Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30857 del 22/12/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 30857 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA
sul ricorso 8492-2012 proposto da:
NUOVA

SACELIT

S.R.L.,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA,

PIAZZA MAZZINI 27,

presso lo studio

dell’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati ANNA MARIA CORNA,
2017
2131

PAOLO ZUCCHINALI, PAOLO SANTINOLI, giusta delega in
atti;
– ricorrente

contro

BELOTTI DANIELA,

BELOTTI PIETRO,

BELOTTI LAURA,

Data pubblicazione: 22/12/2017

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE BELLE
ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
AMBROSIO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato PATRIZIA

giusta delega in

RAVANELLI,

atti;

avverso la sentenza n. 445/2011 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 05/11/2011 R.G.N. 487/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/05/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato CHIODETTI GUIDO per delega orale
Avvocato TRIFIRO’ SALVATORE;
udito l’Avvocato AMBROSIO GIUSEPPE.

– controricorrenti –

r.g. 8492/2012

FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Bergamo condannò la Nuova Sacelit s.r.l. al pagamento in favore
degli eredi di Laura Bonalumi, dipendente della società dal 1963 al 1993 deceduta per
un mesotelioma del peritoneo, della somma di C 435.000,00 in relazione al danno
non patrimoniale sofferto in vita dalla Bonalumi ed al pagamento della somma di C
225.000,00 ciascuno in favore di Pietro e Laura Belotti e di C 150.000,00 in favore di

decesso della loro congiunta ( moglie e madre).
2. La Corte di appello di Brescia, investita del gravame da parte della società, ha:
– confermato la legittimazione passiva della società ed il nesso causale tra il
mesotelioma del peritoneo e l’esposizione all’amianto sotto il profilo della quantità e
durata dell’esposizione;
– ritenuto provata la condotta colposa di omissione delle misure di sicurezza sia sotto
il profilo della mancata riduzione della polverosità dell’ambiente di lavoro, non essendo
state predisposte idonee misure di sicurezza per abbattere la polverosità degli
ambienti e ridurre l’esposizione alle fibre di amianto con l’installazione di aspiratori
efficaci, sia in relazione alla mancata imposizione di dispositivi di protezione
individuale, alla pulizia dei locali delle attrezzature e degli impianti ed alla tempistica
nella sostituzione di filtri e maschere;
– accertato che non era stata apprestata una adeguata informazione ed istruzione dei
lavoratori circa l’uso dei dispositivi di sicurezza, quando pure erano stati messi a
disposizione dei lavoratori. Il giudice di appello ha infatti riscontrato che l’adozione dei
presidi di sicurezza era stata solo suggerita e non imposta e che, di fatto, era emerso
che in concreto non erano utilizzati;
– escluso che la società, sulla quale gravava il relativo onere probatorio, avesse offerto
la prova dell’esistenza di cause extralavorative alle quali collegare l’insorgenza della
malattia;
– riconosciuto ai ricorrenti iure ereditario il danno conseguente alla consapevolezza, da
parte della lavoratrice loro dante causa, della gravità della patologia e
dell’approssimarsi della morte, liquidando a titolo di danno biologico, esistenziale e
morale la somma di C 299.000,00 oltre interessi legali sulla somma annualmente
devalutata a decorrere dalla diagnosi del 14.8.2002 ed utilizzando quale parametro la
3

Daniela Belotti per il danno non patrimoniale da essi sofferto in conseguenza del

r.g. 8492/2012

misura massima dell’inabilità temporanea (C 1300,00 al giorno) e moltiplicandola per
la durata della malattia (230 giorni);
– rigettato le censure che investivano il danno non patrimoniale riconosciuto ai
congiunti (marito e figli) che ha ritenuto provato presuntivamente e correttamente
liquidato anche con riguardo al calcolo degli accessori.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre la Nuova Sacelit s.r.l. ed articola nove

Pietro, Belotti Daniela e Belotti Laura.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.Con il primo motivo di ricorso è denunciata l’omessa insufficiente e contraddittoria
motivazione su un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 primo comma
n. 5 cod. proc. civ., nel testo antecedente le modifiche apportate dall’art. 54 del d.l. n.
83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012.
4.1. Espone la ricorrente di avere eccepito, sin dal primo grado, la propria carenza di
legittimazione passiva sulle domande di risarcimento del danno biologico

