Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30856 del 22/12/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 30856 Anno 2017
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: DE GREGORIO FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 4097-2012 proposto da:
ELCO S.P.A. C.F. 01752850667, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio
dell’avvocato ENZO MORRICO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato GIOSAFAT RIGANO’,
2017

giusta delega in atti;
– ricorrente –

1589

nonchè contro

MIRANNI MIRKO C.F. MRNMRK76H23H501Y;
– intimato –

Data pubblicazione: 22/12/2017

Nonché da:
MIRANNI MIRKO C.F. MRNMRK76H23H501Y, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE TOLEMAIDE 28, presso lo
studio dell’avvocato MARIANNA MANGONE, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIORGIO

– controricorrente e ricorrente incidentale contro

ELCO S.P.A. C.F. 01752850667, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio
dell’avvocato ENZO MORRICO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato GIOSAFAT RIGANO’,
giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale

avverso la sentenza n. 10537/2010 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/02/2011, R. G. N.
11075/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/04/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO
DE GREGORIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi;
udito l’Avvocato ROBERTO ROMEI per delega orale ENZO
MORRICO;

GHIRON e MARIA STELLA FREZZA, giusta delega in atti;

udito l’Avvocat ARIA STELLA FREZZA.

uel. 12-04-17 /

n. 4097-12

SVOLGIMENTO del PROCESSO
ELCO S.p.a. appellava in parte la sentenza pronunciata dal giudice del lavoro di Tivoli, per la
parte in cui era stata condannata al pagamento, in favore di MIRANNI Mirko, della somma di
euro 23.542,68 titolo di differenze retributive(del TFR, oltre accessori pese di lite. A sostegno
dell’interposto gravame la società contestava la dichiarata illegittimità del progetto formativo di
orientamento stipulato dalle parti 2 maggio 2001, sull’erroneo presupposto dell’accertata
natura subordinata del rapporto; contestava l’omessa revoca dell’ordinanza con la quale era
stata dichiarata chiusa l’istruttoria e comunque l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie;

interamente le spese di lite a suo carico, nonostante il parziale rigetto del ricorso.
Radicatosi il contraddittorio con la costituzione in giudizio di MIRANNI Mirko, il quale in via
incidentale impugnava la decisione laddove era stata respinta la sua domanda volta ad ottenere
l’assunzione a tempo indeterminato e full time da 15 dicembre 2000, la Corte di Appello di
Roma con sentenza n. 10537 in data 16 dicembre 2010 – 3 febbraio 2011, respinto l’appello
incidentale, in parziale accoglimento di quello principale, riformava in parte la gravata
pronuncia, per il resto confermata, dichiarando compensate in ragione della metà le spese di
primo grado di giudizio, con la condanna della società al rimborso della rimanente quota da
computarsi sull’importo già liquidato in primo grado, ferma la distrazione; spese di secondo
grado per intero compensate.
Secondo la Corte territoriale, per quanto qui ancora interessa, andava accolta la domanda
subordinata dell’attore, essendo infondata quella principale, ed era altresì infondato l’appello
principale della società circa la mancata revoca dell’ordinanza di decadenza dalla prova
ammessa per la ELCO ex art. 208 c.p.c. resa all’udienza del 27 febbraio 2006, alla quale la
stessa non era comparsa, non risultando giustificata tale mancata comparizione per
l’espletamento dell’ammesso mezzo istruttorio. D’altro canto, alla luce delle acquisite
emergenze istruttorie era provata la natura subordinata dell’intercorso rapporto di lavoro, per
cui non era risultato in fatto alcun insegnamento teorico-pratico relativamente al contestato
contratto di formazione. Inoltre, le risultanze della prova testimoniale non apparivano smentite
dalla documentazione invocata dalla società, di provenienza della stessa, la quale non
rappresentava altro che il corredo al contestato contratto formativo. Tali emergenze
confermavano che le concrete modalità di svolgimento del rapporto, aldilà del sottoscritto
progetto formativo, avevano assunto il carattere della subordinazione. Di conseguenza, il
gravame andava respinto, non essendo stata mossa peraltro alcuna contestazione in ordine al
quantum delle differenze economiche liquidate con la gravata pronuncia.
Era, invece, in parte fondato l’appello principale, non risultando del tutto correttamente
applicato nella specie il principio della soccombenza, stante il parziale accoglimento delle
richieste dell’attore, limitatamente alla domanda subordinata, di minor rilievo e valore rispetto
a quella principale.

