Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30854 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 26/11/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 26/11/2019), n.30854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4487/2018 proposto da:

ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO N. 25/B, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE SIGILLO’ MASSARA, che la rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

L.C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO

DATINI, 8, presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA GRANDE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRA FAZIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3908/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 25/07/2017 r.g.n. 4285/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/09/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO RAIMONDI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per raccoglimento.

udito l’Avvocato RAFFAELE FABOZZI per delega verbale Avvocato

GIUSEPPE SIGILLO’ MASSARA;

udito l’Avvocato RITA IMBRIOSCIA per delega Avvocato ALESSANDRA

FAZIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata il 25.7.2017 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale della stessa città, accoglieva il ricorso di L.C.C., operaio specializzato assunto da ANAS s.p.a. sulla base di una pluralità di contratti a termine succedutisi dal 1993 al 1997 e dal 2001 al 2010, volto a sentir accertare la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro in violazione prima della L. n. 230 del 1962, poi del D.Lgs. n. 368 del 2001.

2. Il giudice di primo grado aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo per i contratti conclusi nel periodo 1.12.1995/5.4.1996, aveva ritenuto risolti per consenso tacito i contratti relativi ai periodi di lavoro fino al 1997, aveva considerato legittimi tutti i rimanenti contratti a tempo determinato impugnati dal lavoratore e aveva invece dichiarato la nullità della proroga al termine apposto ai contratti di lavoro per il periodo dal 14.3.2009 al 3.4.2009 e per l’effetto dichiarava che tra le parti intercorre un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal 14.3.2009 e condannava la società convenuta a un’indennità risarcitoria in misura pari a nove mensilità della retribuzione globale di fatto e al pagamento in favore del ricorrente delle retribuzioni maturate dalla data di deposito della sentenza fino alla riammissione in servizio, oltre interessi e rivalutazione monetaria. La sentenza del Tribunale era stata gravata da appello principale da parte dell’ANAS e da appello incidentale del lavoratore.

3. La Corte territoriale, ritenuta la giurisdizione del giudice ordinario per tutti i contratti litigiosi, e considerato che sulle statuizioni del primo giudice relativamente ai contratti stipulati prima di quello del 2009 si era formato il giudicato, accertava che le causali addotte dall’ANAS, formalmente riferite a “motivi organizzativi connessi all’emergenza causata da agenti atmosferici invernali” servivano a fronteggiare esigenze strutturali dell’attività aziendale. La Corte di appello accertava altresì che le predette assunzioni a termine non rispettavano il tetto percentuale complessivo fissato dalla legge con riferimento ai lavoratori assunti a tempo indeterminato. Infine, la Corte napoletana affermava che vi era stata una violazione del regime della proroga previsto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, in quanto essa era stata disposta in assenza di ragioni oggettive e “come normale reiterazione delle circostanze che avevano legittimato la stipulazione del contratto a termine o come fatti normalmente prevedibili” (pag. 5 sent.).

4. La Corte di appello condannava quindi l’ANAS s.p.a. a riassumere il dipendente con contratto a tempo indeterminato. Diversamente dal primo giudice, la Corte territoriale quantificava l’indennità omnicomprensiva risarcitoria in 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, valutando quali circostanze di fatto, utili all’applicazione dei parametri di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, sia la dimensione dell’azienda, e la sua estensione su tutto il territorio nazionale (fatto notorio), sia la circostanza che i contratti di lavoro a termine si fossero succeduti per un lungo periodo di tempo e che, in definitiva, nessuna delle due parti avesse allegato circostanze utili all’applicazione dei parametri di quantificazione previsti dalla legge; in particolare nulla era stato evidenziato circa le “condizioni delle parti”.

5. Avverso la citata sentenza della Corte di appello di Napoli ricorre per cassazione l’ANAS s.p.a. sulla base di sei motivi illustrati da memoria. L.C.C. resiste con controricorso illustrato da memoria.

6. Per il giudizio di cassazione è stata inizialmente fissata l’adunanza in camera di consiglio del 6.2.2019. In tale occasione la Corte, rilevato che non sussistevano i presupposti per la decisione in Camera di consiglio, ha rimesso la causa all’udienza pubblica con ordinanza depositata il 1.3.2019. In vista dell’adunanza in camera di consiglio l’ANAS s.p.a. ha depositato altra memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’ANAS deduce “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 143 del 1994, art. 11, commi 3 e 8, D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 – Difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine ai contratti conclusi inter partes prima della conclusione del primo contratto collettivo stipulato da ANAS s.p.a.”. La Corte territoriale avrebbe errato a ritenere sussistente la giurisdizione del giudice ordinario sulla base del solo presupposto secondo cui la maggior parte dei contratti risultano stipulati dopo il 2001.

