Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30863 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. III, 29/11/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 29/11/2018), n.30863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15691/2017 R.G. proposto da:

M.C., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Mariarosaria De

Fazio e Giordano Settembre;

– ricorrente –

contro

Cargeas Assicurazioni S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv.

Alberto Eramo, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma,

via Valadter, n. 39;

– controricorrente –

e nei confronti di:

Ma.Gi.;

– intimata –

avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi, n. 288/2017,

pubblicata il 17 febbraio 2017;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 ottobre

2018 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Brindisi ha dichiarato inammissibile, per difetto dei requisiti imposti dall’art. 342 c.p.c., l’appello proposto da M.C., nei confronti di Ma.Gi. e della Ubi Assicurazioni (ora Cargeas Assicurazioni S.p.A.), avverso la sentenza che ne aveva rigettato la domanda di condanna dei predetti al risarcimento dei danni da sinistro stradale.

Ha infatti rilevato che l’appellante, dopo aver censurato la pronuncia di primo grado perchè, a suo dire, affetta da motivazione contraddittoria e in contrasto con le risultanze processuali, si è limitato a riproporre la sua personale ricostruzione dei fatti; inoltre, “ha omesso di indicare, in maniera precisa, puntuale e specifica, tutte le parti della sentenza che ha inteso appellare, così come tutte le modifiche proposte alla ricostruzione del fatto storico”.

2. Avverso tale decisione il soccombente propone ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resiste la Cargeas Assicurazioni S.p.A., depositando controricorso.

L’altra intimata non svolge difese nella presente sede.

La controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’unico motivo di ricorso, è così rubricato: “GIUSTA INTERPRETAZIONE ED APPLICAZIONE dell’art. 342 c.p.c., commi 1) e 2)”.

La successiva illustrazione del motivo (pagg. 4 – 12) si risolve in una diffusa dissertazione circa la corretta interpretazione dei requisiti dettati dalla norma, inframmezzata del solo rilievo (leggibile a metà di pag. 4) secondo cui “è evidente come il contenuto dell’atto d’appello dichiarato dal G.I. improcedibile, tale non è, poichè rispecchia fedelmente le linee guida di cui sopra”.

Il motivo è inammissibile.

Non viene con esso dedotta infatti alcuna critica alla sentenza impugnata, che sia riconducibile ad uno dei vizi tassativamente indicati, quali possibili motivi di ricorso per cassazione, dall’art. 360 c.p.c., ma piuttosto si prospetta, in termini del tutto astratti, una mera questione accademica sulla quale si chiede un pronunciamento di questa Corte, ben al di là evidentemente dei suoi compiti istituzionali.

Occorre al riguardo rammentare che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve indicare “a pena di inammissibilità… i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”.

Come evidenziato da Cass. Sez. U. n. 17931 del 2013, tale requisito comporta l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposto nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 citato.

2. Varrà soggiungere peraltro che, quand’anche il motivo, pur nei detti termini rubricato e illustrato, possa intendersi diretto a denunciare un error in procedendo, per violazione della suddetta norma processuale, lo stesso si appaleserebbe ugualmente inammissibile, in quanto aspecifico e non autosufficiente, in violazione degli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

Manca infatti, in ricorso, alcuna indicazione, sia pur sommaria: delle questioni dibattute; delle ragioni poste a fondamento della domanda; di quelle che, nella sentenza di primo grado, ne hanno determinato il rigetto; dei motivi di appello (non si sa praticamente nulla dei fatti di causa). Non è possibile pertanto in alcuna misura apprezzare le ragioni per cui tali motivi, diversamente da quanto ritenuto dal giudice a quo, dovrebbero ritenersi in realtà, come afferma apoditticamente il ricorrente, rispettosi dei requisiti dettati dall’art. 342 c.p.c..

E’ appena il caso al riguardo di rammentare che, come costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, anche in ipotesi di denuncia di un error in procedendo, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone, comunque, l’ammissibilità del motivo di censura, cosicchè il ricorrente è tenuto – in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale – non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a specificare le ragioni della violazione, in coerenza con quanto prescritto dal dettato normativo, secondo l’interpretazione da lui prospettata (cfr. ex plurimis Cass. Sez. U. 03/11/2011, n. 22726; Cass. Sez. U. 22/05/2017, n. 8077; Cass. n. 5148 del 2003; n. 20405 del 2006; n. 21621 del 2007).

3. Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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