Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3087 del 17/02/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3087 Anno 2016
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: TRICOMI LAURA

SENTENZA

sul ricorso 30240-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

GFC SPA;
– intimato –

Nonché da:
GFC SPA in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

Data pubblicazione: 17/02/2016

LIBERIANA

17,

presso

lo

studio

dell’avvocato

FERRAGUTO ANTONIO, che lo rappresenta e difende
unitamente agli avvocati VERSACE VITTORIO, TOVAZZI
PATRIZIA giusta delega in calce;
– controri corrente e ricorrente incidentale –

AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimato –

avverso la sentenza n. 80/2007 della COMM.TRIB.REG.
ialn4t2.D(*.
di….MILANgrge-Positata il 09/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/03/2014 dal Consigliere Dott. LAURA
TRICOMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso principale e il
rigetto del ricorso incidentale;
udito per il controricorrente l’Avvocato TOVAZZI che
ha chiesto il rigetto del ricorso principale e
l’accoglimento del ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso principale, e
l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso
incidentale.

contro

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RITENUTO IN FATTO
1. L’Ufficio della Agenzia delle Entrate di Milano aveva notificato alla
società GFC SPA l’avviso di accertamento n. R1T030500270 ai fini IVA,
IRPEG ed IRAP relative all’amo di imposta 1999 per complessivi
€.840.408,36, sulla scorta della dichiarazione dei redditi presentata per
l’anno di imposta 1999 e del processo verbale di constatazione della
Guardia di Finanza in data 17.01.2001.

ai fini IRPEG minusvalenza indeducibile (Lit.1.702.496.000) e
determinazione di plusvalenza (Lit.337.734.000) derivanti da una vendita
immobiliare fatturata ad un valore inferiore rispetto a quello risultante dalla
contabilità aziendale e di stima dell’Agenzia del Territorio. Il rilievo era
connesso alla cessione effettuata in data 30.04.99 dalla GFC SPA di una
porzione immobiliare costituita dall’intero corpo di box ad uso autorimessa
e da vari locali adibiti ad uffici facenti parte del Centro commerciale
denominato “Il Naviglio Grande — Ozi e Negozi”, con sede in Buccinasco,
a favore della società REALE SRL con fattura n.79 in pari data per
l’imponibile di Lit.1.399.970.000. Dalla suddetta transazione era stata
rilevata una minusvalenza pari a Lit.1.702.496.000, atteso che il prezzo di
vendita (Lit.1.399.970.000) era risultato di gran lunga inferiore rispetto al
valore contabile delle porzioni immobiliari cedute (Lit.3.102.466.000).
Richiesta una relazione di stima all’Agenzia del Territorio, questa aveva
determinato il più probabile valore di mercato della porzione immobiliare
venduta con riferimento alla data dell’operazione, nel complessivo importo
di Lit.3.440.200.000. La società venditrice chiamata a fornire spiegazioni su
questa transazione commerciale sottocosto, aveva rappresentato la necessità
di risorse finanziarie. Dalla verifica effettuata dalla G. di F. attraverso
l’esame delle scritture contabili, tuttavia tale necessità non era emersa.
Erano state individuate una serie di operazioni che portavano a desumere in
capo alla società una quota consistente di risorse finanziarie a breve
smobilizzo; risultava inoltre la concessione di prestiti finanziari nel 1999
infruttiferi di interessi – Lit. 5.000.000.000 e Lit.1.900.000.0000 – a clienti
e fornitori, poco conciliabile con la esigenze di risorse finanziarie.
Emergeva inoltre un rapporto familiare tra l’amministratore della GFC
SPA, Franzini Luca (figlio), e l’amministratore della REALE SRL, Franzini
Paolo (padre). Pertanto veniva determinata la plusvalenza, risultante dalla
differenza tra il valore di mercato del bene ed il valore contabile e, nel
contempo, recuperata a tassazione la minusvalenza contabilizzata dalla
società e, indebitamente dedotta dal reddito imponibile, a norma dell’art.66
DPR n.917/1986.
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Tra l’altro, costituivano oggetto di contestazione i seguenti rilievi:

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recupero a tassazione ai fini IRPEG e IRAP di
Lit.15.240.000 per omessa contabilizzazione come ricavi degli interi
corrispettivi derivanti dalla cessione di azioni TELECOM e ACEA, non
costituenti immobilizzazioni finanziarie.

