Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30872 del 29/10/2021

Cassazione civile sez. VI, 29/10/2021, (ud. 13/07/2021, dep. 29/10/2021), n.30872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5735/2020 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

– ricorrente –

contro

la “ROTOMAR S.r.l.”, con sede in Seregno (MB), in persona

dell’amministratore unico pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avv. Roberta Minotti, con studio in Seregno (MB), ove

elettivamente domiciliata (indirizzo p.e.c.:

roberta.minotti.monza.pecavvocati.it), giusta procura in calce al

controricorso di costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

della Lombardia il 7 novembre 2019 n. 4372/14/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28

ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella Legge 18

dicembre 2020 n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso

dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del

Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 13 luglio 2021 dal

Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 7 novembre 2019 n. 4372/14/2019, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per IVA relativa all’anno d’imposta 2010, in dipendenza dell’indebita detrazione di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha accolto l’appello proposto dalla “ROTOMAR S.r.l.” nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano il 26 febbraio 2019 n. 863/21/2019, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di prime cure, sul presupposto che le risultanze istruttorie avessero provato l’effettività delle operazioni relative all’acquisto ed alla vendita di telefoni cellulari. La “ROTOMAR S.r.l.” si è costituita con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con unico motivo, si deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver tenuto conto delle circostanze emergenti dalle mails scambiate tra la contribuente ed il fornitore estero in ordine alla provenienza delle merci ordinate.

Ritenuto che:

1. Il motivo è infondato.

1.1 E’ pacifico che, in tema di IVA, l’amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (valorizzando, ad esempio, la circostanza che la prestazione non poteva essere effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito della sia pur minima dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione); ove l’amministrazione finanziaria assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (tra le tante: Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. 5, 4 febbraio 2020, n. 2483; Cass., Sez. 5, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. 5, 13 gennaio 2021, n. 336).

1.2 Movendo dalla premessa che l’amministrazione finanziaria “ha essenzialmente basato il proprio ragionamento su due indizi a cui ha inteso dare particolare rilievo: 1) il fatto che l’appellante avesse rapporti diretti con i fornitori esteri che materialmente disponevano dei beni consegnati, o con intermediari a essi direttamente riconducibili, circostanza che provava tramite l’allegazione di e-mails contenenti scambi di informazioni su ordinativi, rapporti commerciali e problematiche relative; 2) il fatto che la società T&T (la c.d. “cartiera”, secondo le indagini svolte dalla polizia tributaria) avesse tra gli scopi principali del proprio oggetto sociale il commercio all’ingrosso di software e hardware, mentre solo secondariamente quello di studio e progettazione di prodotti litografici e tipografici (circostanza che riteneva potesse essere agevolmente appresa anche dall’appellante, tramite visura camerale”, la sentenza impugnata ha valutato che: “Si tratta, evidentemente, di indizi che non possono considerarsi né gravi, né precisi, né concordanti e, come tali, inidonei a integrare la presunzione semplice necessaria a “ribaltare” l’onere probatorio sul contribuente”. A suo dire, “il fatto che alcuni dipendenti della società appellante fossero in diretto contatto con le società estere che fornivano i beni finali, o con società di intermediazione loro direttamente riferibili, è circostanza indiziaria di per sé priva del requisito della gravità, ma anche di quello della precisione. E’ lo stesso ufficio infatti a spiegare che la Rotomar (la reale fornitrice, secondo le indagini svolte dalla polizia tributaria) nelle annualità oggetto di contestazione si rifornisse contemporaneamente sia tramite tali società estere, sia tramite la T&T, peraltro ottenendo prezzi di acquisto sovrapponibili, sebbene nel primo caso si trattasse di operazioni esenti IVA, mentre nel secondo di operazioni soggette a imposta, dunque, generatrici del diritto alla detrazione”. Inoltre, “l’appellante ha chiarito perché ha acquistato alcune forniture di carta tramite la T&T, motivando tale scelta sulla base del vantaggio economico derivante dalla svendita di partite di carta rimaste nella disponibilità della controparte, poiché invendute. Questa spiegazione risulta verosimile e giustifica altresì perché la Rotomar abbia concluso accordi commerciali per l’acquisto di carta con una società il cui scopo sociale afferiva principalmente all’ambito informatico e, solo subordinatamente, all’attività tipografica/litografica”.

1.3 Dunque, è evidente che le circostanze di cui l’amministrazione finanziaria ha lamentato – nella dettagliata esposizione del mezzo – l’omesso esame sono state, invece, oggetto di verifica e di apprezzamento da parte del giudice di appello, ancorché con una valutazione opposta sul piano della rilevanza probatoria.

Per cui, si deve escludere a monte la stessa sussistenza dei presupposti integranti il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134. Invero, tale disposizione introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le altre: Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., Sez. 6-3, 27 novembre 2014, n. 25216; Cass., Sez. 2, 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., Sez. Lav., 21 ottobre 2019, n. 26764). Peraltro, si deve trattare di un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche di un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, 8 settembre 2016, n. 17761; Cass., Sez. 6, 4 ottobre 2017, n. 23238; Cass., Sez. 2, 29 ottobre 2018, n. 27415).

1.4 In definitiva, il giudice di appello ha escluso il coinvolgimento della contribuente nelle operazioni soggettivamente inesistenti in contestazione sulla base della carenza di elementi indiziari muniti di gravità, precisione e concordanza, là dove l’amministrazione finanziaria ha censurato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti esposti nel processo verbale di constatazione, di cui il giudice di appello aveva comunque tenuto conto in motivazione, pur svilendone la rilevanza probatoria in sede decisionale.

2. Valutandosi la infondatezza del motivo dedotto, dunque, il ricorso deve essere rigettato.

3. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.800,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 13 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021

 

 

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