Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30855 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 26/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 26/11/2019), n.30855

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9710/2015 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VARRONE 9,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO MARANELLA, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. (quale successore della MPS

BANCA PERSONALE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore), elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE

II 326, presso lo studio dell’avvocato RENATO SCOGNAMIGLIO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CLAUDIO SCOGNAMIGLIO

e LUIGIA MARIA BALDASSARRE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3104/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 05/02/2015, R.G.N. 3104/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Bari respingeva le domande proposte da M.A. nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., volte a conseguire l’accertamento della ricorrenza della giusta causa di recesso dal rapporto di agenzia intercorso fra le parti e la condanna dell’Istituto di credito al pagamento di una serie di prestazioni indennitarie connesse alla risoluzione del rapporto; in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava il M. alla corresponsione in favore di M.P.S. s.p.a. della indennità di mancato preavviso.

Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale che, con sentenza resa pubblica il 5/2/2015, accertato che l’appellante aveva svolto attività di agente monomandatario, condannava la società al pagamento dei contributi previdenziali per la gestione Enasarco in conformità alla natura del rapporto intercorso fra le parti.

Avverso tale decisione M.A. interpone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c., ai quali resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 420 e 437 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè erronea e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si lamenta che la Corte di merito abbia contraddittoriamente affermato che il ricorrente non avesse fornito prova dei propri assunti, nel contempo omettendo di procedere alla ammissione degli strumenti probatori approntati in prime cure e ritualmente riproposti in grado di appello.

Le prove testimoniali articolate erano infatti volte ad “evidenziare il comportamento omissivo della banca in ordine alle veritiere informazioni sui prodotti affidati ai promotori per la vendita nonchè il comportamento persecutorio della banca mirato all’eliminazione della figura del ricorrente”. Esse concernevano circostanze di fatto non superflue nè irrilevanti, bensì attinenti al rapporto di mediazione ed alla condotta della banca che “con i suoi prodotti” aveva “messo in difficoltà il mediatore bancario”, intendendo con esse dimostrarsi il venir meno dell’elemento fiduciario e tutte le circostanze che avevano provocato il recesso ex art. 1749 c.c..

2. Il motivo presenta profili di inammissibilità.

Al di là di ogni considerazione in ordine alla non appropriata tecnica redazionale adottata – che prospetta un error in procedendo mediante la contemporanea invocazione del vizio di violazione di legge e di erronea e contraddittoria motivazione, “censure caratterizzate da…irredimibile eterogeneità” (vedi ex plurimis, Cass. 6/5/2016 n. 9228), per di più omettendo di indicare alcun riferimento alle conseguenze che l’errore sulla legge processuale comporta, vale a dire alla nullità della sentenza e/o del procedimento (cfr. Cass. S.U. 24/7/2013 n. 17931, Cass. 28/9/2015 n. 19124, Cass. 29/11/2016 n. 24247) – non può sottacersi che in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. Cass. 13/6/2014 n. 13485).

Va data, inoltre, continuità al risalente principio in base al quale il giudice di merito non è tenuto a respingere espressamente e motivatamente le richieste di prova avanzate dalla parte ove i fatti risultino già accertati a sufficienza e i mezzi istruttori formulati appaiano, alla luce della stessa prospettazione della parte, inidonei a vanificare, anche solo parzialmente, detto accertamento (così Cass. 2/7/2009 n. 15502).

Esposte tali premesse, non può tralasciarsi di considerare come la Corte distrettuale, nel proprio iter motivazionale, abbia essenzialmente condiviso il giudizio espresso dal giudice di prima istanza in ordine alla inammissibilità degli strumenti probatori approntati dal ricorrente – (e riprodotti in questa sede per il principio di specificità che governa il ricorso per cassazione) – rimarcando come lo stesso avesse evocato fatti estranei al rapporto intrattenuto con la Banca omettendo di allegare e di dimostrare “fatti concreti riferibili al rapporto diretto” con essa intrattenuto, alla stregua di un congruo apprezzamento che si sottrae alle critiche formulate.

3. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 2119,1749 e 1751 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè erronea e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si criticano gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito per avere escluso la giusta causa del recesso, omettendo di considerare una serie di circostanze quali l’omessa o ritardata corresponsione di provvigioni; l’invio di documentazione incompleta e occultamento provvigioni; il rifiuto pregiudiziale e sistematico di concludere affari proposti dall’agente; l’omissione di iniziative volte a tutelare la personalità degli agenti rispetto alle condotte abusive dei supervisori, oltre al mancato pagamento dei compensi.

Ci si duole altresì che la Corte abbia affermato in base a mere supposizioni, che il ricorrente, per il patrimonio di conoscenze di cui era portatore, era in grado di valutare le caratteristiche tecniche dei prodotti finanziari oggetto della attività professionale e di prevedere gli effetti di una loro diffusione, omettendo di valutare i dati documentali acquisiti dai quali si evinceva che i prodotti finanziari trattati erano stati definiti dalla stessa banca come di “alta ingegneria finanziaria frutto del collegamento negoziale fra più contratti complessi”.