indebita deduzione dell’importo di Lit.4.834.000,
dovendosi imputare a spese di rappresentanza (deducibili per 1/3), e non a
pubblicità, la spesa di Lit.7.250.000 effettuata per l’acquisto di torte e
preparazione dei buffet, in occasione dell’inaugurazione del centro
commerciale.
recupero a tassazione ai fini IRPEG ed IRAP
di costi ritenuti non spettanti per l’importo di Lit.21.567.000, per l’acquisto
di un pannello luminoso individuante l’intero Centro Commerciale
utilizzato da tre società, tra cui la GFC SPA, ed il conseguente recupero
dell’IVA corrispondente, pari a Lit.4.310.000, ritenuto che era stato
indebitamente detratto l’intero costo del pannello e non solo la quota di
spettanza della GFC SPA, in percentuale, secondo i metri quadrati utilizzati.
, trattamento dell’IVA in relazione ai rilievi mossi
rispettivamente al < punto 3 — parte seconda>, costi non spettanti per il
pannello luminoso, e , omessa fatturazione alla
ditta Edilgudo.
2. Avverso tale atto la società contribuente proponeva ricorso, che veniva
parzialmente accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano
con la sentenza n.171/07/05. L’appello principale proposto dall’Ufficio
finanziario e l’appello incidentale proposto dalla GFC SPA venivano
parzialmente accolti dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano con
la sentenza n.80/14/07, depositata il 09.11.07 e non notificata.
3. Con tale decisione il giudice di seconde cure preliminarmente rigettava
l’eccezione di inutilizzabilità degli atti acquisiti dopo i trenta giorni previsti
dall’art.12, comma 5, L. n.212/2000, proposta dalla GFC SPA, ritenendo
che non sussistesse la violazione della durata massima delle verifiche fiscali
perché la permanenza dei verificatori era rimasta al di sotto del limite
previsto.
Quindi, nel merito, accoglieva l’appello dell’Ufficio finanziario
limitatamente al rilievo concordando nella
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recupero ai fini IRPEG ed IRAP di
corrispettivi per Lit.18.257.000, nonché della corrispondente, non
dichiarata, IVA di Lit.3.652.000, per omessa fatturazione alla società
Edilgudo di imponibili.

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Respingeva l’appello dell’Ufficio inerente il , affermando per un
verso che gli elementi presuntivi di un occultamento di corrispettivo (
l’assenza di giustificazioni economiche all’operazione di vendita
immobiliare, l’assenza di ricerca di clienti disposti a pagare il prezzo di
mercato, il rapporto di parentela esistente tra gli amministratori delle due
società) erano tutt’altro che gravi, precisi e concordanti, e per altro verso
non vi erano prove o indizi di una così grande somma di danaro occultata,
senza lasciare traccia nella situazione contabile del compratore o del
venditore.
Rigettava l’appello della GFC SPA per il rilievo ,
affermando che la società, avendo scelto di collocare i pacchetti azionari
nell’attivo circolante, ai sensi dell’art.53 , comma 1 lett.9, T.U.I.R, all’epoca
vigente, avrebbe dovuto considerare come ricavi l’intero corrispettivo della
vendita delle azioni.
Rigettava anche l’appello della GFC SPA sul < punto 2 — parte seconda>,
sostenendo che nessuna disposizione normativa consentiva alla società di
non fatturare la prestazione e che, comunque, non aveva documentato le
circostanze che l’aveva indotta a non riaddebitare alla ditta Edilgudo la
parte dei costi sostenuti inutilmente.
Rigettava l’appello proposta dalla GFC SPA in merito al precisando però che dovevano essere riconosciute “fondate le
doglianze relative agli errori commessi dall’Ufficio al punto 3)
dell’impugnato atto di accertamento — e non emendati dalla sentenza
impugnata — laddove per un verso, invece dell’importo di Lit.966.667 pari
alla quota di 1/5 del costo indebitamente detratto nell’anno 1999, aveva
recuperato a tassazione l’intero ammontare del costo non riconosciuto.
Rigettava l’appello proposto dalla GFC SPA in merito al . Precisava in proposito che, ai sensi dell’art.75, comma 5, TUIR,
la ripresa — ai fini IRPEG ed IRAP — era possibile in modo limitato , e cioè
per la percentuale di spesa per i pannelli e per le insegne pubblicitarie del
Centro commerciale (utilizzato da più ditte) corrispondente alla percentuale
di fruizione degli spazi commerciali di cui godeva la GDF SPA. In questi
sensi la CTR dichiarava legittima la ripresa a tassazione ai fini IRPEG ed
IRAP nei limiti della quota dedotta nell’anno di Lit.4.834.000, pari ad 1/5
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qualificazione delle spese per torte e apparati da buffet come “di
rappresentanza” e non “pubblicitarie”, in quanto dirette a promuovere il
prestigio ed il nome dell’azienda e non ad incentivare l’acquisto di specifici
prodotti.

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dell’intero costo non riconosciuto (Lit.21.567.000); pertanto era legittimo e
confermato il recupero dell’IVA indebitamente detratta per Lit.4.310.000.
4. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza della CTR di Milano, affidandosi ad un motivo. L’intimata resiste
con controricorso e propone ricorso incidentale affidato a sette motivi.