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lamentava, infine, la violazione dell’articolo 96 c.p.c. per avere il giudice di primo grado poste

Ltd. 12-114-17 / r.g. n. 4(7-Ì 2

Inoltre, quanto al giudizio di secondo grado, vi era stata una sostanziale reciproca
soccombenza, visto che unicamente l’appello principale risultava fondato in parte, riguardo
soltanto al regolamento delle spese di primo grado.
Tale pronuncia veniva impugnata dalla S.p.a. ELCO, mediante ricorso per cassazione con atto
del 3 febbraio 2012, affidato a quattro motivi, sostenendo in sintesi che il thema decidendum
era dato dall’avere o meno essa società rispettato il progetto formativo, e non già dalle
concrete modalità di svolgimento dell’attività all’interno dello stabilimento, accertamento del
thema decidendum omesso nella fase di merito. Inoltre, la Corte di appello non aveva adottato

articoli 421 e 437 c.p.c., relativi ad un punto decisivo della controversia, come il preteso
mancato svolgimento dell’attività formativa, rispetto al quale il giudice di primo grado aveva
ammesso la prova testimoniale, di modo che l’esauriente istruzione avrebbe consentito una
diversa decisione della controversia. Inoltre, la sentenza di appello, era meritevole di censura,
avendo confermato quella di primo grado, che a sua volta aveva erroneamente ritenuto la
società convenuta decaduta dal ammesso mezzo istruttorio con ordinanza del 27 febbraio 2006.
Per di più, non era stato validamente l’applicato l’art. 2697 c.c. in tema di prova.
All’impugnazione avversaria ha resistito il MIRANNI con controricorso in data due – 5 marzo
2000, contenente altresì ricorso incidentale, limitatamente al regolamento delle spese relative
ai precedenti due gradi del giudizio. ELCO S.p.a., a sua volta, ha resistito al ricorso incidentale
con proprio controricorso del 12/13-04-2012.
Per il solo MIRANNI è stata depositata memoria ex art. 378 c.p.c. in vista dell’udienza pubblica
fissata al 12 aprile 2017, per cui sono stati dati regolari e tempestivi avvisi a tutti i difensori
aventi diritto in data 9 marzo 2017.

MOTIVI della DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è stato formulato per omessa insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo il giudice d’appello omesso di
considerare un profilo dirimente, laddove l’attore aveva impugnato il contratto di tirocinio
formativo sul presupposto che sin dal primo giorno aveva prestato unicamente attività di
lavoro in favore della società convenuta, per cui le prestazioni fornite non erano state
integrate da un effettivo apporto didattico e formativo di natura teorica e pratica, neanche
mediante la frequenza di corsi di formazione.
La doglianza è, invero, palesemente inammissibile, poiché si traduce in effetti in un
apprezzamento delle acquisite risultanze istruttorie, diversamente da quanto accertato e
valutato, con sufficiente e lineare argomentazione dalle concordi decisioni dei giudici di
merito in proposito; ciò che non è consentito in sede di legittimità, nemmeno sotto la
vigenza del precedente testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (“per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per
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il giudizio”), poi

alcuna motivazione per disattendere la richiesta dei mezzi istruttori, sollecitati ai sensi degli

lie’. 12-04- 17 / r.0-. n. 4097-12

sostituito dall’art. 54, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134,
nella specie ratione temporis applicabile ai sensi del regime transitorio di cui all’art. 54 cit.,
co. 3, dello stesso decreto legge (cfr., tra le altre, Cass. I civ. n. 16526 del 05/08/2016,
secondo cui in tema di ricorso per cassazione per vizi della motivazione della sentenza, il
controllo di logicità del giudizio del giudice di merito non equivale alla revisione del
ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata
soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un

formulazione del giudizio di fatto in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al
giudice di legittimità.
V. altresì Cass. sez. 6 – 5, n. 91 del 7/1/2014, secondo cui la Corte di Cassazione non può
procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli
atti, né porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore
rispetto a quelli assunti dal giudice di merito. Conformi Cass., n. 15489 del 2007 e n. 5024
del 28/03/2012. V. ancora Cass. I civ. n. 1754 del 26/01/2007, secondo cui il vizio di
motivazione che giustifica la cassazione della sentenza sussiste solo qualora il tessuto
argomentativo presenti lacune, incoerenze e incongruenze tali da impedire l’individuazione
del criterio logico posto a fondamento della decisione impugnata, restando escluso che la
parte possa far valere il contrasto della ricostruzione con quella operata dal giudice di
merito e l’attribuzione agli elementi valutati di un valore e di un significato difformi rispetto
alle aspettative e deduzioni delle parti. Conforme Cass. n. 3881 del 2006. V. pure Cass. n.
7394 del 26/03/2010, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il
quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art.
360 n. 5 cod. proc. civ., qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione
dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in
particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti,
atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli
elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del
giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi
della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in
una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di
merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto,