Non si condivide poi, lo scarso peso probatorio conferito alla revoca del mandato di area manager e business manager nella decisione di recedere dal contratto, sol perchè dette revoche erano intervenute due e tre anni prima del recesso posto che a seguito della iniziativa della preponente, i propri redditi erano vertiginosamente diminuiti come espressamente dedotto in atto di appello.

4. Anche questa censura va disattesa per le ragioni di seguito esposte.

Occorre premettere che, secondo l’insegnamento di questa Corte, nel rapporto di agenzia, la regola,dettata dall’art. 2119 c.c., deve essere applicata tenendo conto della diversa natura del rapporto rispetto a quello di lavoro subordinato nonchè della diversa capacità di resistenza, che le parti, possono avere nell’economia complessiva dello stesso; in tale ambito, il giudizio circa la sussistenza, nel caso concreto, di una giusta causa di recesso deve essere compiuto dal giudice di merito, tenendo conto delle complessive dimensioni economiche del contratto e dell’incidenza dell’inadempimento sull’equilibrio contrattuale, assumendo rilievo, in proposito, solo la sussistenza di un inadempimento colpevole e di non scarsa importanza che leda in misura considerevole l’interesse dell’agente, tanto da non consentire la prosecuzione, “anche provvisoria”, del rapporto (cfr. Cass. 19/1/2018 n. 1376).

E’ dunque, principio consolidato, quello in base al quale stabilire se lo scioglimento del contratto di agenzia sia avvenuto per fatto imputabile al preponente o all’agente costituisce valutazione rimessa al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da adeguata e logica motivazione (ex plurimis, vedi Cass. 17/02/2011 n. 3869, Cass. 26/05/2014 n. 11728).

Ed i giudice del gravame, con ampia ed articolata motivazione del tutto congrua sotto il profilo logico, e corretta sul versante giuridico, ha proceduto ad un complessivo scrutinio delle acquisizioni probatorie, pervenendo al convincimento che il globale assetto delle operazioni finanziarie oggetto della promozione finanziaria (cd. 4 YOU, 121 PERFORMANCE, My Way) comprendente un contestuale obbligo. di finanziamento, era ben noto ai medesimi promotori finanziari, attesa la conoscenza dei meccanismi finanziari di cui essi erano certamente edotti, in particolare il M.. che aveva rivestito il ruolo di Area Manager e Business Manager. Nè questi aveva dimostrato che la banca aveva dolosamente taciuto le caratteristiche intrinseche dei prodotti da collocare sì da configurare una condotta fraudolenta e in mala fede della preponente.

Di qui il convincimento che il ricorrente fosse a conoscenza delle caratteristiche tecniche dei prodotti e fosse in grado di prevedere le conseguenze della relativa attività di diffusione.

Quanto alle ulteriori circostanze ritenute non adeguatamente valutate dal giudice dei gravame, della loro formulazione la Corte ha dato atto, argomentando (vedi pag. 14) che “secondo l’appellante, il comportamento posto in essere dalla Banca nei suoi confronti rientrava in particolar modo nelle ipotesi…elencate sub a), b), f)”, fra le quali non era ricompresa la omessa o ritardata corresponsione delle provvigioni (indicata sub c), l’invio di documentazione incompleta (sub d), l’omissione di iniziative volte a tutelare la personalità degli agenti rispetto alle condotte abusive dei supervisori; sicchè anche sotto tale profilo la censura si palesa destituita di fondamento.

5. La terza critica attiene alla violazione e falsa applicazione dell’art. 1743 c.c. e dell’art. 2 AEC ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè a vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria.

Si stigmatizza la pronuncia d’appello laddove ha ritenuto insussistente la dedotta violazione del patto di esclusiva in favore del franchisee e dell’esclusiva di zona quale promotore finanziario, per la omessa indicazione della fonte di tale patto, di cui non si rilevava traccia nel contratto individuale depositato, nella documentazione prodotta nè nelle prove articolate. Si deduce per contro che il divieto per la preponente di avvalersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona, scaturisce direttamente dalla disposizione codicistica, oltre che da quella collettiva richiamata.

6. La censura non è condivisibile.

Premesso che, secondo i principi affermati da questa Corte che vanno qui ribaditi, l’esclusiva di zona – diversamente da quanto argomentato da parte ricorrente – pur appartenendo ai cd. naturalia negotii in riferimento ai contratti di agenzia, può essere derogata dalle parti (vedi, ex multis, Cass. 9/10/2007 n. 21073, Cass. 5/8/2011 n. 17063), deve comunque rilevarsi che l’iter argomentativo percorso dai giudici del gravame appare modulato anche sul piano del difetto di prova in relazione alla effettiva violazione del patto di esclusiva da parte della preponente sia, sotto il profilo della carenza di dati documentali che della articolazione di appropriati mezzi istruttori.

E tale statuizione, autonoma e idonea a sorreggere ex sè la pronuncia di rigetto, non risulta oggetto di specifica censura da parte ricorrente (cfr. Cass. 4/3/2016 n. 4293).

In definitiva, ai lume delle superiori argomentazioni, il ricorso va rigettato.

La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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