1.1 Con l’unico motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate lamenta la
motivazione insufficiente della sentenza della CTR su un fatto decisivo
della controversia, e cioè su quale sia stato l’effettivo ammontare del
corrispettivo pagato per la compravendita immobiliare, oggetto del rilievo .
1.2. Come già ricordato, dall’attività ispettiva della G. di F. era emerso che
la GFC SPA in data 30.04.99 aveva ceduto una porzione immobiliare
costituita dall’intero corpo box (n.51 boxes) ad uso autorimessa e vari locali
adibiti ad uffici facenti parte del Centro Commerciale denominato “Il
Naviglio Grande — Ozi e Negozi” con sede in Buccinasco, a favore della
società REALE SRL con fattura n.79 in pari data per l’imponibile di
Lit.1.399.970.000. In relazione alla suddetta transazione era stata rilevata
una minusvalenza pari a Lit.1.702.496.000, atteso che il prezzo di vendita
(Lit.1.399.970.000) era risultato di gran lunga inferiore rispetto al valore
contabile delle porzioni immobiliari cedute (Lit.3.102.466.000).
Osserva la Agenzia delle Entrate che il giudice di prime cure aveva
inquadrato correttamente la normativa di riferimento nell’art.39, comma 1,
DPR n.600/73, che prevede l’esercizio del potere di rettifica dell’Ufficio
quando “L’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività
dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici purchè
queste siano gravi, precise e concordanti”, anche se poi in concreto aveva
affermato l’inesistenza dei presupposti per l’applicazione di detta normativa
e nella stessa linea si era posta la sentenza di secondo grado.
A parere della Agenzia delle Entrate la decisione della CTR sul punto è da
censurare in quanto palesemente insufficiente in merito alla corrispondenza
del vero valore dell’immobile all’importo della operazione di vendita, sul
quale non è soffermata, pur svolgendo altri profili motivazionali.
In particolare la CTR ha affermato che la operazione apparentemente
anomala poteva trovare giustificazione in valide ragioni economiche che
individuava in una “complessa operazione di lease — back decisa dalla
società nell’ambito di un cambio di strategia adottato a causa della crisi del
mercato commerciale che puntava “alla gestione del bene mediante
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CONSIDERATO IN DIRITTO

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locazione e gestione diretta”, in cui si inquadrava la singola vendita in
esame, ed il cui ammontare di Lit.9.461.300.000, aveva consentito di pagare
un mutuo bancario di Lit.8.966.000.000″ senza tuttavia chiarire i confini di
tale operazione, i soggetti coinvolti ed in che modo l’operazione di lease
back interferisse con la compravendita oggetto del rilievo.

La CTR ha quindi ritenuto, quanto al prezzo pagato, che la società avesse
documentato la scarsa richiesta dei boxes sul mercato e, quindi, la
sopravvalutazione degli stessi in bilancio, ed avesse dimostrato che i locali
commerciali posti all’ultimo piano del Centro Commerciale destinati ad
uffici, erano suscettibili di interesse limitato soltanto all’interno del
complesso commerciale in cui operava la società acquirente.
La CTR ancora ha affermato che il rapporto padre/figlio esistente tra
l’amministratore della società acquirente (Reale SRL) e quello della società
venditrice (GFC SPA) non rilevava granchè, considerato che gli assetti
proprietari delle due società non erano coincidenti.
Nello svolgere tali argomenti però, a parere dalle ricorrente Agenzia delle
Entrate non ha esaminato il profilo prioritario, prima evidenziato, del vero
valore dell’immobile.
1.3. Il motivo è fondato e va accolto.
La Agenzia delle Entrate ha ricordato, nel ricorso, molteplici elementi
portati a sostegno della determinazione della plusvalenza, tra cui:
1 – la macroscopica differenza tra il valore degli immobili riportato nel
bilancio societario (anno 1999) per €.3.102.466.130 e il valore di realizzo in
perdita, al 30.04.1999, per €.1.399.970.000 e la antieconomicità della
operazione
2 la stima dell’Agenzia del Territorio che aveva determinato il valore di
mercato dei medesimi immobili, con riferimento all’aprile 1999, in
€.3.440.200.000, valore molto vicino a quello indicato nel bilancio
societario 1998;

3 – la circostanza che la risposta fornita dalla società contribuente, alla
richiesta di chiarimenti avanzata dalla G. di F. in ordine alla operazione
eseguita in perdita, e cioè la necessità di risorse finanziarie e di liquidità,
non aveva trovato riscontro nelle emergenze amministrative in quanto:
a) dal contratto di compravendita emergeva che, del corrispettivo pattuito,
Lit.400.000.000 erano stati versati al momento del rogito, mentre il

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maggior residuo doveva essere corrisposto entro il successivo 31.12.2001
(due anni dopo);

c) nello stato patrimoniale, alla voce attività finanziarie (cioè attivo
circolante) la società contribuente aveva contabilizzato all’01.01.1999 le
poste “Titoli con cedole Istituto San Paolo di Torino” per Lit. 7.188.762.020
e “Titoli con cedole Cariplo” per Lit.1.139.415.507, titoli a breve
smobilizzo e per importi certamente in grado di fare fronte alle emergenze a
cui la società sosteneva di avere fatto fronte alienando l’immobile ad un
prezzo inferiore alla metà del suo valore di mercato;
d) nel corso del 1999 la società aveva concesso finanziamenti di rilevanti
importi per Lit. 5.000.000.000 e per Lit. 1.900.000.000, entrambi infruttiferi
di interessi;
4 il fatto che non risultava che la società GFC SPA, avendo ricevuto
l’offerta di acquisto della Reale SRL, si fosse attivata a cercare anche
acquirenti dei beni a valore di mercato;