iure

hereditatis per essere legittimato l’Inail ai sensi del d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38.
4.2. Sottolinea che in appello era stato evidenziato che il Tribunale aveva trascurato
che era stata documentata la liquidazione di una rendita da parte dell’Istituto
assicurativo, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, e che nella componente
danno biologico era compresa la liquidazione del danno esistenziale, morale. A fronte
di tale specifico rilievo la Corte di appello non avrebbe spiegato perché tali voci di
danno non erano comprese nella liquidazione del danno biologico e non rientravano
nelle tabelle ministeriali emesse in applicazione del citato art. 13.
5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione
dell’art. 13 d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38 per non avere considerato il giudice di
appello che nel danno biologico disciplinato dalla citata disposizione rientrano tutti i
danni alla persona e non solo quello alla salute.
5.1. Ad avviso della società ricorrente in tal senso depone, oltre al tenore letterale
della disposizione, anche l’interpretazione datane dalla giurisprudenza della cassazione
che ha differenziato il danno liquidato dall’INAIL prima del d.lgs. n. 38 del 2000 da
quello liquidato successivamente a tale data, comprensivo del danno biologico inteso

4

motivi ulteriormente illustrati con memoria cui resistono con controricorso Belotti

r.g. 8492/2012

come danno alla persona nella sua globalità con esonero di responsabilità del datore di
lavoro.
5.2. Rileva ancora che la definizione di danno biologico prevista dall’art. 13 è
sostanzialmente analoga a quella prevista dagli artt. 138 e 139 del Codice delle
assicurazioni (d. Igs. n. 209 del 2005) che individuano il danno biologico nella lesione
temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona con riflessi sugli

ripercussioni sulla capacità di reddito.
6. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art.
13 d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38 e dell’art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965 sempre in
relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ..
6.1. Sostiene la ricorrente che la sentenza della Corte di appello, nel ritenere
persistente la responsabilità del datore di lavoro, avrebbe violato il ricordato art. 13 in
base al quale il danno deve essere liquidato in base alle tabelle delle menomazioni
comprensive degli aspetti dinamico relazionali. Il legislatore avrebbe posto a carico
dell’INAIL una liquidazione globale di tal che non vi sarebbero elementi per ritenere
che di seguito a tali modifiche legislative il danno biologico liquidato dall’INAIL
indennizzerebbe solo una parte del pregiudizio con un residuo danno differenziale da
porre a carico dell’INAIL.
7. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli
artt. 115 e 116 cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello ritenuto esaustiva la
consulenza medica che, invece, non aveva risposto al quesito postole, così sopperendo
la Corte alle lacune dell’elaborato peritale.
7.1. Evidenzia inoltre che il giudice di appello non ha tenuto nella dovuta
considerazione il fatto che il consulente, con valutazione astratta, è pervenuto al
convincimento che l’esposizione, se pure c’era stata, era stata minima poiché non
erano state rinvenute tracce di quelle patologie che conseguono ad esposizioni più
consistenti.
7.2. Sottolinea che la consulenza – nel dare atto dell’esistenza di due distinti periodi di
esposizione, il primo quale filatrice dal 1958 al 1963 ed il secondo presso la
convenuta, ciascuno causalmente idoneo a determinare la malattia – ha evidenziato
che una volta avvenuta la contaminazione questa diviene irreversibile, con
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aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato indipendentemente da eventuali

r.g. 8492/2012

conseguente irrilevanza di ulteriori contaminazioni. In tal modo, ad avviso della
società ricorrente, non sarebbero stati offerti al giudice elementi di certezza per
ricondurre alla Nuova Sacelit la responsabilità per la malattia. In relazione alla
compatibilità del periodo di latenza con la responsabilità di entrambe le società,infatti,
erroneamente la Corte avrebbe escluso la responsabilità della prima società tessile (
per la quale la Bonalumi aveva lavorato dal 1958 al 1963) così confondendo la latenza

medico scientifica, che la dose innescante doveva essere differita ad un periodo
successivo al 1963.
8.