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possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova

od. 12-04-17 / r.. n. 41197-12

estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. In senso analogo anche
Cass. n. 6064 del 2008 e n. 5066 del 5/03/2007).
Né meritano pregio il secondo ed il terzo motivo del ricorso, che, stante la loro evidente
connessione, ben possono essere esaminati congiuntamente.
Infatti, con la seconda censura la società ha dedotto violazione e falsa applicazione degli
articoli 421 e 437 c.p.c., laddove l’appellante, senza inversione dell’onere probatorio, pure
in considerazione delle dichiarazioni rese dai testi escussi e dei documenti prodotti,

ammettere l’escussione dei testi nominativamente indicati sui capitoli di prova di cui ai
numeri da 14 a 25 contenuti nella memoria difensiva e di costituzione di primo grado
(pagina sei del ricorso di appello, così come ivi motivata), perciò senza tener conto delle
istanze istruttorie, relative a circostanze decisive ai fini dell’accertamento giudiziale
richiesto. Invece, la Corte di Appello non aveva espresso alcuna motivazione per
disattendere la richiesta di suddetti mezzi istruttori, inerenti al preteso mancato
svolgimento dell’attività formativa, per cui il giudice di primo grado aveva ammesso la
prova testimoniale. La Corte capitolina, dunque, proprio in considerazione delle risultanze
istruttorie emerse in primo grado avrebbe dovuto disporre anche di ufficio l’escussione dei
testi FRANGIOLINI e SANDINI e/o degli altri indicati negli scritti difensivi, al fine di stabilire
se le direttive impartite altro non fossero che le spiegazioni dell’attività dal punto di vista
tecnico e le illustrazioni della procedura da compiere dal punto di vista pratico,
richiamando altresì il verbale di udienza 27 febbraio 2006.
Inoltre, disponendo anche di ufficio la prova testimoniale, la Corte territoriale avrebbe
potuto valutare se l’inserimento dell’attore all’interno dello stabilimento, espressamente
previsto dal progetto formativo, fosse funzionale a consentire allo stesso di porre in pratica
l’insegnamento teorico ricevuto e consentire al signor FRA NGIOLINI di controllare
quotidianamente l’attività del lavoratore per correggere gli errori commessi, anche
attraverso la compilazione di alcune schede di stato training. In tal modo sarebbe stato
possibile verificare se la società avesse o meno rispettato il progetto formativo, senza
viceversa limitarsi a dare per scontato che il MIRANNI, presentandosi in aziende tsvolgendo
le attività dedotto il ricorso, di fatto era un lavoratore subordinato.
A ben vedere, poi, quanto riferito dai testimoni escussi coincideva perfettamente con il
progetto formativo stipulato, che prevedeva l’inserimento del MIRA NNI all’interno del

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eventualmente anche revocando l’ordinanza del giudice di primo grado, aveva chiesto di

12-(4-17 / r.g. n. 4)97-12

reparto test elettrico, con un orario di lavoro distribuito su tre turni e con modalità di
affiancamento.
Nemmeno era stato considerato che, in contrasto con quanto affermato dai due testimoni
escussi, la ELCO aveva prodotto documentazione (riportata per esteso in allegato allo
stesso ricorso per cassazione), che non aveva formato oggetto di contestazione e che era
stata comunque sottoscritta dal MIRA NNI, dalla quale viceversa risultare il contrario
(partecipazione ad un modulo formativo sottoscrivendo la relativa casella).

