Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30859 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. III, 29/11/2018, (ud. 11/10/2018, dep. 29/11/2018), n.30859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3709/2017 R.G. proposto da:

L.S.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Marco Parisi,

considerato domiciliato ex lege in Roma presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

M.C., rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Marchese,

con domicilio eletto in Roma, in via G. Antonelli, presso lo studio

dell’Avv. Giuseppe Mario Militerni;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 314/16 della Corte d’Appello di Messina,

depositata il 21/06/2016;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio dell’11 ottobre

2018 dal Consigliere Marilena Gorgoni.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.S.A. espone che, persistendo, dopo lo sfratto per morosità, l’inadempimento di M.C. quanto al pagamento del canone di locazione, aveva ottenuto dal Tribunale di Messina decreto ingiuntivo per la somma di Euro 5.405,66. Il provvedimento veniva opposto da M.C. presso il Tribunale di Messina, il quale, prima dell’udienza di comparizione delle parti, revocava la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo con provvedimento straordinario, ritenendo che il Tribunale non avesse apposto la formula sacramentale atta a conferirgli immediata esecutività. All’esito della prima udienza, il Tribunale di Palermo, disponeva il mutamento di rito, e accoglieva l’eccezione di tardività dell’opposizione formulata dall’odierno ricorrente nella propria memoria integrativa, dichiarava inammissibili l’opposizione e le domande riconvenzionali formulate da M.C. e, “avuto riguardo comunque alle ragioni della decisione e alla natura della controversia”, riteneva equo compensare per intero tra le parti le spese processuali.

La decisione fu impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Messina da L.S.A. per la parte relativa alla compensazione delle spese, ritenuta iniqua, per essere stato egli costretto ad agire in giudizio per ottenere il legittimo pagamento dei canoni, erronea, per il riferimento all’equità quale criterio giustificativo della compensazione in una fattispecie ove la equità non era prevista, priva di motivazione o comunque erronea e contraddittoria, stante l’assenza in concreto di alcuna decisione di merito, per di più illegittima, per difetto dei presupposti della soccombenza parziale o reciproca.

La Corte d’Appello, con sentenza del 29/09/2007, dichiarava improponibile il gravame, essendo stato il ricorso proposto oltre il termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c., e condannava l’appellante al pagamento delle spese processuali.

La sentenza fu oggetto di ricorso per Cassazione da parte di L.S. e cassata con rinvio della controversia alla Corte d’Appello di Messina, con sentenza del 31/12/2008, n. 30663, in accoglimento del primo motivo, ritenuto che il giudice d’appello erroneamente non avesse applicato la sospensione dei termini processuali di cui alla L. n. 742 del 1962.).

Con la sentenza impugnata, n. 314/2006, il giudice territoriale, nel giudizio di rinvio, riassunto dall’attuale ricorrente che insisteva per la condanna della conduttrice al pagamento delle spese processuali sia del primo che del secondo grado di giudizio, riproponendo le argomentazioni già formulate con il ricorso in appello, riteneva che il Tribunale di Messina avesse ritenuto sussistenti “giusti motivi” per compensare le spese, come previsto dall’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo previgente alla riforma del 2005, applicabile ratione temporis. Benchè non avesse dato pienamente conto della propria decisione e avesse richiamato l’equità, invece, non del tutto pertinente, e avesse fatto riferimento alla natura della controversia, del tutto irrilevante, “stante la decisione in rito di inammissibilità dell’opposizione”, la decisione del Tribunale di Messina veniva ritenuta “condivisibile e pienamente giustificata dalla statuizione di natura meramente processuale adottata e peraltro determinata da una errata scelta del rito effettuata dall’opponente, inizialmente non evidenziata dai convenuti, ma rilevata d’ufficio dal giudice con l’ordinanza di mutamento del rito da ordinario a locatizio”. Disponeva la compensazione tra le parti delle spese processuali dell’ordinario giudizio di appello e del giudizio di rinvio “in ragione delle insufficienti indicazioni delle ragioni giustificatrici della disposta compensazione che hanno ragionevolmente indotto il L. ad impugnare la sentenza”. Poneva a carico dell’appellata le spese del ricorso per Cassazione che liquidava in Euro 1.356,00.