Con il quinto motivo di ricorso

è poi denunciata l’omessa, insufficiente e

contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in
relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ..
8.1. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe utilizzato strumentalmente
la consulenza in alcune sue affermazioni, salvo poi disattenderne altre, per ritenere
dimostrato il nesso causale tra la patologia da cui era affetta la Bonalumi e l’ambiente
di lavoro in cui aveva lavorato presso la Nuova Sacelit s.r.l. e non aveva però spiegato
perché aveva aderito ad una e non all’altra delle due tesi prospettate dal consulente.
8.2. Sottolinea che alla luce dell’orientamento più recente della Cassazione in sede
penale ( sentenze n. 43786 e 38991 del 2010) ciò che deve essere privilegiato ai fini
della sussistenza del nesso causale è l’utilizzazione di un criterio di probabilità logica,
accanto a quello di probabilità statistica, rispetto al quale il giudice è tenuto a
motivare in modo idoneo la sussistenza di una responsabilità oltre ogni ragionevole
dubbio.
8.3. Al contrario, secondo la ricorrente, la Corte di appello non aveva chiarito perché il
mesotelioma sarebbe “dose-correlato” e perché l’esposizione presso la Nuova Sacelit
avrebbe concorso ad anticipare l’evento.
9. Con il sesto motivo di ricorso poi è lamentata la violazione degli artt. 40 e 41 cod.
pen. e dell’art. 1292 cod. civ.. Evidenzia la società ricorrente che, una volta accertato
il concorso causale tra le due datrici di lavoro, la Corte avrebbe dovuto procedere ad
una ripartizione, anche in via equitativa, delle percentuali di responsabilità.
9.1. Sottolinea che nel caso in esame la Corte di merito aveva applicato la nozione di
concausa ad una fattispecie in cui, più che a causare la malattia si era semmai

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minima (15 anni) con quella media (30-40 anni) ed affermando, contro ogni logica

r.g. 8492/2012

concorso ad anticiparne gli effetti e dunque la Società avrebbe dovuto essere
chiamata a rispondere solo del maggior danno a lei addebitabile in via esclusiva.
9.2. Evidenzia che erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto solidalmente
responsabile, in base all’art. 1292 cod. civ., la società convenuta che era tenuta,
semmai, solo nei limiti dell’aggravamento delle conseguenze lesive dell’evento lesivo
causato da altri.

cod. proc. civ..
10.1. Sostiene la ricorrente che la sentenza nel ritenere provata la colpa della società
avrebbe violato le citate norme in quanto, diversamente da quanto affermato, era
contestata la rilevante esposizione ad asbesto della Bonalumi di tal che la stessa
avrebbe dovuto essere provata. Inoltre, in disparte la situazione ambientale, i
ricorrenti avrebbero dovuto provare che la stessa aveva concorso a determinare la
malattia.
10.2. Precisa che l’utilizzazione dell’asbesto non era, all’epoca, vietata e la società
aveva rispettato i limiti di esposizione ritenuti compatibili e consigliati dalla letteratura
scientifica allora disponibile sottolineando che ancor oggi non sarebbe possibile
determinare il livello di esposizione al di sotto del quale l’amianto non comporta rischi
di malattia.
10.3. Evidenzia che la polverosità dell’ambiente lavorativo, riferita dai testi, non ha
alcun rilievo nel determinismo della patologia riscontrata posto che solo l’inalazione di
fibre ultrasottili di amianto non visibili (e non della componente cementizia) potevano
semmai essere rilevanti.
10.4. Erroneamente, allora, la Corte avrebbe valorizzato indagini e dichiarazioni
testimoniali riferite alla polverosità dell’ambiente che, in concreto, non consentivano di
valutare l’esposizione nociva della lavoratrice a fibre idonee a causare il rnesotelioma
svalutando, per altro verso, la circostanza acclarata che nessuna altra patologia
asbesto correlata era stata riscontrata.
11. Con l’ottavo motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 40 e 41 cod.
pen. e dell’art. 2087 cod. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc.
civ..

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10. Con il settimo motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 115 e 116

r.g. 8492/2012

11.1. Sostiene la società che la sentenza, in seguito all’erronea ricostruzione dei fatti
ed all’errata valutazione delle prove, ha ritenuto provato il nesso causale tra
l’ambiente lavorativo e la patologia che aveva poi determinato la morte della Bonalumi
e la conseguente responsabilità della datrice di lavoro in considerazione di una
ritenuta prevedibilità e prevenibilità dell’evento.
11.2. Così facendo però la sentenza sarebbe incorsa in una errata applicazione delle

