Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30882 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. I, 29/11/2018, (ud. 17/07/2018, dep. 29/11/2018), n.30882

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8193/2012 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Cristoforo Colombo n. 348, presso lo studio dell’Avvocato Maria

Cristina Dargento, rappresentato e difeso dall’Avvocato Fabio

Gentili giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Curatela del Fallimento di G.F., in persona del

curatore Dott. P.A., elettivamente domiciliata in Roma,

Viale Mazzini n. 134, presso lo studio dell’Avvocato Raul Scaffidi

Argentina (Studio Legale Fiorillo & Ass.ti), rappresentata e

difesa dall’Avvocato Claudio De Felice giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

Confezioni R. S.n.c. di R.P. & C., Cose di Lana

S.p.a., Fallimento (OMISSIS) S.r.l., Maglierie Effepi S.p.a. in

liquidazione e Miniconf S.r.l.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1185/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/3/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/7/2018 dal cons. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza in data 27 aprile 2000 il Tribunale di Latina dichiarava il fallimento della società (OMISSIS) s.a.s. e della socia accomandataria A.R..

2. Il medesimo Tribunale, su istanza della curatela, estendeva in seguito il fallimento anche al socio accomandante G.F., in applicazione del combinato disposto dell’art. 2314 c.c., comma 2, e art. 147 L. Fall..

3. L’opposizione a questa statuizione proposta dal G., adducendo l’inesistenza dei presupposti per l’estensione del fallimento a un socio accomandante che non si era mai ingerito nell’amministrazione della società ed era uscito dalla compagine tre anni prima della dichiarazione di fallimento, veniva rigettata con sentenza del 4 aprile 2006; il Tribunale in particolare osservava che in un contesto territoriale e commerciale ristretto come quello in cui operava la società fallita il cognome ” G.” inserito nella ragione sociale non poteva che richiamare univocamente ai fornitori e ai terzi quel G.F. che faceva parte della compagine ed era sufficiente a consentire l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 2314 cod. civ..

4. La Corte d’appello di Roma respingeva, con sentenza depositata in data 21 marzo 2011, l’impugnazione proposta da G.F., ritenendo che il disposto dell’art. 2314 c.c., comma 2, potesse trovare applicazione anche in presenza dell’indicazione del solo cognome senza prenome ove questo appellativo fosse talmente conosciuto da coloro che entravano in affari con la società da consentire a costoro di individuare con certezza e senza equivoci la persona che era così contraddistinta; una simile evenienza poteva essere desunta nel caso di specie dall’assenza di alcuna soluzione di continuità fra l’esercizio dell’impresa individuale del G. e la prosecuzione della medesima attività da parte di (OMISSIS) s.a.s. in locali confinanti, tenuto conto che la ditta individuale e la società avevano operato in ambienti contigui per quasi due anni, vendendo gli stessi capi di abbigliamento, e della presenza di G.F. nei locali della società anche in epoca successiva alla fine dell’attività dell’impresa individuale, con le medesime modalità e con comportamenti tutti riferibili all’attività della compagine sociale.

L’indicazione del solo cognome nella ragione sociale risultava così più che sufficiente, a dire del collegio d’appello, per configurare l’ipotesi di cui all’art. 2314 c.c., comma 2, dato che chi aveva visto operare la ditta individuale di G.F. non avrebbe mai avuto alcuna possibilità di immaginare che il ” G.” che compariva nella ragione sociale della società in accomandita semplice potesse essere una persona diversa da quel G.F. che nello stesso posto aveva svolto per anni la medesima attività.

5. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia G.F. affidandosi a quattro motivi di impugnazione.

Ha resistito con controricorso la curatela del fallimento di G.F..

Gli intimati Cose di Lana s.p.a., Miniconf s.r.l., Magliere Effepi s.p.a., Confezioni R. s.n.c. e fallimento (OMISSIS) s.r.l., creditori istanti per il fallimento di (OMISSIS) s.a.s., non hanno svolto alcuna difesa.

La curatela del fallimento di G.F. ha depositato memoria ai sensi dell’ art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6.1 Il primo motivo di ricorso denuncia l’errata interpretazione e la conseguente falsa applicazione dell’art. 2314 c.c., comma 2, in quanto non sarebbe possibile ritenere che l’affidamento dei terzi possa fondarsi sull’inserimento del solo cognome dell’accomandante nella ragione sociale della società in accomandita semplice, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in merito all’idoneità dell’inserimento del solo cognome dell’accomandante all’interno della ragione sociale della s.a.s. per ingenerare nei terzi l’affidamento sulla garanzia costituita anche dal patrimonio personale del socio accomandante.

6.2 Il motivo è fondato rispetto alla violazione di legge denunciata.

6.2.1 La norma in questione – secondo cui “l’accomandante, il quale consenta che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente con i soci accomandatari per le obbligazioni sociali” – è volta a tutelare l’affidamento dei terzi creditori nella responsabilità illimitata del socio che, pur non essendolo, si è tuttavia presentato (ha consentito di essere presentato) alla stessa stregua di un socio illimitatamente responsabile, id est – nella società in accomandita semplice – di un socio accomandatario.

Intanto ci può essere confusione – e conseguente affidamento – in quanto l’indicazione dell’accomandante sia posta sullo stesso piano di quella dell’accomandatario; in altri termini la confusione si verifica se l’accomandante è indicato come se fosse un accomandatario.

6.2.2 In questa prospettiva, posto che la norma intende disciplinare una forma di esteriorizzazione della designazione della compagine sociale potenzialmente ingannevole a discapito dei terzi, è evidente che ai fini della sua applicazione è necessario avere riguardo al solo dato formale costituito dal contenuto della ragione sociale.

