Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30863 del 22/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30863 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: DE GREGORIO FEDERICO

ORDINANZA

sul ricorso 27276-2012 proposto da:
TRANI

SILVIA

nata

a

MILANO

il

14/09/1976,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,
presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
2017
3110

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA VIALE MAZZINI 134 presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 22/12/2017

avverso

la

sentenza n.

2397/2012

della CORTE

D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/05/2012 R.G.N.

4753/07;

ad. 06-07-17 / r.g. 27276-12

ORDINANZA
LA CORTE
VISTI gli atti e sentito il consigliere relatore;
RILEVATO
che POSTE ITALIANE S.p.a. appellava la sentenza n. 9575/06, con la quale il giudice del lavoro di
Latina aveva accolto le domande dell’attrice TRANI Silvia, volte all’accertamento della nullità del
termine apposto ai contratti di lavoro subordinato, sottoscritti con la società relativamente ai periodi
20 luglio – 30 agosto 1998 (per necessità di espletamento del servizio recapito in concomitanza di

produttive, anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi
ricom prendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da
innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove
tecnologie, prodotti o servizi nonché all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi sindacali del
17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002);
che la Corte di Appello di ROMA con sentenza n. 2397/15 marzo – 28 maggio 2012, in riforma della
gravata pronuncia, rigettava le domande di parte attrice, appellata in secondo grado, compensate
le spese di lite, tenuto conto della cd. delega in bianco ex art. 23 L. n. 56/1987, di quanto previsto
dalla contrattazione collettiva di settore (1994 e 2001), anche per le ferie estive (durante i mesi da
giugno a settembre), nonché della genericità della doglianza relativa alla contestata mancanza di
prova concernente la valutazione dei rischi, con conseguente inammissibilità di nuove deduzioni al
riguardo in secondo grado;
che avverso l’anzidetta pronuncia d’appello ha proposto, come da atto notificato in data 26-27
novembre 2012, ricorso per cassazione la TRANI, affidato a cinque motivi, cui ha resistito la società
POSTE ITALIANE mediante controricorso del 27 – 31 dicembre 2012;
che risultano comunicati debitamente e tempestivamente gli avvisi per l’adunanza fissata in camera
di consiglio al 6 luglio 2017;
LETTE le memorie illustrative depositate nell’interesse della ricorrente TRANI;

CONSIDERATO
che il ricorso appare in parte fondato, sicché va accolto per quanto di ragione, ma limitatamente
agli ultimi tre motivi, dovendo invece disattendersi i primi due (entrambi formulati ex art. 360
comma I n. 4 c.p.c., in ordine a pretesa nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art.
112 c.p.c., concernente il primo contratto, che si assumeva indebitamente stipulato dopo il 30
aprile 1998 ai sensi del suddetto art. 23 in relazione, però a contrattazione collettiva scaduta il
31-12-1997, la cui ultrattività non era stata tuttavia mai dedotta da parte appellante, con
conseguente error in procedendo per vizio di ultrapetizione – nonché per violazione e falsa
applicazione degli artt. 346 e 112 c.p.c. con riferimento al secondo contratto, relativo al periodo
4 maggio – 30 giugno 2002, per il quale l’appellata aveva insistito nelle sue richieste, ma
limitatamente alla dedotta violazione del dl.vo n. 368/2001, rinunciando così di fatto alle
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assenze per ferie), nonché 4 maggio / 30 giugno 2002 (per esigenze tecniche, organizzative e

ad. 06-07-17 / r.g. 27276-12

censure riferite alla pretesa ultrattività dell’art. 25 c.c.n.l. 2001, mentre la sentenza di appello
non aveva tenuto conto di tale rinuncia ex art. 346 del codice di rito, pronunciandosi invece
ugualmente sulla questione, ma senza alcuna richiesta di parte in proposito);
che, invero, risulta comunque infondato il primo motivo, atteso che la decisione risulta ad ogni
modo conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. 6 – L, ordinanza
n. 6097 del 18 febbraio / 17 marzo 2014, con riferimento a contratto a tempo determinato
stipulato con Poste Italiane per il periodo 3 luglio 2000 – 30 settembre 2000, per “necessità