5 – l’esistenza di rapporti contrattuali e “familiari” tra le due società che
rendevano ancora “più strana” l’operazione; in particolare vi era un
contratto con il quale la Reale SRL aveva l’incarico di gestire il mercato
ricercando le migliori fonti di approvvigionamento e clienti potenziali per la
GFC SPA, eppure si era proposta direttamente come acquirente sottocosto,
ed i rispettivi amministratori erano padre e figlio.
1.4. Orbene, nella impugnata sentenza da un lato manca la disamina di gran
parte dei molteplici elementi fattuali prima ricordati, proposti dalla Agenzia
delle Entrate a sostegno della rettifica effettuata, ovvero l’esame è svolto
con argomenti tautologici ed anapodittici, dall’altro non vi è una puntuale
esposizione delle ragioni per cui è stata riconosciuta la veridicità al prezzo
di realizzo del compendio immobiliare dei beni a fronte dei valori di
bilancio, dei valori di stima UTE e del valore di mercato e nessun concreta
indicazione è fornita circa gli elementi sul punto proposti dalla contribuente
e ritenuti sufficienti a fondare la pronuncia di accoglimento dell’appello.
Ciò impedisce di ricostruire l’iter logico — giuridico seguito dalla CTR, di
verificare la correttezza e la completezza del ragionamento probatorio
seguito ed integra senza dubbio il dedotto vizio di insufficiente motivazione
(v. Cass. ord. n. 3370/2012 e Cass. ord. n.9113/2012).
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b) un mese prima della cessione la società contribuente aveva avuto la
disponibilità finanziaria di Lit.9.461.300.000 a seguito di un contratto di
sale and lease back, contratto atipico utilizzato nella pratica commerciale
con funzione di finanziamento per il recupero immediato di liquidità;

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2.1. Esaurito l’esame del ricorso principale, si deve quindi passare all’esame
dei motivi proposti dalla società contribuente con il ricorso incidentale.

La società controricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione
dell’art.53, comma 1 lett. c), del DPR n.917/1986, nella versione all’epoca
vigente, in relazione all’art. 360, comma 1,n.3, cpc, in quanto, nella sua
prospettazione, la contabilizzazione dei titoli nel bilancio UE non è
consentita secondo il metodo “costi, ricavi e rimanenze”, bensì secondo il
metodo “costi e costi”, con la rilevazione delle eventuali plusvalenze, che
conduce peraltro al medesimo risultato reddituale, da ritenersi corretto,
ancor più quando sia redatto un prospetto di raccordo.
Afferma la GFC SPA che le plusvalenze da cessione di partecipazioni
azionarie per complessivi Lit. 9.176.000 (Lit. 7.971.000 per titoli TIM +
Lit.1.205.000 per titoli ACEA) erano già incluse nel Conto Economico del
1999, per cui la CTR erroneamente ha affermato che la società avrebbe
dovuto inserire in dichiarazione dei redditi l’importo di Lit.15.240.00.
Sostiene la GFC SPA che la contabilizzazione dei titoli nel bilancio UE non
è consentita secondo il metodo “costi, ricavi e rimanenze”, bensì secondo il
metodo “costi e costi”, con la rilevazione delle eventuali plusvalenze che,
nella sua prospettazione, conduce al medesimo risultato reddituale, da
ritenersi corretto, senza necessità di considerare ricavo imponibile l’intero
corrispettivo delle azioni contabilizzate. Rivendica quindi la corretta
iscrizione in bilancio del corrispettivo nella misura corrispondente alla
differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita, seguendo le regole
del bilancio UE (Principio contabile n.20 del CNDCeR) come imposto
dall’art.2425 cc. ” costi e costi” e non – come richiedeva l’Ufficio “costi,
ricavi e rimanenze”; segnala quindi un contrasto tra la disciplina civilistica e
quella dell’art.53, comma 1 lett. c, del TUIR all’epoca vigente.
Formula il seguente quesito “Se, stante il divieto di contabilizzazione dei
titoli nel bilancio UE secondo il metodo dei “costi, ricavi e rimanenze”, la
contabilizzazione secondo il metodo “costi e costi”, con rilevazione delle
plusvalenze e redazione di apposito prospetto di raccordo, sia da
considerarsi legittima ai sensi dell’art.53, comma 1 lett. c), del DPR
n.917/86 nella versione allora vigente, in quanto conduce ai medesimi
risultati reddituali derivanti dall’applicazione del metodo “costi, ricavi e
rimanenze” senza necessità di considerare ricavo imponibile l’intero
corrispettivo delle azioni contabilizzate”.
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3.1. Il primo motivo riguarda il dei rilievi, relativo
alla omessa contabilizzazione di ricavi conseguenti alla vendita di pacchetti
azionari.

