Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30856 del 29/10/2021

Cassazione civile sez. lav., 29/10/2021, (ud. 04/06/2021, dep. 29/10/2021), n.30856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22140/2015 proposto da:

IREN GESTIONI ENERGETICHE S.P.A. (già CAE AMGA ENERGIA S.P.A.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 7, presso lo studio

dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ENRICO SIBOLDI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati difesi dagli avvocati CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 100/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 09/03/2015 R.G.N. 22/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/06/2021 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO CHE:

1. la Corte di appello di Genova ha confermato la decisione di primo grado che aveva ha respinto l’opposizione di Iren Gestioni Energefiche s.p.a. (già CAE Amga Energia s.p.a.) avverso l’avviso di addebito avente ad oggetto crediti INPS per contributi dovuti a titolo di cigs, cigo e mobilità, in relazione al periodo gennaio 2011 – maggio 2021 oltre sanzioni civili ed accessori, nonché per debiti conseguenti alla negazione del diritto allo sgravio contributivo per l’incentivazione alla contrattazione di secondo livello, per l’anno 2009;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società sulla base di cinque motivi;

3. l’INPS, anche quale procuratore speciale di SCCI s.p.a. (Società di cartolarizzazione dei crediti INPS), ha resistito con tempestivo controricorso.

CONSIDERATO CHE:

4. con il primo motivo di ricorso – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., per avere il giudice di appello respinto l’eccezione di giudicato avanzata dalla società sul rilievo che la sentenza n. 1859/2007 del Tribunale di Genova – passata in giudicato – intervenuta tra INPS e Cae Amga Energia s.p.a. (ora Iren Gestioni Energetiche s.p.a.) aveva affermato non dovuti dalla società i contributi per cigs, cigo e mobilità in relazione al periodo luglio 2001/maggio 2005;

5. il motivo è inammissibile;

6. le censure che attengono alla violazione del giudicato esterno si arrestano ad un rilievo di inammissibilità perché formulate senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dal combinato l’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4. L’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata direttamente dal giudice di legittimità ma a condizione che il ricorso per cassazione risponda ai requisiti di specificità e di completezza e, quindi, che nello stesso venga riprodotto nelle parti rilevanti il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che solo quest’ultimo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass. n. 5508 del 2018; Cass., sez.un., n. 1416 del 2004);

7. nel caso di specie, parte ricorrente omette di trascrivere il contenuto della pronuncia richiamata così che risulta impedita, a monte, la verifica del rilievo in base al quale il Tribunale di Genova avrebbe qualificato, con giudizio divenuto definitivo, Cae Amga Energia s.p.a. (ora Iren Gestioni Energetiche s.p.a.) quale impresa industriale di ente pubblico agli effetti dell’applicazione del D.Lgs.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3;

8. per completezza, è il caso comunque di osservare che la medesima questione di giudicato risulta già esaminata dalla Corte, con pronuncia n. 15088 del 2017;

9. il precedente citato, nel definire analogo contenzioso, sia pure con riferimento ad altro periodo contributivo, oltre ad evidenziare i limiti di ammissibilità del ricorso, come in questa sede evidenziato, ha giudicato il motivo “infondato anche nel merito alla luce della giurisprudenza di questa Corte resa in fattispecie analoga (v. Cass. n. 7981 del 2016)”. Il richiamo è al principio di diritto -che la sentenza impugnata pone a fondamento del decisum – secondo cui ” in tema di obbligazioni contributive, la diversità dei periodi di debenza, pur nella identità dei termini di riferimento e di connotazione del rapporto, basta a far configurare quali diversi i rapporti contributivi ad essi afferenti, sicché il giudice non può stabilire, con efficacia di giudicato, che le norme sottoposte al suo esame debbano essere interpretate nel senso che anche per il futuro l’obbligo contributivo si atteggi in un determinato modo, in quanto per questa parte giudicherebbe di un rapporto del quale non si sono ancora realizzati tutti i presupposti”;

10. con il secondo motivo di ricorso – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 869 del 1947, art. 3 (modif. con la L. n. 270 del 1988, art. 4), L. n. 1115 del 1968, art. 2,L. n. 164 del 1975, art. 1,L. n. 223 del 1991, art. 16, art. 2093 c.c. e L. n. 142 del 1990, art. 22 (successivamente trasfuso nel T.U. n. 267 del 2000, art. 13), per avere la decisione impugnata ritenuto dovuti i contributi per cigs e cigo;

11. con il terzo motivo di ricorso – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 14, per avere la Corte di appello affermato la sussistenza dell’obbligo al pagamento del contributo per mobilità;

12. i motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono infondati alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte (oltre alla pronuncia già richiamata e a Cass. n. 15595 del 2017, riferite proprio alla società qui ricorrente, v. anche, tra le più recenti, Cass. n. 11346 del 2021; Cass. n. 24977 del 2019) che ha ritenuto, con soluzione cui occorre dare continuità, che le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali, sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità. L’applicabilità dell’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici dal D.L.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3, è stata, infatti, esclusa sul rilievo della natura essenzialmente privata delle società partecipate, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico;

13. è stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio alle dipendenze di soggetto di diritto di diritto privato;

14. con il quarto motivo del ricorso – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la società deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1175, e censura la statuizione di rigetto della domanda di accertamento del diritto al credito derivante dalla rideterminazione dello sgravio contributivo sulle erogazioni previste dai contratti collettivi di secondo livello riferito all’anno 2009;

15. come già rilevato da Cass. n. 15595 del 2017, in fattispecie sovrapponibile alla presente, il motivo non è fondato;

16. il giudice d’appello ha escluso il diritto alla ulteriore percentuale di sgravio preteso dalla società per la mancanza del relativo presupposto rappresentato dalla situazione di regolarità contributiva;

17. le censure svolte, ancorate al presupposto del carattere non definitivo dell’irregolarità contributiva, risultano superate dal rigetto dei motivi, secondo e terzo, che ha reso, oramai, definitivo l’accertamento della situazione di irregolarità contributiva, ostativa, ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1175, al riconoscimento del diritto allo sgravio preteso (v. anche, in motivazione, Cass. n. 16821 del 2019 e Cass. n. 20449 del 2019);

18. con il quinto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la società ha dedotto la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1175,1227 e 1375 c.c., della L. n. 241 del 1990, art. 1, nonché della L. n. 388 del 2000, art. 116, commi 10, 13 e comma 15, lett. A);

19. la società, in via subordinata, deduce che, atteso il contrasto interpretativo in giurisprudenza ed in sede amministrativa, verificatosi nella materia, sussistevano i presupposti per l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta ai sensi dell’art. 116 cit., commi indicati;

20. il motivo, come prospettato, non è fondato;

21. il decisum della Corte d’appello, che ha escluso l’applicabilità delle sanzioni in misura ridotta sul rilievo che, a tal fine, la previsione in esame richiedeva l’integrale pagamento dei contributi dovuti, è coerente con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 15595 del 2017 cit.; Cass. n. 4077 del 2016 e numerose altre) secondo la quale la riduzione richiesta, come si ricava dal tenore letterale delle disposizioni, presuppone l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali, nel termine fissato dagli enti impositori;

22. in definitiva, il ricorso va complessivamente rigettato;

23. la regolamentazione delle spese processuali, in favore della parte controricorrente, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza;

24. sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi processuali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021

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