dell’articolo 420

c.p.c., laddove la sentenza impugnata andava censurata per aver

confermato quella di primo grado, che aveva erroneamente ritenuto decaduta la società
convenuta con ordinanza del 27 febbraio 2006, della quale era stata chiesta anche la
revoca alla successiva udienza del 25 ottobre 2006, dopo che la prova era stata ammessa
all’udienza del 14 febbraio 2005.
Ad ogni modo, l’eventuale decadenza avrebbe potuto riguardare soltanto i testimoni
ammessi per l’udienza del 27 febbraio 2006, rispetto al numero complessivo che il giudice
di primo grado avrebbe dovuto ammettere in ragione delle esigenze istruttorie ritualmente
richieste dalle parti per l’intero processo. Nell’ordinanza di ammissione della prova il
giudice del lavoro avrebbe dovuto indicare il numero dei testimoni ammessi, limitando
l’escussione di alcuni di questi ad altra udienza, ritenendo che una gola udienza non
sarebbe stato possibile l’escussione di tutti i testimoni necessari per i fatti di causa,
rispetto ai quali peraltro l’Ordinamento riconosceva anche poteri di ufficio ex articolo 421
c.p.c..
Tale conclusione era in linea con il principio della concentrazione che anima il processo di
lavoro, ove si consideri che l’articolo 420 del codice di rito prevede che l’attività istruttoria
si svolta di regola all’udienza fissata per la discussione, laddove tuttavia lo stesso art. 420
stabilisce che l’assunzione delle prove debba avvenire nella stessa udienza, o in caso di
necessità, in udienza da tenersi nei giorni feriali immediatamente successivi; non senza poi
considerare che la richiesta di prova testimoniale da parte convenuta ammessa dal giudice
riguardava più circostanze che, proprio per la loro varietà, non potevano essere a
conoscenza di un unico testimone.

Di conseguenza, non era neppure ipotizzabile che

durante l’udienza del 27 febbraio 2006, per il tramite di due testimoni, potessero essere
raccolta la prova su tutte le circostanze di fatto, pure ammesse dal giudicante. Dunque,
una formulazione dell’ordinanza di ammissione della prova in contrasto con le previsioni di
5

Con il terzo motivo di ricorso, è stata, invece, denunciata la violazione e falsa applicazione

I 2-14-17 / r.. n. 41)97-12

cui all’articolo 420 c.p.c. non poteva ritorcersi sull’attività difensiva che la parte
eventualmente era tenuta a svolgere. Pertanto, al più il giudice di primo grado avrebbe
dovuto dichiarare decaduta la convenuta rispetto a due testimoni, indicando quanti ulteriori
testimoni avrebbero ritenuto di escludere, rispetto alla lista contenuta nella memoria
difensive di costituzione, che invece ne indicava quattro.
Orbene, con riferimento alle anzidette censure, richiamate in via preliminare le precedenti
considerazioni svolte per il primo motivo, circa l’inammissibilità, comunque, in questa sede

valutato e deciso dai giudici di merito competenti al riguardo, va rilevata l’infondatezza
delle argomentazioni svolte a sostegno della pretesa illegittimità del provvedimento
mediante cui il tribunale dichiarava decaduta la società dalla prova testimoniale,
precedentemente ammessa, sicché non è possibile poi eludere indirettamente (v. in
particolare il secondo motivo) tale decadenza invocando i poteri di ufficio del giudice per
riammettere in effetti lo stesso mezzo istruttorio.
Invero, dagli atti emerge che il giudicante all’udienza del 14 febbraio 2005,

valutata la

documentazione allegata, riteneva di ammettere la prova testimoniale articolata dalle parti
limitatamente alla domanda proposta dall’attore in via subordinata, rinviando quindi la
causa all’udienza del tre ottobre 2005 per l’escussione di un teste per parte.

A tale

successiva udienza, presenti entrambe le parti, per impegni dell’ufficio, la causa veniva
rinviata di nuovo al 27-02-2006, ore 11, “per escutere due testi per parte, compresi i due
oggi presenti”, invitando questi ultimi a ricomparire senza ulteriore avviso. Quindi, alla
successiva udienza compariva il solo ricorrente, ma nessuno per parte convenuta, sicché
venivano escussi i due testi presenti, indicati dall’attore. All’esito, su richiesta pure del
procuratore costituito per l’attore, il giudice dava atto dell’assenza di parte resistente, alle
preo 13.15, dichiarando la stessa decaduta dalla prova e rinviando la causa all’udienza del
25-10-2006 ore 09.30 per la decisione, con termine per note sino a dieci giorni prima.
Infine, come si rileva dal verbale di udienza del 25-10-2006 (cui compariva anche la
società resistente, che nel riportarsi alle depositate note illustrative chiedeva la revoca
della suddetta ordinanza resa alla precedente udienza, per cui erano stati regolarmente
intimati a comparire i propri testimoni come da prodotta documentazione, richiesta cui si
opponeva la controparte)