tecnico scientifiche dell’epoca, non era prevedibile e dunque non era possibile
riconoscere una responsabilità ex art. 2087 cod. civ. della datrice di lavoro posto che
ciò che era noto, fino alla fine degli anni ottanta, era la pericolosità dell’amianto in
relazione ad elevate esposizioni e non anche nel caso di basse esposizioni tanto che
l’uso era in talune ipotesi addirittura imposto ed il rischio di contrarre la malattia non
era né prevedibile né prevenibile al momento in cui la condotta è stata posta in essere
seppur con una “prognosi postuma”.
12. Con l’ultimo motivo di ricorso, nel denunciare la violazione e falsa applicazione
degli artt. 1226, 2056, 2059 e 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n.
3 cod. proc. civ., la Sacelit si duole del fatto che nel liquidare il danno per l’invalidità
temporanea si è immotivatamente preso a parametro un importo (C 1300,00 al
giorno) senza considerare che in una percentuale il danno era stato già liquidato
essendo stata riconosciuta una rendita alla de cuius, seppure liquidata
successivamente al decesso agli eredi. Inoltre ribadisce che a lei poteva essere
addebitata a titolo di concausa la comparsa precoce della malattia e dunque le poteva
essere imputato solo il danno connesso all’aggravamento. Tali principi dovevano poi
essere applicati anche al danno rivendicato iure proprio dagli eredi che, invece, era
stato riconosciuto per intero, seppur liquidato in via equitativa, confermando la
sentenza di primo grado e senza detrarre la rendita ai superstiti ex art. 85 del T.U. n.
1124 del 1965.
12.1. Da ultimo poi si duole della conferma della sentenza di primo grado nella parte
in cui aveva riconosciuto sulle somme spettanti a titolo risarcitorio gli interessi legali
sulle somme via via rivalutate, eccezion fatta per quelle attribuite a titolo di
risarcimento del danno iure hereditatis per le quali la rivalutazione è stata riconosciuta
dalla data della pronuncia. Sostiene la ricorrente che la rivalutazione non era dovuta
sulle somme riconosciute a titolo risarcitorio poiché gli importi in base ai quali le
somme erano state liquidate in via equitativa (le Tabelle del Tribunale di Milano) erano
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norme in tema di nesso causale atteso che l’ evento, sulla base delle conoscenze

r.g. 8492/2012

già rivalutati e comunque, esclusa la natura di credito di lavoro, era onere dei
richiedenti allegare e dimostrare l’esistenza di un maggior danno conseguente alla
perdita di valore del danaro rispetto agli interessi comunque corrisposti.
13. Tanto premesso ritiene il Collegio che ragioni di ordine logico impongano di
trattare con precedenza le censure articolate nei motivi dal quarto all’ottavo che
investono, sotto diversi profili, il tema della riferibilità ad una responsabilità della

sul diritto stesso degli eredi ad essere risarciti in tutto o in parte dalla società
convenuta in giudizio. Tali censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate.
13.1. Laddove infatti ci si duole di un preteso intervento correttivo da parte della
Corte di appello in relazione a lacune dell’elaborato peritale del consulente medico,
che a dire della società ricorrente non avrebbe risposto al quesito posto in maniera
esaustiva (quarto motivo) in realtà si chiede, inammissibilmente, alla Corte di
Cassazione di sostituire la valutazione operata dal giudice di merito delle risultanze
della consulenza con altra e diversa considerazione dell’incidenza dell’esposizione e del
periodo di latenza della malattia.
13.2. Osserva il Collegio che, a fronte di una puntuale e approfondita motivazione da
parte della Corte di appello circa l’ importanza della esposizione alle polveri nel lungo
periodo di lavoro della Bonalumi per la Sacelit e l’incidenza di tale esposizione
nell’insorgenza della malattia, la censura si risolve in una non consentita diversa
valutazione delle risultanze della consulenza.
13.3. Del pari inammissibile è la denunciata insufficienza e contraddittorietà della
motivazione conseguente ad un uso strumentale e parziale degli approdi ai quali era
pervenuto il consulente medico (quinto motivo). La Corte territoriale ha infatti
attentamente ricostruito le ragioni in base alle quali ha ritenuto provato il nesso di
causalità tra il mesotelioma e l’esposizione alle polveri di amianto presso la Sacelit
spiegando, in maniera esauriente e logica, l’opzione scientifica in base alla quale tale
efficienza causale non poteva essere riconosciuta alla possibile e di molto risalente
esposizione (dal 1958 al 1963) presso altro datore di lavoro. A fronte di tale coerente
e analitica spiegazione la censura si presenta, ancora una volta, come una non
consentita richiesta di procedere ad una nuova valutazione dei fatti accertati.
13.4. Quanto all’esistenza di un mero concorso nell’ aggravamento della malattia da
parte della Sacelit s.r.l. la cui responsabilità era imputabile piuttosto alla precedente e
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società Sacelit della malattia e del decesso della sua dipendente e si riflettono quindi

r.g. 8492/2012

risalente datrice di lavoro va sottolineato che la Corte di merito ha accertato, per il
tramite della consulenza, che non vi erano evidenze che dimostrassero l’esistenza di
un’esposizione all’ amianto presso la prima datrice di lavoro, essendo restato
indimostrato che la lavoratrice nello svolgere le mansioni di “filatrice” avesse utilizzato
dispositivi contenenti amianto. Tale accertamento di fatto assorbe e rende inutile
l’ulteriore argomentazione, sviluppata ad abundantiam dalla Corte territoriale, che ha
accertato comunque una responsabilità quanto meno solidale. Ne segue che la

