Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30869 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 26/11/2019, (ud. 15/10/2019, dep. 26/11/2019), n.30869

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18235/2014 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PREMUDA 6,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE AMATORE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANNA MARTA BALESTRA;

– ricorrente principale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI N. 12;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

M.G., SALUS S.P.A. – CASA DI CURA VILLA SERENA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1016/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 30/01/2014 R.G.N. 397/13;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/10/2019 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per accoglimento del ricorso

principale, rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato ANNA MARTA BALESTRA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Ancona con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato le opposizioni proposte nei confronti delle ordinanze ingiunzioni con le quali l’Agenzia delle Entrate aveva rivendicato nei confronti di Salus spa, e di M.G. e S.F., amministratori pro tempore della società, il pagamento delle sanzioni amministrative correlate all’avvenuta utilizzazione di attività professionali rese dal pubblico dipendente D.U. in assenza della autorizzazione della P.A. datrice di lavoro ed alla mancata comunicazione a quest’ultima dei compensi erogati al D..

2. La Corte territoriale ha poi ridotto la sanzione amministrativa relativa alla ordinanza ingiunzione n. 75182/2011 in relazione alla posizione della Salus spa e di S.F., quanto agli anni 2006, 2007, 2008.

3. Queste, per quanto oggi rileva, le argomentazioni motivazionali che sorreggono le statuizioni adottate: 1) la violazione del termine di 10 giorni previsto dall’art. 435 c.p.c., comma 2, non determina l’improcedibilità dell’appello; 2) la casa di Cura, destinataria del divieto di conferimento di incarichi ai dipendenti pubblici privi della necessaria autorizzazione, non aveva superato la presunzione di colpa insita nella sua condotta omissiva ma si era limitata a dedurre la mancanza di consapevolezza della qualità di dipendente pubblico in capo al D.; 3) non era applicabile la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 15, correlata alla omessa comunicazione delle retribuzioni in quanto la distinta previsione sanzionatoria, riferita alla mancata comunicazione annuale dei compensi, si riferisce solo all’ipotesi in cui, eseguita regolarmente la comunicazione dell’assunzione ed autorizzata la prestazione lavorativa del dipendente pubblico, non sia effettuata la comunicazione dei compensi versati che, in tale ipotesi, degrada ad una sorta di post factum non (autonomamente punibile).

4. Avverso questa sentenza S.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria.

5. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale affidato ad unico motivo.

6. M.G. e Salus spa sono rimasti intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi del ricorso principale.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 435 c.p.c., comma 2, per avere la Corte territoriale escluso che la violazione del termine di 10 giorni previsto da tale disposizione per la notificazione del ricorso in appello e del decreto di fissazione dell’udienza, determini improcedibilità dell’appello ove sia stato rispettato il termine di cui all’art. 435, comma 3. Assume che il termine imposto dal comma 2, per essere finalizzato a sanare l’originario squilibrio tra le parti che contrassegna la fase introduttiva del giudizio, attiene all’adempimento dell’onere di instaurazione del contraddittorio, il cui mancato assolvimento comporta la perdita del diritto ad ottenere la decisione nel merito.

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. n. 689 del 1991, art. 3, commi 1 e 2, con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9.

9. Imputa alla Corte territoriale di avere violato i principi affermati da questa Corte in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 3, con riguardo alla valutazione delle condizioni sufficienti per la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al trasgressore e dei presupposti per l’eventuale emergenza dell’esimente della buona fede. Deduce di avere fornito la prova di avere agito in buona fede e richiama la dichiarazione resa dal D. di non versare in condizioni di incompatibilità previste per i dipendenti pubblici. Precisa che il D. era titolare di partita IVA per l’attività di infermiere professionale e che il medesimo aveva emesso fatture fiscali per tutta la durata del rapporto di collaborazione. Asserisce che la natura autonoma del rapporto stipulato tra essa ricorrente ed il D. escludeva l’esercizio di poteri disciplinari nei confronti di quest’ultimo.

10. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti per avere la Corte territoriale ritenuto sanzionabile la condotta di esso ricorrente in relazione a tutti gli anni oggetto di indagine. Assume che la richiesta di autorizzazione deve essere richiesta prima del conferimento dell’incarico e non anche in occasione di ciascuna proroga e imputa alla Corte territoriale di avere omesso di pronunciare sull’eccezione in tal senso formulata sia nel ricorso in opposizione sia nel giudizio di appello.

Sintesi del motivo del ricorso incidentale

11. Con l’unico motivo il ricorrente incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 53, commi 9, 11, 15 secondo periodo, in relazione al D.L. n. 79 del 1997, art. 6, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 28 maggio 1997, n. 140, per avere la Corte territoriale ritenuto non giustificata l’applicazione della sanzione prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 15. Invoca i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 6974 del 2011.

