda rivolta
dallo stesso Fascina nei confronti del Susca Domenico, quale
socio della società, ha così provveduto: «Rigetta la domanda
avanzata dal Fascina Vito in danno di Susca Domenico». Tale

pronuncia è passata in giudicato per effetto di dichiarazione di
inammissibilità dell’appello del Fascina.
Quest’ultimo ha quindi proposto ricorso per ingiunzione contro
Susca Domenico per un importo di C 310.980,88 premettendo
che il Tribunale di Bari aveva pronunciato la condanua di cui si
è detto nei confronti di Domenico Susca & C. S.n.c. ed
aggiungendo che era stata invece disattesa, con la medesima

Ric. 2016 n. 21340 sez. M1 – ud. 07-11-2017
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nei confronti di Fascina Vito concernenti somme da questi

sentenza, la domanda di condanna solidale del socio
amministratore Susca Domenico nonostante la sua
responsabitità sussidiaria ai sensi dell’articolo 2304 c.c.,
giacché il Tribunale si era discostato dall’orientamento
giurisprudenziale formatosi sulla materia. Rilasciato il decreto

eccezione di giudicato, essa è stata accolta dal Tribunale di
Bari con sentenza del 6 giugno 2013.
La decisione adottata dal Tribunale è stata quindi riformata
dalla sentenza della Corte d’appello di Bari già citata in
apertura. Secondo la Corte territoriale il Tribunale di Bari, nella
sentenza precedentemente resa, passata in giudicato, non
avrebbe affatto affrontato la questione della precostituzione di
un titolo autonomo del creditore sociale in danno del singolo
socio, ma avrebbe ritenuto non legittimato il Susca in proprio
rispetto alla domanda risarcitoria.
Così facendo, tuttavia, la Corte territoriale ha ancorato la
verifica della sussistenza del giudicato alla motivazione
adottata dal giudice, con ciò discostandosi dal ribadito principio
secondo cui l’autorità del giudicato sostanziale opera entro i
limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone che tra
la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, di
petitum e di causa petendi (Cass. 24 marzo 2014, n. 6830;

Cass. 15 novembre 2012, n. 20003; Cass. 27 gennaio 2006, n.
1760). L’autorità del giudicato sostanziale opera cioè
ineluttabilmente entro i limiti (quantunque solo entro i limiti)
degli elementi costitutivi dell’azione, una volta che tra la
precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, di
petitum e di causa petendi (p. es. Cass. 24 marzo 2014, n.

6830). Resta soltanto da aggiungere allora che l’effetto del

Ric. 2016 n. 21340 sez. M1 – ud. 07-11-2017
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ingiuntivo e proposta opposizione dal Susca, che ha formulato

giudicato consiste nel precludere il riesame dello stesso punto
di diritto accertato e risolto, finanche se il successivo giudizio
abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed
il petitum del primo (Cass., Sez. Un., 17 dicembre 2007, n.
26482; Cass. 25 luglio 2016, n. 15339).

nell’originaria opposizione a decreto ingiuntivo, aveva chiesto
la condanna solidale di Domenico ,Susca & C. S.n.c. e del Susca
Domenico, tanto per l’importo delle opere da eseguire, quanto
per il risarcimento del danno,, sul presupposto che
quest’ultimo, quale socio della società, dovesse rispondere
delle obbligazioni di questa, domanda che il Tribunale ha con
tutta evidenza respinto nel merito, senza che, ovviamente,
residui alcuna possibilità di sindacato della correttezza, sul
piano motivazionale, della decisione in tal modo adottata.
Dopodiché il Fascina ha riproposto per via monitoria la stessa
identica domanda già spiegata nei confronti del Susca nella
precedente opposizione a decreto ingiuntivo, ossia la domanda
volta ad estendere allo stesso Susca la pronuncia di condanna
già ottenuta nei confronti della società, e, a di-re il vero, lo ha
espressamente fatto muovendo dall’assunto che il Tribunale,
nella sentenza del 2005, avesse illegittimamente ritenuto di
non poter disporre la condanna solidale, in violazione, secondo
lo stesso Fascina, dei principi giurisprudenziali applicabili alla
materia: il Fascinq_, in altri termini, si è posto nella palese
prospettiva di rimettere in discussione, attraverso il nuovo
giudizio, le motivazioni addotte a sostegno del rigetto già
subito, a cagione del passaggio in giudicato della sentenza del
Tribunale di Bari per effetto della dichiarazione di
inammissibilità dell’appello contro di essa proposto.

Ric. 2016 n. 21340 sez. M1 – ud. 07-11-2017
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Nel caso in esame, allora, è agevole osservare che il Fascina,

Va da sé che l’identità delle domande proposte prima e dopo
dal Fascina nei confronti del Susca non può essere revocata in
dubbio, con l’ulteriore conseguenza che la pronuncia di rigetto
già ricordata-fa stato nel presente giudizio.
Le conclusioni così raggiunte non sono punto intaccate dalle

laddove egli pone l’accento sulla ripetuta — e senz’altro
scontata — massima giurisprudenziale secondo cui
l’individuazione del giudicato va condotta sulla base non del
solo dispositivo, ma anche della motivazione, giacché in questo
caso il Tribunale di Bari ha inconfutabilmente respinto la
domanda proposta, nel primo giudizio, dal Fascina nei confronti
del Susca, sicché neppure sorge un qualche problema di
interpretazione della latitudine del giudicato, riconnessa, come
si è visto, alla causa petendi ed al petitum. Nulla rileva, in
particolare, che il Tribunale abbia affermato che il Susca non
era tenuto ad eseguire la prestazione facente capo alla società,
ma doveva solo sopportare le conseguenze per il caso di
eventuale inadempimento, giacché ciò non comporta affatto
una limitazione della inequivoca portata del giudicato
dipendente dal rigetto della domanda spiegata nei suoi
confronti: nè — occorre nuovamente ribadire — residua alcuno
spazio, ormai, per sindacare l’esattezza della motivazione
svolta dal Tribunale e, cioè, per stabilire se essa fosse
effettivamente o meno idonea a sostenere la pronuncia di
rigetto della domanda proposta.
Di guisa che, in definitiva, l’impugnata sentenza va cassata
senza rinvio e, decidendo nel merito, la domanda spiegata dal
Fascina nei confronti del Susca in via monitoria, revocato il

RIc. 2016 n. 21340 sez. M1. jticl. 07-11-2017
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obiezioni esposte dal controricorrente in memoria illustrativa,

decreto ingiuntivo del Tribunale di Bari del 27 aprile 2006 n.
728, va dichiarata inammissibile.

6; — Le,spese seguono la soccombenza.

accoglie il ricorso, cassa senza rinvio la sentenza resa tra le
parb.daila Corte d’appello di Bari il 15 luglio 2015 e, decidendo
nel merito, revocato il decreto ingiuntivo del Tribunale di Bari
del 27 aprile 2006, n. 728, dichiara inammissibile la domanda
spiegata dal Fascina nei confronti del Susca in via monitoria,
‘condannando Fascina Gaetano al rimborso, in favore dei
ricorrenti, delle spese sostenute per l’intero giudizio, liquidate,
quanto al primo grado, in complessivi C 8.200,00, di cui C
400,00 per esborsi, quanto al grado d’appello, in complessivi C
7800,00, di cui C 300,00 per esborsi, quanto a questo giudizio
di legittimità in complessivi C 10.100,00, di cui C 100,00 per
esborsk,- il tutto oltre spese generali nella misura del 15% e
quant’altro dovuto per legge.
Così deciso. in Roma, 7 novembre 2017.

PER QUESTI MOTIVI

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