Nella specie veniva quindi ribadito che un tale contratto costituisce un’ipotesi di assunzione a
termine prevista dall’art. 8 del c.c.n.l. del 26 novembre 1994 – in esecuzione della “delega in
bianco”, a favore dei sindacati, di cui all’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 – per la
quale non è necessario né indicare nominativamente i lavoratori sostituiti né allegare e provare
che altri lavoratori siano stati in concreto collocati in ferie. Per tali assunzioni deve essere
escluso il limite temporale del 30 aprile 1998, previsto dalla contrattazione collettiva per la
diversa causale di assunzione “per esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione
e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di
nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, sicché esse hanno
continuato ad essere legittimamente effettuate sino all’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre
2001, n. 368, richiamando tra l’altro analoghi precedenti di questa Corte di legittimità, che
hanno escluso l’applicabilità alla causale in parola del limite temporale del 30 aprile 1998,
desumibile dalla contrattazione collettiva con riferimento alla diversa causale “esigenze
eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali
in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione
di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio
delle risorse umane” – cfr. Cass. 25225 del 2009 e n. 1828 del 2014 – principi quindi ribaditi
perché espressione della giurisprudenza consolidata di questa Corte, mentre il ricorso non
offriva elementi idonei a mutare orientamento);
che al riguardo neppure è ravvisabile il vizio di ultrapetizione dedotto dalla ricorrente, visto che
i motivi di appello da parte di POSTE ITALIANE risultavano strettamente pertinenti alle
argomentazioni in base alle quali la domanda dell’attrice era stata accolta in prime cure, ossia
unicamente in relazione all’omessa indicazione del nominativo del dipendente assente per ferie
sostituito dalla lavoratrice assunta a tempo determinato (nonché in relazione alla questione del
mutuo consenso, per la quale il primo giudicante non si era espressamente pronunciato), di
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dell’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”.

ad 06-07-17 / r.g. 27276-12

guisa che correttamente la Corte di merito riprendeva interamente in considerazione il tema
della causa, una volta constatata, alla luce della normativa di settore ed alla stregua della citata
giurisprudenza, l’erroneità della gravata pronuncia secondo cui occorreva l’indicazione
nominativa;
che, d’altro canto, sul punto l’allegazione di parte ricorrente è carente ex art. 366, co. I, in
particolare nn. 3 e 6 c.p.c., atteso che anche in relazione al preteso error in procedendo
l’accesso diretto agli atti resta comunque subordinato alla precisa indicazione di quanto nel

ricorrente specificamente indicato quanto riproposto (ex art. 346 c.p.c.) in secondo grado, circa
l’asserita scadenza al 31-12-1997 del c.c.n.l. 26-11-1994 (ai sensi del quale, art. 8, risulta
avvenuta, anche pacificamente, la prima assunzione dal 20 luglio al 30 settembre 1998), non
altrettanto può dirsi in ordine a tale questione con il ricorso introduttivo del giudizio (questione
di cui non vi è cenno alcuno nella relativa esposizione alle pagine da 1 a 9 del ricorso de quo,
mentre alle pagine 10/11 vi è stata la ripetizione della sola domanda RIpresentata nella
memoria di appello – RIPROPOSIZIONE ESPRESSA dell’ULTERIORE RAGIONE di nullità del
termine in questione …);
che, parimenti, quanto, poi, al secondo motivo, anch’esso formulato ex art. 360 n. 4 cit.,
nemmeno è riscontrabile l’ipotizzata violazione dell’art. 112 dello stesso codice di rito, essendo
stata la Corte distrettuale necessariamente investita dell’intera controversia per effetto
dell’interposto gravame, i cui motivi, come già detto, ritualmente attenevano alla limitata
ragione considerata fondata dal giudice adito in ordine al primo contratto di assunzione a tempo
determinato, di guisa che, una volta accolto il gravame sul punto, inevitabilmente e
doverosamente la cognizione della Corte di merito si espandeva a tutte le altre questioni
connesse al tema della decisione, tra cui evidentemente quelle relative al secondo contratto
maggio / giugno 2002, non affrontate dal primo giudice, non potendosi al riguardo ipotizzare
alcun abbandono o rinuncia da parte convenuta, tenuto altresì conto che il tribunale non aveva
in alcun modo pronunciato al riguardo;
che, infatti, una volta riproposta la domanda anche in relazione al secondo contratto, sebbene
limitatamente alla pur già dedotta violazione della normativa di cui al dl.vo n. 368/01, il petitum
così formulato, per il quale era stata allegata comunque la nullità (parziale, ex art. 1419, co.
II, c.c.) del termine finale (30-06-02), tale nullità, quindi altresì rilevabile di ufficio (art. 1421
c.c.), comportava il potere-dovere del giudicante di qualificare la pretesa azionata nei termini
dallo stesso ritenuti corretti, perciò indipendentemente da impulsi e da eccezioni di parte
(eccezioni perciò da intendersi in senso tecnico, cui evidentemente fa riferimento l’art. 346
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corso del giudizio di merito si assume ritualmente dedotto, laddove nella specie, pur avendo la

ad 1)6-07-17 / r g 27276-12

c.p.c. – v. altresì il secondo comma del precedente art. 345, concernente espressamente le sole
eccezioni non rilevabili di ufficio a proposito delle novità vietate in appello, laddove inoltre,
secondo la giurisprudenza di questa Corte – cfr. Cass. III civ. n. 23815 del 16/11/2007 – il
divieto di cui all’art. 437 cod. proc. civ. si riferisce esclusivamente alle eccezioni, processuali e
di merito, rimesse dalla legge alla facoltà della parte interessata e non anche, quindi, alle mere
difese e alle eccezioni in senso lato, ed alle nullità rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del
processo, sicché la pronuncia su di esse non è censurabile sotto il profilo della violazione di