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3.2. Il motivo è fondato e va accolto nei limiti di seguito indicati.
Appare preliminare alla disamina del motivo un breve riepilogo della
disciplina civilistica del bilancio, più volte richiamata dalla società
controricorrente.

Ricorda la Corte che, secondo l’art.2424 cc (Contenuto dello stato
patrimoniale), le partecipazioni azionarie in imprese possono essere
collocate nell’Attivo dello stato patrimoniale sia sotto la voce B)
“Immobilizzazioni” — III “Immobilizzazioni finanziarie”, sia sotto la voce
C) “Attivo circolante” — III “Attività finanziarie” che non costituiscono
immobilizzazioni. Le partecipazioni possono essere classificate nelle
immobilizzazioni finanziarie o tra le attività finanziarie che non
costituiscono immobilizzazioni a seconda che gli investimenti patrimoniali
siano destinati a permanere presso la società, funzionali alla gestione,
oppure siano liberamente negoziabili, sulla base di ragionevoli previsioni ed
avuto riguardo ai programmi che la società intende attuare, come previsto
anche dal principio contabile n.20 del CNDCeR.
3.4. Passando alla disciplina dell’art.2425 cc (Contenuto del Conto economico),
va rilevato che — contrariamente a quanto asserito dalla controricorrente la
cessione di partecipazioni azionarie può trovare collocazione tanto tra le voci
del “Valore della produzione” (A- 1 ) – ricavi delle vendite; A-2) variazioni
rimanenze) e dei “Costi della produzione” (B — 6 — costi di merci; B-11)
variazioni rimanenze )
La cessione delle partecipazioni azionarie può essere imputata anche alla
macroclasse C) – Proventi o oneri di natura finanziaria. Le plusvalenze si
imputano alla voce C 15 – Proventi da partecipazioni, mentre le minusvalenze
si includono nella voce C 17 — Oneri finanziari: il valore a cui le partecipazioni
sono iscritte in bilancio ed il prezzo di vendita genera una componente positiva
(plusvalenze) o negativa ( minusvalenze) che deve essere iscritta al Conto
economico
3.5. Ricorda ancora la Corte, con riferimento alla disciplina vigente ratione
temporis nel 1999, che il DPR n.917/86 prevede un diverso sistema di
determinazione dell’imponibile derivante dalla cessione di partecipazioni
azionarie, a secondo che le stesse siano state classificate nello stato
patrimoniale come “attività finanziarie che non costituiscono
immobilizzazioni” o come “immobilizzazioni finanziarie”.
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3.3. Ai sensi dell’art. 2423 cc, il bilancio di esercizio societario si compone
di tre elementi: lo stato patrimoniale, il conto economico e la nota
integrativa.