Affidandosi a sei motivi, L.S.A. propone ricorso per Cassazione, avverso la sentenza n. 314/2006 della Corte d’Appello di Messina. Resiste con controricorso M.C..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e il travisamento del fatto, in relazione all’art. 447/bis c.p.c., all’art. 1571 c.c., agli artt. 163 e 112 c.p.c..

1.1. L’errore imputato al giudice di appello è quello di aver ritenuto che fosse stato il Tribunale di Palermo a rilevare d’ufficio la scelta errata del rito, in contrasto con le risultanze degli atti processuali e delle sentenze di primo e secondo grado che evidenziavano l’accoglimento dell’eccezione di tardività da lui formulata.

2. Con il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione anche al travisamento dei fatti, ricondotte all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

2.1. L’argomentazione del ricorrente si fonda sulla contraddittorietà con cui la Corte territoriale, dopo aver ritenuto non del tutto pertinente il richiamo dell’equità contenuto nella decisione di primo grado e il difetto di motivazione quanto alla decisione di compensare le spese, ha ritenuto la decisione di compensare le spese condivisibile e pienamente giustificata dalla statuizione di natura meramente processuale adottata.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 279,91,125 e 414 c.p.c..

3.1. La tesi del ricorrente è che la motivazione della sentenza impugnata sia meramente apparente, perchè non permette di comprendere le ragioni che l’hanno determinata, e per di più sia in contrasto con l’art. 447 bis c.p.c., il quale, regolando la disciplina processuale applicabile, preclude alla parte la scelta del rito. Nella sostanza egli ritiene che, quand’anche il giudizio fosse stato introdotto con rito sbagliato col termine scaduto, essendovi stata un’udienza straordinaria che non aveva rilevato il vizio ed essendo il vizio stato rilevato solo su sua eccezione, egli avrebbe avuto diritto alla condanna alle spese della soccombente, cioè di colei che aveva instaurato l’azione, in applicazione del principio di causalità.

4. Con il quarto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91,92 e 113 disp. att. c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2 e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e dell’art. 111 c.p.c., comma 1, deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2.

4.1. Il nucleo argomentativo del motivo è che la “paternale” compensazione delle spese di lite sia stata disposta in assenza dei presupposti di legge, senza adeguata motivazione e senza precisi riferimenti al processo, dai quali, a suo avviso, emergerebbero dati contrastanti rispetto a quelli posti a fondamento della decisione del giudice.

5. Con il quinto motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, imputa alla Corte territoriale di aver violato e/o falsamente applicato gli artt. 91,92 e 113 disp. att. c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2, e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e all’art. 111 Cost., comma 1, di aver violato l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2.

5.1. Anche la statuizione del giudice del rinvio che aveva compensato le spese di lite tanto dell’originario grado di appello quanto del giudizio di rinvio “in considerazione delle insufficienti indicazioni delle ragioni giustificatrici della disposta compensazione che hanno ragionevolmente indotto il L. ad impugnare la sentenza” sarebbe incorsa in errore ed in contraddizione. Il primo sarebbe dato dall’omessa pronuncia sulle spese del giudizio in cassazione. La seconda consisterebbe nell’avere lasciato intendere che egli aveva fatto bene ad impugnare la sentenza di primo grado, salvo poi compensare le spese, piuttosto che adottare il principio della soccombenza, facendole gravare sull’attuale resistente.

6. Con il sesto e ultimo motivo il ricorrente censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, la violazione degli artt. 91 c.p.c. e ss..

6.1. La Corte d’Appello di Messina, nella sentenza di rinvio, liquidando le spese del giudizio per cassazione, non solo non avrebbe indicato il percorso seguito per la loro quantificazione, impedendo al ricorrente ogni verifica, ma avrebbe violato le tariffe di cui al dm 127/2004. Egli aveva, infatti, prodotto una specifica nota spese e la Corte discostandosi dal contenuto minimo della tariffa non aveva motivato l’eliminazione o la riduzione delle spese richieste.