La ragione sociale deve essere di per sè rivelatrice di una rappresentazione dell’accomandante in termini che non appaiano conformi al suo reale tipo di partecipazione e pongano il medesimo su un piano coincidente con quello dell’accomandatario.

Entrambi i giudici del merito hanno quindi errato nel dare rilievo a fatti e condotte esterne a questo dato al fine di individuare ragioni idonee a corroborare la lettura che i terzi potevano dare della ragione sociale e apprezzare la decettività dell’indicazione del solo cognome contenuta al suo interno.

Può pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: ai fini dell’estensione della responsabilità illimitata del socio accomandante di società in accomandita semplice che consenta che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, ai sensi dell’art. 2314, comma 2, cod. civ., rileva il solo contenuto oggettivo della ragione sociale stessa, dal quale risulti che l’accomandante sia presentato alla stessa stregua di un socio accomandatario, in modo da ingenerare oggettiva confusione sul ruolo da lui svolto nella società.

6.2.3 La sentenza impugnata non si è attenuta a tale principio perchè le circostanze valorizzate al suo interno risultavano estranee alla capacità evocativa dell’indicazione contenuta nella ragione sociale e, come tali, erano ininfluenti ai fini dell’applicazione della disciplina in questione.

L’indagine doveva al contrario essere compiuta con riguardo al solo aspetto formale della ragione sociale, al fine di verificare se nel contesto della stessa le modalità di esteriorizzazione della partecipazione dell’accomandante avessero valenza ingannevole, senza indulgere nella valutazione del comportamento dell’accomandante.

6.2.4 Poichè il controllo di legittimità, ove il ricorso per cassazione sia presentato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (Cass., Sez. U., 18/1/2001 n. 5), è necessario verificare se, nel caso di specie, la ragione sociale “(OMISSIS) s.a.s.” fosse idonea a presentare l’accomandante G.F. alla stessa stregua di un socio accomandatario.

A tal fine può rilevarsi che nella ragione sociale l’accomandatario A.R. – era menzionato con il nome nella sua interezza posto dopo l’indicazione della partecipazione al rapporto sociale (“di”), mentre il solo cognome – non il nome completo dell’accomandante è indicato in una collocazione, anteriore a quella dell’accomandatario e non retta dalla proposizione “di”, assolutamente non indicativa di una partecipazione a un rapporto societario e tanto meno di un ruolo svolto al suo interno.

Deve pertanto escludersi che detta indicazione corrispondesse a quella di un socio accomandatario e desse quindi luogo all’applicazione della responsabilità illimitata di cui all’art. 2314 c.c., comma 2.

7.1 Il secondo mezzo lamenta l’errata interpretazione e la falsa applicazione dell’art. 2320 cod. civ. nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: la corte territoriale avrebbe interpretato erroneamente le risultanze istruttorie evincendone un’inesistente forma di ingerenza del G. nella gestione della società.

7.2 Il motivo è inammissibile.

La corte territoriale infatti ha ritenuto che l’applicazione dell’art. 2314 c.c., comma 2, fosse sufficiente a estendere il fallimento al G., soprassedendo all’esame dell’estensibilità del fallimento per violazione del disposto dell’art. 2320 c.c., comma 1.

In questa sede non è quindi esaminabile la questione su cui il giudice a quo non si sia pronunciato per averla ritenuta assorbita.

Tale questione resta ovviamente aperta nel giudizio di rinvio conseguente all’accoglimento del primo motivo di ricorso.

8.1 Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per errata interpretazione e falsa applicazione dell’art. 147 L. Fall. e per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto il fallimento sarebbe stato inestensibile al G. per mancanza di attualità del rapporto sociale, da cui egli era receduto sin dal 1997.

8.2 Il motivo è infondato.

La corte territoriale a questo proposito ha ritenuto che la qualità di socio accomandante di G.F. non fosse mai venuta meno, dato che i documenti prodotti dall’appellante per provare il contrario avevano natura di atti interni fra l’odierno ricorrente e la moglie e non erano mai stati in alcun modo pubblicizzati all’esterno. In questo modo la Corte d’Appello ha escluso che lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio G. sia stato portato a conoscenza di terzi con mezzi idonei, nel senso prescritto dal combinato disposto degli artt. 2315 e 2290 cod. civ..

La mancata pubblicità del recesso nel senso richiesto dall’art. 2290 c.c., comma 2, fa sì che lo stesso non sia opponibile ai terzi, non produca i suoi effetti al di fuori dell’ambito societario e, di conseguenza, non sia idoneo a escludere l’estensione del fallimento al socio ai sensi dell’art. 147 L. Fall. per il decorso del termine annuale previsto dal secondo comma di tale norma, poichè il rapporto societario deve considerarsi ancora in atto (si vedano in questo senso Cass. 1/3/2010 n. 4865, Cass. 8/9/2006 n. 19304, Cass. 4/8/2004 n. 14962, Cass. 16/6/2004 n. 11304).

9. Il quinto motivo di ricorso, relativo alle spese del giudizio di merito, è assorbito dalla cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

10. In conclusione la sentenza impugnata va cassata in accoglimento del primo motivo di ricorso, con rinvio della causa al giudice indicato in dispositivo per l’esame delle questioni dichiarate assorbite e rimaste perciò aperte a seguito dell’accoglimento dell’impugnazione.

Il giudice del rinvio avrà cura di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, rigetta il terzo e dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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