3.5.a) Nel primo caso, è applicabile l’art. 53 (Ricavi) del DPR n.917/86,
nel testo all’epoca vigente, “1. Sono considerati ricavi: (…) c) i
corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazioni in
societa’ ed enti indicati nelle lettere a), b) e d) del comma 1 dell’articolo 87,
comprese quelle non rappresentate da titoli, nonche’ di obbligazioni e di
altri titoli in serie o di massa, che non costituiscono immobilizzazioni
finanziarie, anche se non rientrano tra i beni al cui scambio e’ diretta
l’attività dell’impresa; (…)”, per cui, in presenza di un’attribuzione
patrimoniale, l’importo dei ricavi coincide con il suo valore (attualmente la
disciplina aggiornata è contenuta nell’art.85 del TUIR).
Tuttavia con riferimentilalle componenti di reddito ascritte a ricavi (art.53
TUIR), occupano un posto di significativo le variazioni delle rimanenze, che
possono appartenere sia all’ambito dei componenti positivi del reddito che
a quelli negativi. Le variazioni delle rimanenze sono da ricondurre tra i
componenti positivi quando rappresentano un aumento delle rimanenze
finali rispetto alle esistenze iniziali di esercizio, mentre vanno ricondotte tra
i componenti negativi quando, al contrario, esprimono una diminuzione
delle rimanenze finali rispetto alle esistenze iniziali. Il meccanismo delle
rimanenze assume rilievo quando il costo dei beni ceduti non è stato
sostenuto nel corso dello stesso periodo di imposta in cui è avvenuta la
cessione generando dei ricavi, ma nel corso di un periodo di imposta
precedente. Esso ha la funzione di traslare negli esercizi successivi il costo
in questione in modo da consentire l’abbinamento ai ricavi generati
nell’esercizio successivo in cui questi si determinano. In buona sostanza
nell’esercizio in cui il costo viene sostenuto viene inserito nelle componenti
negative del reddito se al termine dell’esercizio il bene non è stato venduto,
il costo viene inserito tra le rimanenze finali, comportandone un incremento
rispetto alle esistenze iniziali del periodo: detto incremento neutralizza
l’influenza sul reddito medesimo della spesa inclusa tra le componenti
negative.
Quando il bene negli esercizi successivi viene ceduto, si ha l’inserimento tra
i componenti positivi del reddito del ricavo, ma si ha pure la cancellazione
del suo costo tra le rimanenze, le quali subiscono un decremento. Questo
decremento concorre, a titolo di variazione in diminuzione delle rimanenze
finali, alla determinazione del reddito, neutralizzando in una parte più o
meno significativa l’incidenza sul reddito medesimo del ricavo inserito tra i
componenti positivi, così offrendo a tassazione soltanto l’incremento di
ricchezza acquisito con il corrispettivo.
3.5.b) Nel secondo caso è applicabile l’art. 54 (Plusvalenze patrimoniali)
del DPR n.917/86 nel testo all’epoca vigente “i. Le plusvalenze dei beni
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relativi all’impresa, diversi da quelli indicati nel primo comma dell’art. 53,
concorrono a formare il reddito: a) se sono realizzate mediante cessione a
titolo oneroso; (..) 2. Nelle ipotesi di cui alle lett. a) e b) del primo
comma la plusvalenza e’ costituita dalla differenza fra il corrispettivo o
l’indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta
imputazione, e il costo non ammortizzato. (…) 4. Le plusvalenze
realizzate, determinate a norma del comma 2, concorrono a formare il
reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate
ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre
anni, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei
successivi ma non oltre il quarto. Per i beni che costituiscono
immobilizzazioni finanziarie, la disposizione del periodo precedente si
applica per quelli iscritti come tali negli ultimi tre bilanci; si considerano
ceduti per primi i beni acquisiti in data piu’ recente.”, (attualmente la
disciplina aggiornata è contenuta nell’art.86 del TUIR).
3.6. Nel caso in esame, come è affermato nella sentenza impugnata (fol.6) e
non è contestato dalla controricorrente, le partecipazioni azionarie erano
collocate nell’attivo circolante tra le attività finanziarie che non costituivano
immobilizzazioni e non riguardavano imprese controllate, collegate o
controllanti, né si trattava di azioni proprie, tipologie di partecipazioni
societarie soggette a speciale disciplina nel codice civile.
Ne discende quindi che il concetto di “plusvalenza”, più volte riportato nel
primo motivo dalla società contro ricorrente, è utilizzato in modo improprio
ed evidentemente va riferito al concetto di “ricavo”.
Tanto premesso, si palesa evidentemente erronea l’applicazione dell’art.53
TUIR da parte della CTR, poiché pur utilizzando la esatta disposizione
normativa applicabile al caso in esame, non ha considerato il profilo della
rilevanza della variazione delle rimanenze e non ne ha dato conto nella
motivazione al fine della determinazione del reddito imponibile.
4.1. I motivi secondo e sesto possono essere trattati congiuntamente per la
evidente connessione.
4.2. Con il secondo motivo la società contribuente lamenta la violazione dei
criteri generali previsti dal DPR n.633/72 e dal DPR n.917/86, in relazione
all’art.360 comma 1 n.3, cpc, con riferimento al rilievo e cioè ai ricavi non contabilizzati per operazioni a favore della
società Edildugo.

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Cons. est. Laura Tricorni

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4.3. Con il sesto motivo la ricorrente censura il capo della sentenza relativo
al rilievo , relativo alla medesima operazione
Edildugo, sotto il profilo IVA.
4.4. Preliminarmente la controricorrente deduce che le fatturazioni in
questione riguardavano prestazioni di servizio (posa piastrelloni ed altro) e
non acquisti merci; quindi afferma che l’importo non fatturato era una
minima parte rispetto a quello dell’intero rapporto di fornitura di
£.9.399.237.340; ancora precisa che non vi era stato occultamento di
corrispettivi poiché le relative prestazioni non erano state eseguite, anche se
non aveva provveduto al riaddebito degli importi (almeno in parte alla
committente) per non creare conflittualità con la cliente.
4.5. Il secondo motivo è inammissibile.
Il mezzo va disatteso, in quanto presenta plurimi profili d’inammissibilità.
E’privo di adeguata autosufficienza circa i contenuti dell’atto fiscale
impugnato (Cass. 12786/06 e 13007/07) ed è articolato con un quesito di
diritto estremamente sommario e privo di un diretto e specifico riferimento
alle violazioni di legge, denunciate, peraltro, in maniera del tutto generica.
La ricorrente trascura che il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis c.p.c.
costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e
l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti
inadeguata e quindi non ammissibile l’investitura stessa del giudice di
legittimità. Deriva da quanto precede che la parte deve evidenziare tanto il
nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede che sia
affermato, quanto il principio, diverso da quello posto alla base del
provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre
a una decisione di segno diverso (Cass. 21184/10). Diversamente, detto
enunciato, mancando di riferimento alla fattispecie concreta (SU 7433/09),
non é tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un
accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte (SU 7258/07).
Nel caso specifico, per di più, la equivoca ed incerta formulazione del
quesito sembra quasi sollecitare una rivalutazione di merito della fattispecie,
inammissibile nel giudizio di legittimità.
4.6. Il sesto motivo è assorbito dalla decisione del secondo motivo.
5.1. Con il terzo motivo la società contribuente lamenta la violazione e falsa
applicazione dell’art.74, comma 2 DPR n.917/86 all’epoca vigente, in
relazione all’art.360, comma 1 n.3, cpc con riferimento al rilievo per spese di rappresentanza o pubblicità.