scalfisce il contenuto della decisione che resta integra per effetto del mancato
accertamento di una sicura esposizione all’amianto nel primo periodo di lavoro.
13.5. Neppure la sentenza è incorsa nella violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc.
civ. denunciata nel settimo motivo di ricorso posto che da un canto la violazione
dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento
all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, come
pretende di fare l’odierna ricorrente, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo,
esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi
probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto
la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero
quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la
sua scienza personale (cfr. tra le tante Cass. 11/10/2016 n. 20382). In sostanza con il
ricorso per cassazione non si può porre una questione di violazione o di falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per una erronea valutazione del materiale
istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi
che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti,
ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole
secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato
come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova
soggetti invece a valutazione (Cass. 27/12/2016 n. 27000). Poiché nella specie non
solo non si è verificata una tale violazione ma neppure risulta essere stata in tali
termini censurata la sentenza pretendendosi invece un diverso e più favorevole
apprezzamento delle emergenze istruttorie rispetto alla ricostruzione ampia ed
analitica operata dalla Corte di merito, la censura si palesa inammissibile.
13.6. Con riguardo ancora una volta alla violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen. e
dell’art. 2087 cod. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. ed
10

censura con la quale ci si duole del riconoscimento della responsabilità solidale non

r.g. 8492/2012

alla pretesa erronea ricostruzione dei fatti ed errata valutazione delle prove con
riguardo alla prova dell’esistenza di un nesso causale tra l’ambiente lavorativo e la
patologia che aveva poi determinato la morte della Bonalumi ed alla conseguente
responsabilità della datrice di lavoro in considerazione di una ritenuta prevedibilità e
prevenibilità dell’evento va ancora una volta rimarcato che la Corte di merito, con
ampia ed approfondita motivazione, ha accertato che negli anni in cui la Bonalumi ha
prestato servizio presso la Sacelit era ben nota la pericolosità dell’amianto e la

pari ha ritenuto che la elevata polverosità degli ambienti di lavoro in cui era presente
l’amianto e la mancanza di misure destinate ad abbattere tale polverosità, doverose
ma non attuate, giustificava la correlazione tra la situazione lavorativa e la patologia
sviluppata e la conseguente imputazione della responsabilità.
14. Venendo all’esame dei primi tre motivi di ricorso e del nono, laddove si duole
della mancata considerazione nella liquidazione del danno iure ereditario della rendita
riconosciuta alla lavoratrice, ritiene il Collegio che questi debbano essere trattati
congiuntamente e siano fondati per le ragioni che di seguito si espongono.
14.1. Va premesso che, come ripetutamente affermato da questa Corte (cfr. anche
recentemente Cass. 14/10/2016 n. 28807), a norma dell’ art. 360 primo comma n. 5
cod. proc. civ., nella formulazione vigente prima delle modifiche apportate dal d.l. n.
83/2012 ed applicabile ratione temporis in ragione della data di pubblicazione della
sentenza d’appello, alla Corte di cassazione non è attribuito il potere di riesaminare e
valutare il merito della controversia ma solo quello di controllare, sotto il profilo
logico-formale e della correttezza giuridica, l’ esame e la valutazione operata dal
giudice del merito. Solo a quest’ultimo compete l’individuazione delle fonti del proprio
convincimento, la valutazione delle prove, il controllo dell’attendibilità e della
concludenza, e, conclusivamente, la scelta tra le varie risultanze probatorie di quelle
ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Per configurare il vizio di
motivazione su un asserito fatto decisivo della controversia, è necessario che si ravvisi
un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione
giuridica data alla controversia tale da far ritenere che quella circostanza, se
considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Il mancato
esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della
pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un fatto decisivo solo se le risultanze
processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di
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correlazione fra esposizione all’amianto e possibilità di contrarre il mesotelioma;del

r.g. 8492/2012

mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento
è fondato, sicchè la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (cfr. oltre a Cass.
ult. cit. anche, e tra le tante, Cass. 26/05/2004 n. 10156 e Cass. 24/10/2013 n.
24092). Si è in presenza di una motivazione insufficiente allorché si riscontri una
obiettiva carenza nel procedimento logico che ha indotto il giudice del merito, sulla
base degli elementi acquisiti, a pervenire al suo convincimento e non anche laddove vi
sia una mera difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul

