Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3086 del 11/02/2010

Cassazione civile sez. III, 11/02/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 11/02/2010), n.3086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni B. – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. CHIARINI M. Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18453-2005 proposto da:

F.A. (OMISSIS), P.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.

AVEZZANA 13, presso lo studio dell’avvocato BONIFAZI LUCIANA,

rappresentati e difesi dall’avvocato TUORTO GENNARO con delega a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

F.P. (OMISSIS), F.L.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TARANTO 6,

presso lo studio dell’avvocato ALTAMURA GIUSEPPE, rappresentati e

difesi dall’avvocato IASEVOLI DOMENICO con delega a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1892/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

Seconda Sezione Civile, emessa il 04/06/2004; depositata il

06/07/2004; R.G.N. 1415/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2009 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 28.10.98 F.P. e F.L., premesso che erano comproprietarie di un fabbricato in (OMISSIS), di cui faceva parte un appartamento al piano terra di vani tre, concesso in comodato precario ai loro zii F.A. e P.M., e che detti comodatari non avevano loro restituito l’immobile occupato, benchè diffidati a farlo, convenivano in giudizio dinanzi al Pretore di Nola – sez. distaccata di S. Anastasia i suddetti coniugi F. per sentirli condannare al rilascio dell’appartamento ed al risarcimento dei danni determinati dal mancato godimento del bene.

I convenuti contestavano la domanda, eccependo che l’immobile era stato loro concesso in proprietà da Fa.An. sin dal (OMISSIS) a titolo di compenso per la guardiania (alle dipendenze della soc. Nuova Delfa a r.l.) svolta da F.A., che aveva – a suo dire – realizzato materialmente l’abitazione con la sua opera, mentre Fa.An. aveva contribuito all’acquisto del materiale necessario, così acquisendo la proprietà di suolo e casa sovrastante. Proponendo anche domanda riconvenzionale.

Il Tribunale di Nola, ritenuta la natura gratuita del rapporto di comodato tra le parti in causa, rigettava la domanda di risarcimento danni e condannava i convenuti al rilascio dell’appartamento.

Proposto appello dai coniugi F. e P., le appellate resistevano al gravame, proponendo appello incidentale diretto alla condanna degli appellanti al rimborso integrale delle spese di primo grado, e con sentenza depositata il 6.7.04 la Corte d’appello di Napoli rigettava entrambi gli appelli.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i coniugi F.- P., con sei motivi, mentre le intimate hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 102 e 295 c.p.c. ed erronea e carente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in ordine all’invocata qualificazione della domanda riconvenzionale e della necessità d’integrazione del contraddittorio, avendo omesso la Corte di merito di pronunciarsi sia sulla pregiudizialità della domanda riconvenzionale di accertamento della proprietà dell’immobile in capo ad essi ricorrenti che sulla domanda medesima, nonchè di considerare che litisconsorte necessario nel presente giudizio fosse Fa.An., dante causa dei ricorrenti stessi.

Con il secondo motivo lamentano la violazione degli artt. 102 e 295 c.p.c. ed erronea e carente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in ordine all’invocata qualificazione della domanda riconvenzionale, avendo la Corte partenopea omesso di pronunciarsi circa la doglianza relativa alla mancata applicazione – da parte del primo giudice – degli artt. 102, 354 e 439 c.p.c. per effetto della quale la causa, almeno per quanto riguarda la domanda di accertamento del rapporto di lavoro tra F.A. e Fa.An., avrebbe dovuto essere rimessa dinanzi al giudice di prime cure ovvero al competente giudice del lavoro.

Con il terzo motivo lamentano la violazione dell’art. 1803 c.c., avendo erroneamente la Corte territoriale tratto dalla valutazione del materiale probatorio il convincimento che nella specie sussistessero tutti gli elementi costitutivi del contratto di comodato.

Con il quarto motivo si sostiene invece che dalle risultanze processuali emergeva che la causa del godimento dell’immobile de quo andasse ravvisata – nel trasferimento della proprietà del medesimo ai ricorrenti ad opera della soc. Nuova Delfa a compenso dell’intercorso rapporto di lavoro.

Con il quinto motivo deducono “omessa e/o carente motivazione sulla domanda subordinata di sussistenza del diritto di superficie”, non contenendo la sentenza impugnata alcuna pronuncia su tale domanda.

Con il sesto motivo lamentano infine “carente e/o insufficiente motivazione in ordine al diritto di accessione e del rimborso del valore delle opere fatte dal terzo, avendo sul punto la Corte napoletana completamente omesso di pronunciare o comunque di fornire alcuna motivazione circa la fondatezza della domanda.