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Formula il seguente quesito di diritto ” se le spese di inaugurazione di un
centro commerciale debbano essere considerate spese di pubblicità o di
rappresentanza ai sensi dell’art.74 comma 2 DPR n.917/86, all’epoca dei
fatti vigente”.
5.2. Il terzo motivo è infondato.
Ricorda la Corte che ai sensi dell’art.74, comma 2, DPR n.917/86 all’epoca
vigente la deducibilità delle spese relative a più esercizi è diversamente
regolata a secondo della finalità delle stesse: “Le spese di pubblicità e di
propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in
quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi. Le spese di
rappresentanza sono ammesse in deduzione nella misura di un terzo del loro
ammontare e sono deducibili per quote costanti nell’esercizio in cui sono
state sostenute e nei quattro successivi”.
Circa i criteri discretivi tra le due categorie la Suprema Corte ha affermato
che “In materia di imposte sui redditi, rientrano tra le spese di
rappresentanza di cui all’art.74 DPR n.917/86, i costi sostenuti per
accrescere il prestigio della società senza dar luogo ad una aspettativa di
incremento delle vendite, mentre ne restano escluse le spese di pubblicità e
propaganda, aventi come scopo preminente quello di informare i
consumatori circa l’esistenza di beni e servizi prodotti dall’impresa, con
l’evidenziazione e l’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a
soddisfare i bisogni al fine di incrementare le vendite …” (Cass. sent. n.
17602/2008), ed ancora “… Vanno qualificate come spese pubblicitarie o di
propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti,
prevalentemente anche se non esclusivamente alla pubblicizzazione di
prodotti, marchi e servizi o comunque dell’attività svolta” (Cass. ord.
n.3433/2012): in proposito è stato rimarcato che per qualificare la spesa
come pubblicitaria deve sussistere una diretta finalità promozionale e di
incremento delle vendite (Cass. sent. n.10959/2007) e che il contribuente
deve provare una diretta aspettativa di ritorno commerciale (Cass. ord.
n.3433/2012).
Nel caso di specie, secondo la versione proposta dalla società contribuente,
le spese di rinfresco erano da qualificarsi come pubblicitarie in quanto erano
state sostenute in occasione della inaugurazione del Centro Commerciale
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Cons. est. Laura Tricorni

Afferma la controricorrente che le spese sostenute per torte e buffet, in
occasione della inaugurazione del Centro Commerciale, non erano intese a
migliorare l’immagine della GFC SPA , ma a promuovere la conoscenza del
Centro Commerciale di nuova apertura con intenti propriamente
pubblicitari.

”Naviglio Grande”, ed avevano lo scopo di promuovere la conoscenza tra i
cittadini del Centro Commerciale di nuova apertura e non di migliorare
l’immagine della GFC SPA. Tale prospettazione tuttavia non convince,
anzi depone in senso contrario: va osservato infatti che la GFC SPA non ha
chiarito quali specifici prodotti, marchi e servizi o comunque attività da lei
stessa svolta volesse pubblicizzare con le spese erogate, né ha provato una
qualsivoglia diretta aspettativa di ritorno commerciale per sé: elementi
ritenuti qualificanti al fine del riconoscimento della deducibilità delle spese
come pubblicitarie. Va rimarcato anche che non risultano forniti elementi
atti a far configurare il Centro Commerciale stesso come prodotto, marchio
o servizio della GFC SPA, che nulla ha dedotto in proposito ed anzi ha
omesso di fornire chiare ed univoche informazioni circa il suo interesse
specifico nell’operazione, la natura giuridica del Centro commerciale e
l’effettivo assetto proprietario e gestionale dello stesso.
6.1. I motivi quarto e quinto possono essere trattati congiuntamente per la
evidente connessione.
6.2. Con il quarto motivo la società contribuente lamenta la violazione e
falsa applicazione dell’art.74, comma 5, DPR n.917/86 all’epoca vigente, in
relazione all’art.360, comma 1 n.3, cpc con riferimento al rilievo per spese di rappresentanza o pubblicità.
Afferma la controricorrente che le spese per l’acquisto di pannelli e
scritture luminose riguardanti l’intero Centro Commerciale, erano state
sostenute direttamente dalla GDF SPA, che aveva collocato le relative
strutture nella propria parte dell’immobile adibito a Centro Commerciale
con intenti propriamente pubblicitari, ed erano frutto di una personale scelta
economica/commerciale della stessa GDF SPA, che prescindeva dal
vantaggio che ne avrebbero potuto trarre le altre società, cointeressate al
Centro Commerciale. Deduce quindi di non poter addebitare alle altre
società l’esborso ed afferma che le altre società occupano una superficie
minoritaria del Centro Commerciale.
A parere della controricorrente la CTR aveva errato a ritenere la inerenza di
tale spesa pro quota percentuale in rapporto alla quota di proprietà
dell’immobile adibito a centro Commerciale.
Formula il seguente quesito di diritto “Si chiede pertanto a questa Ecc. ma
Corte di esprimere il principio sulla questione se, alla luce del principio di
inerenza sancito dall’art.75, comma 5, TUIR, sia legittima la deducibilità
integrale di un costo di pubblicità (applicazione di pannelli e scritte
luminose sulla parte di un immobile della GFC SPA) riferentesi al bene da
cui l’impresa deriva i propri ricavi o tale deducibilità debba essere
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percentualmente limitata qualora da detto costo derivino incidentalmente
benefici anche a favore di terzi”.
6.3. Con il quinto motivo la ricorrente censura il capo della sentenza relativo
al rilievo , relativo ai medesimi costi per
pannelli e scritte luminose, sotto il profilo IVA.