censura si risolve in un’inammissibile richiesta di nuova pronuncia sul fatto estranea
alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (cfr. oltre alla già citata Cass. n. 28807
del 2016 già Cass. s.u. 25/10/2013, n. 24148).
14.2. Tanto premesso è ammissibile la censura formulata con il primo motivo di
ricorso che denuncia l’omessa valutazione, prima da parte del Tribunale e poi anche
da parte del giudice di appello, dell’avvenuta liquidazione di una rendita in favore del
de cuius da parte dell’Istituto assicurativo, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del
2000. Tale carenza si riverbera altresì in una errata applicazione dell’art. 13 del citato
decreto legislativo.
14.3. Occorre rammentare che per danno differenziale deve intendersi quella parte di
risarcimento che eccede l’importo dell’indennizzo dovuto in base all’assicurazione
obbligatoria e che resta a carico del datore di lavoro ove il fatto costituisca reato
perseguibile d’ufficio. Si tratta di un danno che, pur rientrando nel tipo già considerato
dall’assicurazione obbligatoria in ragione del carattere indennitario di questa, può
presentare delle differenze di valore monetario rispetto al danno civilistico per la
diversa valutazione del grado di inabilità in sede INAIL rispetto a quella operata nel
diritto comune, dove il grado di invalidità permanente viene determinato con criteri
non imposti dalla legge ma elaborati dalla scienza medico legale, oltre che per il
diverso valore del punto di inabilità (cfr. Cass. 10/04/2017 n. 9166 in motivazione).
14.4 Va del pari rammentato che nel calcolo del danno biologico differenziale
dall’ammontare complessivo del danno biologico deve essere detratto il valore capitale
della quota della rendita costituita dall’INAIL destinata a ristorare il danno biologico.
Nel sistema assicurativo INAIL delineato con il d.lgs. n.38 del 2000, art. 13, il danno
biologico è pacificamente compreso nell’indennizzo e, conseguentemente, per tale
voce di danno il datore di lavoro è esonerato da responsabilità civile ( Cassazione
civile sez. lav., 29 gennaio 2002, n. 1114). Con il decreto legislativo n. 38 del 2000
12

valore e sul significato da attribuire agli elementi valutati. In tale ultimo caso infatti la

r.g. 8492/2012

sono stati innovati i criteri di determinazione dell’indennizzo per invalidità
permanente. I danni vengono valutati in base ad una specifica

“tabella delle

menomazioni” comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali prevista dallo stesso
testo normativo e successivamente approvata con D.M. del Ministro del Lavoro e della
Previdenza Sociale del 12 luglio 2000 ( pubblicato nella G.U. del 25 luglio 2000). I
postumi dell’infortunio o della malattia, se inferiori al 6% sono in franchigia, non
danno diritto ad indennizzo e possono essere eventualmente cumulati con

compresi tra il 6% e il 15% vengono considerati danno biologico ed indennizzati in
capitale. Se determinano menomazioni dal 16% al 100°AD danno luogo all’ erogazione
di una rendita, nella misura indicata nell’apposita “tabella indennizzo danno biologico”,
di cui allo stesso D.M. 12 luglio 2000. Un’ulteriore quota di rendita è poi commisurata
al grado della menomazione, alla retribuzione dell’assicurato e al coefficiente di cui
all’apposita “tabella dei coefficienti”. L’articolo 13 del d. Igs. n. 38/2000, comma due
lettera b) dispone che tali coefficienti

“costituiscono indici di determinazione della

percentuale di retribuzione da prendere in riferimento per l’indennizzo delle
conseguenze patrimoniali, in relazione alla categoria di attività lavorativa di
appartenenza dell’assicurato e alla ricollocabilità dello stesso”.

Nel caso di

menomazione indennizzata in rendita, dunque, una quota della rendita indennizza il
danno biologico e un’ulteriore quota, rapportata alla retribuzione dell’assicurato ed alla
sua capacità lavorativa specifica, indennizza il danno patrimoniale. La liquidazione
delle due poste è distinta e deriva dalla applicazione di tabelle diverse: la