Esame dei motivi del ricorso principale.

12. Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

13. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, condiviso dal Collegio, il termine di dieci giorni previsto per la notifica del ricorso dall’art. 435 c.p.c., comma 2, è un termine ordinatorio, sicchè dalla sua inosservanza non può discendere la decadenza dall’impugnazione (Cass. 24090/2019, 18286/2019, 3959/2016, 23426/2013, 8685/2012). Tale interpretazione ha trovato avallo anche nella giurisprudenza della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 60/2010).

14. Il secondo motivo del ricorso principale presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.

15. Esso è infondato nella parte in cui è dedotta la violazione della L. n. 689 del 1991, art. 3 commi 1 e 2, con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9.

16. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte (condiviso dal Collegio) per integrare l’elemento soggettivo delle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa è sufficiente la semplice colpa, che si presume a carico dell’autore del fatto vietato, gravando su questi l’onere di provare di aver agito senza (Cass. 2406/2016, 13610/2007)

17. E’ stato precisato che per ritenere sussistente la buona fede che esclude la responsabilità dell’autore dell’illecito non è sufficiente che al momento dell’infrazione costui si trovi in uno stato di mera ignoranza circa la concreta sussistenza dei presupposti ai quali l’ordinamento positivo riconduce il suo dovere (punito in caso di inosservanza con la detta sanzione) di tenere una determinata condotta, ma occorre che tale stato di ignoranza sia incolpevole (Cass. 14107/2003) ossia che non sia superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza (Cass. n. 13011/1997).

18. Pertanto, se l’errore sul fatto esclude la responsabilità dell’agente solo quando non è determinato da sua colpa, ne consegue che la norma limita la rilevanza della causa di esclusione alle sole ipotesi in cui l’errore sul fatto sia dovuto a caso fortuito o forza maggiore (Cass. 24803/2006) e che l’onere della prova dell’erroneo convincimento grava su chi lo invoca (Cass. 5877/2004), non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio probatorio (Cass. 20219/2018, 33032/2018, 15195/ 2008).

19. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi innanzi richiamati alla fattispecie dedotta in giudizio perchè, come già evidenziato nel punto 3 di questa sentenza, ha escluso che la condotta oggetto di sanzione amministrativa era stata improntata ad ordinaria diligenza sul rilievo che non era stata allegato e provato lo svolgimento della necessaria attività di preventiva informazione in ordine alla sussistenza di condizioni di incompatibilità dell’incaricato.

20. Il motivo in esame è inammissibile nella parte in cui il ricorrente sostiene che “gli elementi positivi” inducenti la convinzione di operare legittimamente erano state bene individuati dal giudice di primo grado.

21. Per un verso, infatti, il ricorrente sotto l’apparente denuncia del vizio di violazione delle norme richiamate in rubrica sollecita in realtà la rivalutazione del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. SSU 8053 /2014) e, per altro verso, in violazione degli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, non riproduce nel ricorso i documenti sui quali si fondano le censure (dichiarazioni e fatture fiscali emesse dal D.), atti non allegati al ricorso e di cui non risulta nemmeno indicata la specifica sede di produzione, (Cass. S.U. n. 8077/2012 e 22726/2011; Cass. 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010).

22. Il terzo motivo del ricorso principale è inammissibile perchè nel ricorso non risulta riprodotto l’atto di incarico, atto che non risulta allegato al ricorso e di cui non è indicata la specifica sede di produzione (cfr. p. 21 di questa sentenza) e perchè il ricorrente non ha specificato in che termini e in quale atto processuale abbia sottoposto alla Corte territoriale la questione in diritto, comportante anche accertamenti in fatto, relativa alla rilevanza di eventuali proroghe tacite dell’originario contratto di conferimento dell’incarico, questione non trattata dalla Corte territoriale (Cass. 5191/2019, 3315/2019, 105102018, 27568/2017, 167/2017, 22934/2016, 23045/2015, 5070/2009, 20518/2008, 4391/2007, 25546/2006, 14599/2005).

Esame dei motivi del ricorso incidentale

23. Il ricorso incidentale è infondato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 98 del 2015 che ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 53, comma 15 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui prevede che “I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11, incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9”.

24. Sulla scorta delle conclusioni svolte vanno rigettati il ricorso principale ed il ricorso incidentale.

25. Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della reciproca soccombenza.

26. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

27. Per l’Amministrazione ricorrente incidentale non sussiste l’obbligo di versare – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, atteso che la stessa è istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa della qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., n. 5955 del 2014, Cass., S.U. n. 9938 del 2014).

PQM

La Corte:

Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale

Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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