«il giudice, atteso che nel caso di specie la decadenza,

rilevabile di ufficio, è (era) stata dichiarata ai sensi dell’art. 208 c.p.c. per assenza della
parte sulla cui istanza dovevano essere escussi í testimoni e non per mancata citazione
6

di doglianze involgenti apprezzamenti di fatto diversamente da quanto insindacabilmente

lid. 12W4-17 /

n. 4(1)7-12

degli stessi, rigetta(va) l’istanza di revoca dell’ordinanza e si ritira(va) in camera di
consiglio e decide(va) la causa», dandone lettura.
Come si vede, dunque, è stato correttamente applicato il procedimento disciplinato dall’art.
art. 208 del codice di rito in tema di decadenza dall’assunzione, indubbiamente applicabile
anche per il c.d. rito lavoro. Né può evidentemente ritersi violato l’art. 420 c.p.c., relativo
all’udienza di discussione in primo grado, fatta eccezione peraltro circa l’osservanza dei
termini ordinatori ivi previsti, questione che nella specie è all’evidenza del tutto irrilevante

parti non abbiano potuto proporre prima, se ritiene che siano rilevanti, disponendo, con
ordinanza resa nell’udienza, per la loro immediata assunzione. Qualora ciò non sia
possibile, fissa altra udienza, non oltre dieci giorni dalla prima, concedendo alle parti, ove
ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni prima
dell’udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note difensive. Nel caso in cui vengano
ammessi nuovi mezzi di prova, a norma del quinto comma, la controparte può dedurre i
mezzi di prova che si rendano necessari in relazione a quelli ammessi, con assegnazione di
un termine perentorio di cinque giorni. Nell’udienza fissata a norma del precedente comma
il giudice ammette, se rilevanti, i nuovi mezzi di prova dedotti dalla controparte e provvede
alla loro assunzione. L’assunzione delle prove deve essere esaurita nella stessa udienza o,
in caso di necessità, in udienza da tenersi nei giorni feriali immediatamente successivi. …).
Ad ogni modo, spetta esclusivamente al giudice del merito, in base al disposto di cui agli
artt. 208 cod. proc. civ. (e 104 disp. att. cod. proc. civ.), valutare se sussistono giusti
motivi per revocare l’ordinanza di decadenza della parte dal diritto di far escutere i testi
per la sua mancata comparizione all’udienza fissata (ovvero per l’omessa citazione degli
stessi), esulando dai poteri della Corte di cassazione accertare se l’esercizio di detto potere
discrezionale sia avvenuto in modo opportuno e conveniente (Cass. lav. n. 18478 01/09/2014, in senso conforme id. n. 14098 del 19/06/2006, nonché Cass. nn. 2745 del
1979 e 5119 del 1990).
Per giunta, nel giudizio di appello secondo il rito del lavoro possono anche essere ammessi
anche i mezzi di prova non nuovi, perché già dedotti in primo grado, che per qualsiasi
ragione non siano stati ammessi in primo grado, o che, dopo essere stati ammessi, non
siano stati acquisiti, ma sempre che le parti non siano incorse in decadenza e che la
relativa istanza di ammissione sia stata puntualmente riproposta con il ricorso
dell’appellante o con la memoria difensiva dell’appellato (Cass. lav. n. 2716 del
7

(…Nella stessa udienza ammette i mezzi di prova già proposti dalle parti e quelli che le

li& 12-1 /4-17 / r.g. n. 4( 7- 12

22/03/1994. In senso analogo id. n. 7611 del 12/07/1995, con specifico riferimento a
decadenza, però espressamente dichiarata dal giudice ai sensi dell’art. 208 cod. proc. civ..,
nonché n. 10902 del 17/08/2000. V. altresì Cass. lav. n. 2327 del 15/02/2003, secondo
cui nel rito del lavoro, la parte dichiarata decaduta dall’assunzione della prova ex art. 208,
cod. proc. civ., la quale deduca che la mancata assunzione è stata determinata dalla
omessa comunicazione del rinvio d’ufficio dell’udienza fissata a tal fine, non può ottenerne
l’assunzione in grado di appello, se non abbia denunciato, con l’impugnazione, la nullità del