2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 – legittimità della causale del termine apposto al contratto d’impiego”. A parere della ricorrente la causale addotta soddisfaceva il requisito di specificità richiesto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per cui avrebbe errato la Corte territoriale a negarlo.

3. Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’ANAS lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – Ultrapetizione della pronuncia in merito all’asserita violazione della causa di contingentamento inerente le assunzioni a tempo determinato e della violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis”, facendo valere che il lavoratore nè con l’atto introduttivo del giudizio di prime cure, nè con la memoria di costituzione in appello e con l’appello incidentale aveva contestato i contratti di lavoro a termine intercorsi sotto il profilo del superamento della clausola di contingentamento.

4. Con il quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del CONI, ANAS del 17.5.1999 – Errata individuazione del limite percentuale alle assunzioni a tempo determinato previsto dal CCM., ANAS del 17.5.1999” perchè il giudice di appello avrebbe applicato impropriamente il limite percentuale riducendolo al 10 per cento annuo, laddove il contratto collettivo prevederebbe che detto limite non debba superare il 25 per cento del personale in esercizio e il 25 per cento del restante personale impiegatizio.

5. Con il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’ANAS lamenta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4 – legittimità delle proroghe ai contratti d’impiego intercorsi” perchè a suo giudizio la proroga del contratto a termine ben potrebbe fondarsi sul perdurare delle esigenze che avevano originariamente condotto all’assunzione a tempo determinato, esigenze consistenti nel bisogno di far fronte a “punte stagionali”.

6. Con il sesto e ultimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – Ultrapetizione della pronuncia in ordine alla quantificazione della indennità omnicomprensiva di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32” lamentando che la statuizione sulla misura dell’indennità omnicomprensiva non sarebbe mai stata impugnata dall’odierno controricorrente, nè nell’atto introduttivo del giudizio, nè nel proprio appello incidentale, dunque essa sarebbe stata assunta dalla Corte territoriale in assenza di una domanda o di una qualsivoglia censura da parte del lavoratore, viziando la sentenza di ultrapetizione, e violando altresì il principio del divieto di reformatio in pejus in sede di appello.

7. Il ricorso è fondato quanto al sesto motivo, infondato quanto al quinto, mentre le altre doglianze sono inammissibili.

8. Relativamente al primo motivo, concernente la giurisdizione del giudice ordinario relativamente ai contratti litigiosi stipulati fino a quello per il periodo 1.12.95/5.4.96, si deve osservare che per i contratti precedenti al 2009, che secondo l’ANAS ricadrebbero in parte nella giurisdizione del giudice amministrativo, le statuizioni del giudice di prime cure, favorevoli all’Azienda, sono passate in giudicato, come rilevato dalla Corte territoriale. Di qui l’inammissibilità della doglianza per difetto d’interesse.

9. Quanto ai motivi secondo, terzo, quarto e quinto, essi sono volti a censurare diverse e autonome ragioni del decidere della sentenza impugnata.

10. In particolare, con il secondo l’ANAS si duole della ratio decidendi della sentenza basata sul difetto di specificità della causale addotta dall’Azienda a fondamento, facendo valere che a suo giudizio la causale addotta, cioè le necessità legate ad “attività connesse alla emergenza causata da agenti atmosferici invernali” soddisfaceva il requisito di specificità richiesto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per cui avrebbe errato la Corte territoriale a negarlo. Con il terzo viene denunciato, come si è detto, un vizio di ultrapetizione della pronuncia della Corte napoletana in merito ad altra ragione del decidere, vale a dire all’asserita violazione della causa di contingentamento inerente le assunzioni a tempo determinato e della violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis”, facendo valere che il lavoratore nè con l’atto introduttivo del giudizio di prime cure, nè con la memoria di costituzione in appello e con l’appello incidentale aveva contestato i contratti di lavoro a termine intercorsi sotto il profilo del superamento della clausola di contingentamento. Con il quarto viene censurata la motivazione della sentenza impugnata basata sull’individuazione del limite percentuale alle assunzioni a tempo determinato previsto dal CCNL ANAS del 17.5.1999; il giudice di appello avrebbe applicato impropriamente il limite percentuale riducendolo al 10 per cento annuo, laddove il contratto collettivo prevederebbe che detto limite non debba superare il 25 per cento del personale in esercizio e il 25 per cento del restante personale impiegatizio. Con il quinto motivo ci si duole dell’erroneità della ragione del decidere basata sull’illegittimità delle proroghe ai contratti litigiosi.