La questione all’esame attiene al concetto di inerenza di spese, la cui natura
pubblicitaria non è contestata.
Orbene va osservato che, a fronte della puntuale ricostruzione pro quota
della imputazione della spese effettuata dalla CTR, la società contribuente
ha addotto argomenti non pertinenti, quali la astratta discrezionalità
dell’imprenditore circa l’opportunità di sostenere un costo pubblicitario,
mentre, ancora una volta, non ha chiarito nulla circa le modalità giuridiche e
di fatto con cui veniva gestito il Centro Commerciale (oggetto della
pubblicità), né circa i rapporti con le altre società presenti nel Centro,
elementi necessari per addivenire ad una differente valutazione
dell’ inerenza.
6.5. Il quinto motivo è assorbito dalla decisione del quarto motivo.
7.1 Con il settimo motivo la società contribuente lamenta la violazione
dell’art.12, comma 5, L. n.212/2000 in relazione all’art.360, comma 1 n.3,
cpc.
La controricorrente si duole del fatto che la CTR abbia ritenuto che la durata
massima della verifica fiscale dovesse essere calcolata conteggiando solo i
giorni di effettiva permanenza presso la sede dell’impresa.
7.2. Il motivo è infondato.
Come già affermato dalla Corte di legittimità “In tema di verifiche
tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari
dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è
meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara
perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né
la nullità di tali atti può ricavarsi dalla “ratio” delle disposizioni in materia,
apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo
fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga
permanenza degli agenti dell’Amministrazione.” (Cass. sent. n.17002/2012).
Nel caso in esame la CTR ha fatto buon governo di tale principio, per cui la
censura è infondata.
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Cons. est. Laura Tricorni

6.4. Il quarto motivo è infondato.

d’UNTE DA REGISTRAZIONE
AI SENSI DEL D.P.R. 26/4/1986
N. 131 TAB. ALL. B. – N. 5
MATERIA TRISUTARIA

Conseguentemente l’accoglimento del ricorso comporta la cassazione della
impugnata sentenza sui motivi accolti, in relazione al (minusvalenze deducibili e determinazione delle plusvalenze da vendita
immobiliare) ed al (omessa contabilizzazione di
ricavi conseguenti alla vendita di pacchetti azionari), con rinvio ad altra
sezione della CTR della Lombardia, che dovrà procedere a nuovo esame
della controversia, tenendo conto degli elementi suindicati, forniti in
giudizio dall’Amministrazione e degli elementi forniti dalla controparte,
dando conto in maniera completa e puntuale della disamina dei diversi
elementi sottoposti alla sua valutazione ed attenendosi ai principi di diritto
indicati. La CTR in sede di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle
spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione,
– accoglie il ricorso principale proposto su un unico motivo ed il
ricorso incidentale, limitatamente al primo motivo, respinti tutti gli altri;
– cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad
altra sezione della CTR della Lombardia per un nuovo esame e per la
statuizione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
C ì deciso in Roma, camera di consiglio del 10 marzo 2014.
Il onsigliere etensore
ott. Laura ricomi

cecu,-,

Il Presidente
Bielli
Dott.

8.1. Conclusivamente va accolto l’unico motivo del ricorso principale ed il
primo motivo del ricorso incidentale; va dichiarato inammissibile il secondo
motivo del ricorso incidentale, in esso assorbito il sesto, infondato il terzo
motivo del ricorso incidentale, infondato il quarto motivo del ricorso
incidentale in esso assorbito il quinto ed infondato il settimo motivo del
ricorso incidentale.

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