che, pertanto, non è ravvisabile alcuna omessa pronuncia – né alcuna ultrapetizione da parte
della Corte territoriale, la quale, una volta accertata la erroneità della pronuncia gravata in
relazione al primo contratto con riferimento alla questione della mancata indicazione
nominativa, esaminava comunque nel merito la domanda, di accertamento della nullità
parziale, in relazione al secondo contratto, quantunque poi in base ad errata argomentazione
per le seguenti considerazioni;
che, infatti, appare fondato il terzo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione dell’art. 11
del dl.vo n. 368/2001 e dell’art. 74 c.c.n.l. 2001), riguardo al contratto stipulato nel corso
dell’anno 2002, laddove erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto ancora operante la
normativa in deroga di cui all’art. 23 L. n. 56/87 con riferimento all’art. 25 del contratto
collettivo 11 gennaio 2001, però scaduto il 31-12-2001, sicché era applicabile unicamente la
disciplina dettata in materia dal dl.vo n. 368 (v. Cass. lav. n. 16424 del 13/07/2010: l’art. 74,
comma 1, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 del personale non dirigente di Poste Italiane S.p.a.
stabilisce il 31 dicembre 2001 quale data di scadenza dell’accordo, di guisa che i contratti a
termine stipulati successivamente a tale data non possono rientrare nella disciplina transitoria
prevista dall’art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001 – che aveva previsto il mantenimento dell’efficacia
delle clausole contenute nell’art. 25 del suddetto c.c.n.l., stipulate ai sensi dell’art. 23 della
legge n. 56 del 1987- e sono interamente soggetti al nuovo regime normativo);
che, analogamente, risultano fondati il quarto ed il quinto motivo del ricorso, tra loro
indubbiamente connessi e perciò esaminabili congiuntamente (4. nullità della sentenza per
violazione dell’art. 345 – rectius per il rito lavoro 437 – c.p.c. in relazione l’art. 360 co. I n. 4
dello stesso codice – 5. nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 414 c.p.c.
ancora in relazione all’art. 360 n. 4), con riferimento alla questione già dedotta a pag. 22 del
ricorso introduttivo del giudizio e poi riproposta ritualmente in sede di appello, circa la nullità
del contratto risalente al maggio 2002, ai sensi dell’art. 3 dl.vo n. 368/2001, per cui l’attrice
aveva sufficientemente allegato la mancanza di prova della valutazione dei rischi ex art. 4 dl.vo
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ultrapetizione);

ad 06-07-17 / r g 27276-12

n. 626/1994 dalla convenuta parte datoriale (v. pagg. 30 e ss. del ricorso per cassazione), in
quanto dall’esame degli atti la questione appare essere stata debitamente dedotta in primo
grado, nonché reiterata in appello, sicché, contrariamente a quanto opinato frettolosamente
sul punto dalla Corte territoriale, non sembrano affatto giustificate la genericità e la novità
indicate nella sentenza qui impugnata, che va per l’effetto cassata, con rinvio alla Corte di
merito, in diversa composizione, perché si pronunci di nuovo, relativamente al secondo
contratto di maggio – giugno 2002 in base alla suddetta disposizione di legge, ratione temporis

valutazione dei rischi (v. a tal riguardo Cass. Sez. 6 – L, n. 21418 del 24/10/2016, secondo
cui l’omesso esame, da parte del giudice di appello, del motivo di gravame incentrato sulla
carenza di un valido documento di prevenzione dei rischi, tempestivamente dedotta, integra
vizio di omessa pronuncia su un fatto decisivo, posto che l’art. 3 del d.lgs. n. 368 del 2001
prevede che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato non è ammessa da
parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 del
d.lgs. n. 626 del 1994 e successive modificazioni, incombendo, quindi, sul datore di lavoro
l’onere di provare di avere assolto specificamente all’adempimento, secondo quanto richiesto
dalla normativa.
Cfr. pure Cass. lav. n. 5241 del 02/04/2012, secondo cui l’art. 3 del d.lgs. n. 368 del 2001, che
sancisce il divieto di stipulare contratti di lavoro subordinato a termine per le imprese che non
abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, costituisce
norma imperativa, la cui “rado” è diretta alla più intensa protezione dei lavoratori rispetto ai
quali la flessibilità d’impiego riduce la familiarità con l’ambiente e gli strumenti di lavoro; ne
deriva che, ove il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima
della stipulazione, la clausola di apposizione del termine è nulla e il contratto di lavoro si
considera a tempo indeterminato ai sensi degli artt. 1339 e 1419, secondo comma, cod. civ.);
P.Q.M.
la Corte RIGETTA i primi due motivi del ricorso, ACCOGLIE il terzo, il quarto e il quinto.
CASSA, per l’effetto, l’impugnata sentenza, in relazione ai motivi accolti e RINVIA, anche
per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

applicabile, circa la contestata validità del termine finale apposto, pure in ordine alla questione

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