Cfr. ancora Cass. lav. n. 10441 del 25/11/1996, nonché n. 196 del 12/01/1998, secondo
la quale nelle controversie soggette al rito del lavoro, qualora il mancato esaurimento in
primo grado della prova testimoniale con l’escussione di tutti i testi ammessi sia ascrivibile
a inerzia della parte istante, deve escludersi che detta parte possa successivamente dolersi
dell’incompletezza della prova, ovvero chiedere in secondo grado la sua integrazione,
tenuto conto, oltre che dei principi generali in materia di rinunciabilità, anche implicita,
delle richieste istruttorie e di infrazionabilità della prova testimoniale, anche delle
peculiarità del rito, nel quale è onere dell’interessato citare i testimoni da escutere sui
capitoli ammessi indipendentemente dalla fissazione di apposita udienza.
Peraltro, Cass. III civ. n. 15368 del 13/07/2011 ha confermato, nei sensi già indicati da
Cass. lav. n. 17766 del 02/09/2004, che la norma di cui all’art. 208 cod. proc. civ. come
novellata dalla riforma di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353 – la quale prevede la
sanzione di decadenza dalla prova se non si presenta la parte su istanza della quale deve
iniziarsi o proseguirsi la prova – va interpretata nel senso che la decadenza debba essere
dichiarata d’ufficio dal giudice, e non più su istanza della parte comparsa, come nel
precedente regime normativo, senza che sia rilevante che la controparte interessata abbia
sollevato la relativa eccezione all’udienza successiva).
Pertanto, vanno disattesi il secondo ed il terzo motivo di ricorso.
Parimenti, inoltre, va ritenuto in relazione al quarto motivo, con il quale è stata
denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 del codice civile, laddove la
Corte d’Appello aveva affermato che le concrete modalità di svolgimento del rapporto di
lavoro, al di là del progetto formativo sottoscritto, avevano assunto il carattere della
subordinazione. Non era dato comprendere l’iter logico argomentativo. Infatti,
dall’istruttoria svolta non era emerso che il MIRANNI fosse stato sottoposto al potere
gerarchico ed organizzativo di ELCO, se non che il lavoratore era stato addetto al reparto
8

procedimento per violazione del principio del contraddittorio.

uel. 124 14- 7 / r.g. n. 4097- 12

“test elettrico” ed aveva svolto relative attività, così come previsto espressamente al
progetto formativo. Ad escludere, viceversa, la sussistenza di qualsiasi vincolo di
subordinazione, sussistevano altri elementi che la Corte di merito non aveva considerato.
Infatti, il MIRANNI era stato spesso assente, senza fornire giustificazioni e senza essere
sottoposto ad alcun controllo né a contestazione di sorta. In tal sensi nell’atto di appello la
società aveva sottolineato l’errore commesso dal giudice di primo grado, rimarcando le
specifiche circostanze unitamente ai documenti prodotti, che ove esaminati dalla Corte

subordinazione.
La Corte distrettuale, in particolare, a fronte della allegata non contestata documentazione,
si era limitata ad affermare circostanze non pertinenti, non avendo evidentemente
compreso le argomentazioni svolte con l’atto di appello ovvero confondendole, non avendo
considerato che era stata prodotta documentazione dalla quale emergeva che l’attore si
era assentato per moltissimi giorni, tanto da costringere prima a degli slittamenti della
scadenza del progetto e poi alla cessazione dello stesso stante il comportamento
dell’interessato. Esaminando la documentazione, il giudice di appello avrebbe potuto
rilevare che il ricorrente non aveva alcun obbligo di presentarsi allo stabilimento, ciò che,
se valutato anche alla luce delle espresse previsioni del progetto formativo, avrebbe
dovuto portare ad escludere la sussistenza di qualsiasi vincolo di subordinazione.
Infatti, parte ricorrente nel pretendere anche qui inammissibilmente una diversa
valutazione di merito delle acquisite risultanze istruttorie, erroneamente assume inoltre la
violazione del succitato art. 2697, che attiene invece soltanto alle regole circa l’onere
probatorio.
Invero, mentre la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod.
civ., configurabile soltanto nell’ipotesi in ril giudice abbia attribuito l’onere della prova ad
una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella
norma, integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3,
cod. proc. civ., la censura che investe la valutazione (attività regolata, invece, dagli artt.
115 e 116 cod. proc. civ.) può essere fatta valere (ma nei limiti di cui si è detto
diffusamente in ordine al primo motivo) ai sensi del numero 5 del medesimo art. 360
(Cass. III civ. n. 15107 del 17/06/2013. V. in senso analogo ancora Cass. n. 19064 del
05/09/2006, ed altre, secondo cui, in particolare, la violazione del precetto di cui all’art.
2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della
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territoriale avrebbero dovuto indurre ad escludere la sussistenza di qualsiasi vincolo di