“tabella

indennizzo danno biologico” per il danno biologico e la “tabella dei coefricienti” per il
danno patrimoniale. In sostanza l’ indennizzo in forma di rendita “ha veste unitaria
ma duplice contenuto”: con quell’indennizzo, infatti, l’INAIL compensa sia il danno
biologico, sia il danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro e di guadagno
(cfr. Cass. 26/06/2015 n.13222).
14.5. Chiarita la distinzione ai fini dell’indennizzo assicurativo delle voci di danno
risulta conseguente che tale distinzione deve essere riprodotta nella liquidazione del
risarcimento del danno c.d. differenziale. A partire dalle sentenze “gemelle” di questa
Corte dell’anno 2003 (Cass. 31/05/2003 nn. 8827 e 8828) si è delineato nel nostro
ordinamento, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059
cod.civ., un sistema “bipolare” di risarcimento del danno che ha trovato
riconoscimento in successive pronunzie di questa Corte (cfr. tra le altre Cass.
12/07/2006 n. 15760, 20/04/2007 n.9514 e 27/06/2007 n.14846) ed un definitivo
13

menomazioni provocate da altri eventi infortunistici o malattie professionali. Ove

r.g. 8492/2012

chiarimento e consacrazione nella sentenza a Sezioni Unite 11 novembre 2008 n.
26972, nella quale si è affermato che la rilettura costituzionalmente orientata dell’art.
2059 cod. civ., norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale
inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana
nell’ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale
(art. 2043 cod.civ.) e danno non patrimoniale (art. 2059 cod.civ.).

punto di evento dannoso giacché il danno patrimoniale “ingiusto”, di cui all’art. 2043
cod.civ., deriva dalla lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante laddove la
risarcibilità del danno non patrimoniale è connotata da tipicità. L’articolo 2059 cod.civ.
statuisce in proposito che tale danno è risarcibile nei soli casi determinati dalla legge,
nei quali, in conformità agli indirizzi giurisprudenziali sopra citati, vanno compresi gli
eventi di lesione di specifici diritti inviolabili della persona, necessariamente presidiati,
alla stregua della costituzione, dalla minima tutela risarcitoria (Cass. s.u. n. 26972 del
2008 cit.). Per il danno non patrimoniale vi è dunque una selezione degli interessi
dalla cui lesione consegue la risarcibilità o a livello normativo (allorché è la legge a
prevedere la risarcibilità del danno non patrimoniale) o in via di interpretazione da
parte del giudice, chiamato a verificare la lesione, alla stregua dei parametri
costituzionali, di uno specifico diritto inviolabile della persona. Le ulteriori
sottocategorie enucleate dalla giurisprudenza nell’ambito del danno non patrimoniale (
danno biologico, danno esistenziale, danno morale, danno da perdita del rapporto
parentale ed altre)hanno invece valenza puramente descrittiva del danno conseguenza
risarcito ma non individuano autonome categorie di danno.
14.7. La configurazione bipolare del danno, seppure enucleata dalla disciplina
dell’illecito aquiliano, rappresenta un sistema di carattere generale, riferibile anche
alla responsabilità contrattuale: non si rinvengono disposizioni contrarie negli articoli
1218 e seguenti del codice civile, cui deve essere assicurata una lettura
costituzionalmente orientata. Nella richiamata sentenza delle sezioni unite di questa
Corte n. 26972 del 2008 si è affermato che l’interpretazione costituzionalmente
orientata dell’art. 2059 cod. civ. consente di affermare che anche nella materia della
responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali nei casi in
cui gli interessi compresi nell’area del contratto presentino (anche) carattere non
patrimoniale e siano presidiati da diritti inviolabili della persona. Dal bipolarismo del

14

14.6. Sul piano della struttura dell’illecito le due ipotesi risarcitorie si differenziano in

r.g. 8492/2012

danno sin qui argomentato deriva quale corollario la necessità di una distinzione delle
poste anche nella liquidazione del danno-conseguenza.
14.8. Fatte queste doverose premesse ritiene la Corte che sia conseguente affermare
che ai fini della liquidazione del danno c.d. differenziale dall’importo del danno non
patrimoniale/biologico debba essere detratto quanto eventualmente indennizzato
dall’INAIL alla lavoratrice per le conseguenze non patrimoniali dell’infortunio.