7. I motivi nn. 1-4 possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della loro evidente connessione logica oltre che giuridica.

7.1. Va osservato:

– che con il ricorso per Cassazione non si può denunciare che il giudice di merito abbia posto a fondamento della propria decisione una circostanza di fatto, qui rappresentata dal rilievo d’ufficio della tardività dell’opposizione, in contrasto con le risultanze processuali, perchè tale travisamento esigerebbe la revocazione della sentenza ex art. 395 c.p.c., n. 4, (Cass. 18/07/2008, n. 19924);

– che, ad ogni modo, il ricorrente avrebbe dovuto fornire una compiuta rappresentazione circa la ricorrenza di un’evidenza – infedelmente rappresentata dal giudicante – di per sè dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, perchè capace di rendere incoerente il percorso argomentativo del provvedimento impugnato. Tanto non è avvenuto. Il ricorrente non solo non ha fornito indicazioni testuali circa la ritualità, la tempestività ed il contenuto dell’eccezione da lui proposta, (egli si è limitato a dedurre di avere eccepito la tardività dell’opposizione), ma neppure ne ha dimostrato la decisività;

– che risulta chiaro che il ricorrente sovrappone l’eccezione di tardività dell’opposizione da lui sollevata, come riconosciuto inequivocabilmente dalla Corte d’Appello (a p. 4), con l’errata scelta del rito imputata all’opponente e non rilevata dalle parti. A tale scelta si riferisce la Corte territoriale a p. 6 della sentenza quando dichiara di condividere la decisione sulle spese adottata dal Tribunale di Messina, giustificandola facendo leva sul rilievo d’ufficio dell’erronea scelta del rito. In sostanza, la scelta del rito ordinario in luogo di quello locatizio, rimproverata all’attuale resistente, è stata rilevata d’ufficio dal Tribunale, sia pure dopo essersi pronunciato contro la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo. Il ricorrente, invece, non aveva chiesto il mutamento del rito, limitandosi a rilevare l’improcedibilità del giudizio per la sua tardiva introduzione.

Per questa ragione, reputati sostanzialmente equivalenti gli oneri processuali imputabili a ciascuna delle parti, era stata disposta l’integrale compensazione delle spese di lite.

– che non assume alcun rilievo l’ordinanza con cui il Tribunale ha sospeso l’immediata esecutività del decreto ingiuntivo poichè i suoi effetti sono venuti meno con la pronuncia sull’opposizione, con cui il giudice decide se revocarla o confermarla, essendo essa inidonea ad interferire sulla definizione della causa;

– che è vero che, nella fattispecie, avuto riguardo alla data di instaurazione del giudizio, trova applicazione la versione originaria della disposizione di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2, in ragione della quale “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare parzialmente o per intero, le spese tra le parti”;

– che la valutazione dei giusti motivi è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito;

– che anche nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non risulta necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento, purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito).

7.2. Tale cornice normativa risulta tale da giustificare la conclusione secondo cui il Tribunale di Messina, riferendosi all’equità, aveva sostanzialmente riempito di contenuto i “giusti motivi”, di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2, essendo le valutazioni svolte al riguardo dal giudice di merito espressione di un potere discrezionale non sindacabile in sede di legittimità.

8. Quanto al motivo n. 5, ad avviso di questo Collegio, il ricorrente non coglie nel segno quando censura la motivazione con cui la Corte ha disposto la compensazione delle spese di giudizio di appello e di quello di rinvio. Il giudice a quo, infatti, con una motivazione adeguata e sufficiente ha ravvisato la ricorrenza dei presupposti per compensare le spese tra le parti ed ha così esercitato il potere discrezionale proprio del giudice di merito (Cass. 4/08/2017, n. 19613).

9. Il motivo n. 6 è inammissibile, perchè il ricorrente non ha soddisfatto gli oneri di allegazione imposti dal principio di autosufficienza. In difetto della nota spese che egli asserisce di avere prodotto, questa Corte non è messa nelle condizioni di esercitare lo scrutinio richiestole.

10. Ne consegue il rigetto del ricorso.

11. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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