11. Ritiene la Corte di dover esaminare prioritariamente il quinto motivo, in applicazione del criterio della ragione più liquida, che trova fondamento costituzionale negli artt. 24 e 111 Cost., criterio in ossequio al quale al giudice è consentito “sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c.” e, pertanto, decidere la causa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata -senza che sia necessario esaminare previamente le altre (cfr. Cass. n. 2909 del 2017; Cass. n. 2853 del 2017; Cass., S. U., n. 9936 del 2014; Cass. n. 12002 del 2014; Cass. n. 23621 del 2011).

12. A questo proposito la sentenza impugnata ha ritenuto che non vi fossero esigenze oggettive tali da giustificare le proroghe. Secondo la corte di appello l’ANAS “oltre a non aver indicato alcuna motivazione giustificante la proroga contrattuale, ha continuato a far lavorare l’appellato con una serie successiva di contratti fino al 31.3.2011”.

13. L’Azienda ricorrente fa valere che la Corte di appello avrebbe qui pedissequamente e acriticamente riprodotto la motivazione di altra decisione relativa a diverso lavoratore, giacchè l’ultimo contratto del ricorrente è cessato nel marzo del 2010.

14. Si deve però osservare che, a fronte dell’affermazione della Corte territoriale secondo cui l’ANAS non avrebbe indicato nessuna giustificazione per le proroghe (pag. 6 della sentenza impugnata), affermazione cui la Corte di merito fa seguire la conclusione della illegittimità delle stesse proroghe e la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, non vengono formulate critiche esaminabili da questa Corte. Sarebbe arduo considerare errata in diritto la conclusione della Corte napoletana secondo la quale in assenza di giustificazione per le proroghe va dichiarata l’invalidità del termine finale apposto al contratto a tempo determinato e deve essere riconosciuta l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La giurisprudenza di questa Corte è ferma sulla sussistenza dell’onere per il datore di lavoro di provare le ragioni obiettive che giustifichino la proroga (v., ad es., Cass. n. 1058 del 2016), onere espressamente previsto dal D.lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, applicabile ratione temporis.

15. Nè la doglianza in esame contiene censure volte a contestare la motivazione in fatto sul punto – assenza di giustificazione delle proroghe fornita dall’ANAS – della sentenza impugnata, tantomeno formulate secondo il rigoroso schema del nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c..

16. Segue alle svolte considerazioni il rigetto del quinto motivo, e, di conseguenza, l’inammissibilità del secondo, terzo e quarto per mancanza d’interesse, potendo la sentenza impugnata reggersi sul punto sull’autonoma ragione del decidere criticata con la doglianza appena esaminata.

17. Fondato è, invece, il sesto motivo.

18. Correttamente l’Azienda ricorrente denuncia un vizio di ultrapetizione della pronuncia in ordine alla quantificazione della indennità omnicomprensiva di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, lamentando che la statuizione del Tribunale di Napoli sulla misura dell’indennità omnicomprensiva, poi aumentata dal giudice di appello, non era mai stata impugnata dall’odierno controricorrente, nè nell’atto introduttivo del giudizio, nè nel proprio appello incidentale, per cui essa sarebbe stata assunta dalla Corte territoriale in assenza di una domanda o di una qualsivoglia censura da parte del lavoratore, viziando la sentenza di ultrapetizione, e violando altresì il principio del divieto di reformatio in pefrs in sede di appello.

19. Il vizio risulta dalla stessa sentenza impugnata, nella quale si può leggere che “l’appellato chiedeva la conferma della sentenza impugnata e il rigetto dell’appello” (pag. 2). Incorre nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice di appello che esamini una questione non espressamente prospettata nei motivi di impugnazione (Cass. n. 26305 del 2017).

20. La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione a questo punto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte decide nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, riconducendo l’indennità onnicomprensiva da riconoscere al lavoratore a titolo di risarcimento del danno alla misura fissata dal giudice di prime cure, quantificandolo cioè in una somma pari a nove mensilità della retribuzione globale di fatto.

21. L’esito complessivo del giudizio giustifica la conferma delle statuizioni sulle spese dei giudizi di merito e la compensazione per un quinto delle spese del giudizio di cassazione, mentre i residui quattro quinti, liquidati come in dispositivo, vanno posti a carico della ricorrente ANAS.

PQM

La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, rigettato il quinto, inammissibili gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna l’ANAS al risarcimento del danno quantificato in nove mensilità della retribuzione globale di fatto. Conferma le statuizioni sulle spese dei giudizi di merito. Compensa per un quinto le spese del giudizio di cassazione e condanna l’ANAS alla rifusione dei residui quattro quinti, liquidati per l’intero in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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