1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

1.1. Va rilevato, in primo luogo, che, contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, la Corte di merito si è chiaramente pronunciata sull’eccepita pregiudizialità della domanda di accertamento della proprietà avanzata in via riconvenzionale dagli odierni ricorrenti.

I giudici d’appello, infatti, hanno motivatamente escluso che nel caso di specie si ravvisasse un rapporto di pregiudizialità necessaria tra l’azione di rilascio dell’immobile promossa dalle comodanti e quella di accertamento della proprietà avanzata dai comodatari in ragione della diversità del titolo posto a fondamento delle rispettive pretese, rilevando trattarsi viceversa di pregiudizialità puramente facoltativa, per cui, cessando di essere la sospensione del processo obbligatoria per il giudice ai sensi dell’art. 295 c.p.c. il disporla o meno rientrava nel potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità (v. Cass. S.U. n. 3354/94; Cass. n. 7195/03).

1.2. Quanto al denunciato vizio di omessa pronuncia circa la domanda riconvenzionale proposta dai ricorrenti, si rileva che il medesimo, traducendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e, perciò, in un error in procedendo, è deducibile con ricorso per cassazione soltanto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (nullità della sentenza e del procedimento), mentre esso non può essere fatto valere come violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) nè tanto meno come vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 604/03), come invece si risulta essere avvenuto nel caso di specie.

1.3. Giustamente poi la Corte di merito ha ritenuto inutile l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Fa.

A., indicato come già proprietario della particella che sarebbe stata trasferita ai ricorrenti sin dal (OMISSIS).

Ed invero, l’azione con cui, a qualsiasi titolo, si rivendica una proprietà va diretta unicamente nei confronti di chi possiede il bene o ne è proprietario all’atto della domanda e non anche dei precedenti danti causa, che non hanno veste di litisconsorzi necessari (Cass. n. 5335/00).

2. Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile per le stesse ragioni che sono state illustrate al precedente punto 1.2.

Ed invero, il vizio di omessa pronuncia circa la domanda riconvenzionale proposta dai ricorrenti, compreso anche il preventivo accertamento del rapporto di lavoro intercorso tra il F. A. ed il Fa.An. ovvero con la s.r.l..

Nuova Delfa, risulta nuovamente dedotto con riferimento espresso alla violazione di norme di legge (artt. 102 e 295 c.p.c.) ed a vizi motivazionali (erronea e carente motivazione della sentenza d’appello), anzichè sollevato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 quale error in procedendo.

3. Anche il terzo motivo ed il quarto, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili, in quanto, sebbene impropriamente rappresentati sotto il profilo della falsa applicazione di norma di legge (l’art. 1803 c.c.), costituiscono in realtà esclusivamente censure in punto di fatto, risolvendosi nella pretesa di un mero riesame del merito attraverso una rilettura delle risultanze probatorie, che non è consentita nel giudizio di legittimità, allorquando la valutazione del materiale probatorio sia sorretta – come nel caso di specie – da logica e congrua motivazione.

4. Per quanto riguarda il quinto motivo, anche volendo prescindere dal rilevare che la domanda subordinata di sussistenza del diritto di superficie, in quanto non proposta nel giudizio di primo grado, doveva considerarsi domanda nuova ai sensi dell’art. 345 c.p.c. e, quindi, andava d’ufficio dichiarata inammissibile dal giudice d’appello, si osserva che ne va dichiarata comunque l’inammissibilità per le stesse ragioni già spiegate nei precedenti punti 1.2. e 2.

Infatti, il vizio di omessa pronuncia circa la domanda suddetta risulta dedotto sotto il profilo “della omessa e/o carente motivazione”, anzichè sotto quello di error in procedendo da far valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

5. Il sesto motivo è infine infondato, avendo la Corte territoriale sufficientemente spiegato, con logica ed adeguata motivazione, le ragioni in forza delle quali ha ritenuto di disattendere la richiesta di rimborso delle spese asseritamene sostenute per la realizzazione dell’immobile de quo, nonchè di compenso per la prestazione di manodopera, facendo correttamente riferimento all’assoluta mancanza di prove a sostegno di tale richiesta relativamente sia all’an che al quantum.

6. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a corrispondere le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, disponendone la distrazione a favore dell’avv. Domenico Iasevoli dichiaratosene antistatario.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010

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