erogata dall’Inail ai superstiti. Come recentemente affermato da questa Corte, infatti,
“la rendita ai superstiti erogata dall’INAIL, anche successivamente alle modifiche
introdotte con il d.lgs. n. 38 del 2000, costituisce una prestazione autonoma
all’interno del sistema assicurativo obbligatorio, sicché va considerata fuori dall’ambito
di applicabilità dell’art. 13 del medesimo d.lgs. che ha esteso la copertura assicurativa
alla componente di danno biologico; la posizione specifica e differenziata dei
superstiti, rafforzata dall’art. 73 del d.lgs. predetto e dall’art. 1, comma 130, della I.
n. 147 del 2013, rende conforme al canone di razionalità di cui all’art. 3 Cost. la scelta
del legislatore di attrarre il danno biologico all’interno dell’oggetto dell’assicurazione
con riferimento alla prestazione del solo assicurato, lasciando all’area esterna del
diritto civile la tutela dei diritti risarcitori degli eredi.” (cfr. Cass. 10/04/2017 n. 9166).
14.10. Nel caso in esame la Corte di merito, discostandosi dai principi su esposti ed
incorrendo nel vizio motivazionale denunciato, nel liquidare il danno c.d. differenziale
non ha tenuto conto della componente del danno biologico della rendita liquidata alla
lavoratrice seppure erogata in concreto agli eredi.
14.11. Ne consegue che in relazione a tale specifico aspetto è necessario che la Corte
di merito, alla quale la sentenza cassata va rinviata, verifichi l’avvenuta liquidazione di
una rendita all’assicurata, e se del caso per lei ai suoi eredi, e ne tenga conto nella
determinazione del danno c.d. differenziale.
15. Alla Corte del rinvio è, del pari, rimessa la liquidazione degli accessori sulle
somme eventualmente riconosciute a titolo di danno differenziale.
15.1. Resta da valutare la censura che investe la liquidazione degli accessori sulle
somme liquidate iure proprio ai congiunti. Si osserva in proposito che la Corte di
merito ha ritenuto infondate le censure mosse alla sentenza di primo grado con
riguardo ai “criteri adottati per il calcolo di rivalutazione ed interessi” osservando che
15

14.9. A diverse conclusioni si deve pervenire invece per quanto concerne la rendita

r.g. 8492/2012

“la devalutazione dalla data a cui viene riferito il danno deriva dall’essere stata
effettuata la liquidazione in valori attuali”. Aggiunge poi che “trattandosi di credito di
valore” la rivalutazione deve essere “calcolata per il periodo successivo alla
pronuncia”. La sentenza di primo grado aveva stabilito che su tutte le somme
spettanti a titolo risarcitorio (sia

iure proprio che iure hereditatis)

erano dovuti

soltanto gli interessi legali “dal dovuto al saldo, previa devalutazione e progressiva
rivalutazione della somma annua secondo i criteri sanciti dalla sentenza della

riguardo al danno liquidato ai congiunti iure proprio gli importi indicati nelle tabelle del
Tribunale di Milano, concretamente applicate, sono già attualizzati e dunque non
occorreva procedere ad una devalutazione degli stessi e ad una maggiorazione per
interessi sulle somme via via rivalutate.
15.2. Rileva al riguardo il Collegio che le censure non colgono il senso della decisione.
Il Tribunale prima e la Corte di appello poi hanno riconosciuto gli interessi legali
calcolati applicando esattamente il meccanismo previsto dalle sezioni unite nella citata
sentenza n. 1712 del 1995 in base alla quale “gli interessi non possono essere
calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente
rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da
stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma
equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di
rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio.”
15.3. Proprio perché è stato utilizzato un parametro di liquidazione attualizzato, allora,
correttamente per procedere al calcolo degli interessi legali, che decorrono dal
momento in cui si è verificato il danno, il Tribunale prima e la Corte poi, hanno
devalutato la somma riconosciuta applicando le Tabelle del Tribunale di Milano basate
su parametri attualizzati alla data della liquidazione e, conseguentemente, hanno
proceduto al calcolo degli interessi sulle somme progressivamente rivalutate.
15.4. Per tale aspetto, pertanto, la sentenza, relativamente alle somme liquidate iure
proprio ai congiunti ed ai relativi interessi legali, deve essere confermata.
16. In conclusione in accoglimento del primo, secondo, terzo ed ultimo motivo di
ricorso nei limiti sopra indicati, rigettate le altre censure, la sentenza della Corte di
appello di Brescia deve essere cassata in relazione alle censure accolte e rinviata alla
Corte di appello di Milano che verificherà l’esistenza e la consistenza del danno
16

Cassazione a Sezioni Unite n. 1712/95″. Sostiene la società ricorrente che con

r.g. 8492/2012

differenziale accertando previamente se alla Bonalumi, o per lei ai suoi eredi, sia stata
erogata dall’Inail una rendita e disporrà, conseguentemente, sugli accessori.
16. Alla Corte del rinvio è rimessa altresì la regolazione delle spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.

rigettate nel resto le altre censure. Cassa la sentenza in relazione alle censure accolte
e rinvia alla Corte di appello di Milano che provvederà anche sulle spese del giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dell’il. maggio 2017 e del 12
ottobre 2017
Il Consigliere estensore
Fabrizia Garri

La Corte, accoglie i primi tre motivi di ricorso e l’ultimo nei sensi di cui in motivazione,

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