12-04-17 / r.n. n. 4(97-12

prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella
norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni
istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere.
Cfr., peraltro, Cass. lav. n. 13960 del 19/06/2014 – conforme Cass. n. 26965/2007secondo cui la deduzione della violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., ove si alleghi che il giudice, nel valutare
una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di

attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una
differente risultanza probatoria -come, ad esempio, valore di prova legale- nonché, qualora
la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di
valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il
giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la
censura è consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.. Ne
consegue l’inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della
violazione di legge ai sensi del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ.).
Infondato, infine, risulta altresì il ricorso incidentale, con il cui unico motivo il MIRANNI ha
denunciato, a sua volta, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 e ss. c.p.c.
riguardo alle anzidette compensazioni delle spese di lite, non risultando una vera e propria
soccombenza, poiché la domanda era stata comunque accolta.
Ed invero, la Corte di merito ha sufficientemente chiarito, in particolare, come la domanda
principale dell’attore, di indiscusso maggior valore, fosse stata respinta, ciò che però il
giudice di primo grado non aveva tenuto alcun conto, né altrimenti motivato, di guisa che
appariva congrua una compensazione per la metà delle spese di prime cure, mentre la
sostanziale reciproca soccombenza di entrambe le parti, relativamente al giudizio di
appello, laddove le stesse avevano riproposto questioni e valutazioni già disattese,
giustificava l’integrale compensazione.
Orbene, in tema di spese processuali il sindacato di questa Corte, ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il
quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui
vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione
dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca

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diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di

I2-J4-17

r.u. n. 41197-12

che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. V civ. n. 8421 del 31/03/2017,
conforme n. 15317 del 2013).
Del resto, il ricorso introduttivo del giudizio risale all’anno 2004, di modo che non era
ancora operante la modifica dell’art. 92, comma II, c.p.c. (in seguito apportata dall’art. 2,
comma 1, lettera (a, L. 28-12-2005 n. 263, in vigore dal primo marzo 2006 per tutti i
procedimenti instaurati dopo tale data -v. infatti l’art. 39 quater dl. 30-12-05 n. 273
convertito con modif. in I. 23-02-06 n. 51), che ha infatti reso necessaria

l’esplicita

Pertanto, atteso il parziale accoglimento della domanda (v. ancora il rigetto della domanda
avanzata dall’attore in via principale) Oegittimava pienamente la conseguente parziale
compensazione delle spese di primo grado. Ed analogamente va deciso riguardo a questo
giudizio di legittimità, nonostante il rigetto di entrambe le impugnazioni, attesa comunque
la palese maggior rilevanza del ricorso principale, rispetto a quello incidentale, limitato al
solo regolamento delle spese (non rileva, poi, l’apparente contraddittorietà in relazione al
regolamento delle spese di appello, che la Corte di merito compensava per intero, tenuto
soprattutto conto del divieto di reformatio in pejus, il cui principio opera per tutte le
impugnazioni). Ne consegue che le spese di questo giudizio vanno anch’esse compensate
per la metà, con la condanna della società al pagamento del residuo, avuto riguardo al
fatto che all’esito complessivo della lite la domanda dell’attore, ancorché in relazione a
quella proposta in via gradata, risulta comunque accolta.
P.Q. M .
la Corte RIGETTA entrambi i ricorsi. Dichiara compensate per la metà le spese relative
a questo giudizio di legittimità, che per la residua quota pone a carco della ricorrente
principale, liquidandola, a favore del controricorrente, nella misura di euro 2000,00
(duemila/00) per compensi professionali ed in euro 100,00 (cento/00) per esborsi,
oltre spese generali al 15%, iva e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma il 12 aprile 2017

IL PRESIDENTE

indicazione degli “altri giusti motivi” per poter compensare le spese.

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