Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30849 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. III, 29/11/2018, (ud. 04/07/2018, dep. 29/11/2018), n.30849

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 868/2017 R.G. proposto da:

A.C., e C.y.B.I., rappresentati

e difesi dagli Avv.ti Francesco Benatti, Luciano Pontiroli, Damiano

Lipani e Francesca Sbrana, con domicilio eletto presso lo studio di

questi ultimi in Roma, via Vittoria Colonna, n. 40;

– ricorrente –

contro

Aspecta Assurance International Luxembourg S.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli

Avvocati Marcello Floris ed Emanuele Ricci, con domicilio eletto

presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Ricasoli, n. 7;

– controricorrente –

First Service S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giancarlo Giardino, con

domicilio eletto in Roma, largo Fregoli, n. 8, presso lo studio

dell’Avv. Rosario Salonia;

– controricorrente –

L.R.R.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma depositata il 25

ottobre 2016;

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere

Cosimo D’Arrigo;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Soldi Anna Maria, che ha chiesto

dichiararsi l’improcedibilità del ricorso;

letta la sentenza impugnata;

letti il ricorso, i controricorsi e le memorie depositate ai sensi

dell’art. 380-bis-1 c.p.c..

Fatto

RITENUTO

A.C. e la moglie C.y.B.I. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Civitavecchia la società Aspecta Assurance International Luxembourg S.A. (d’ora in poi per brevità solo Aspecta), la First Service S.r.l. e il promotore finanziario L.R.R., esponendo di aver sottoscritto taluni contratti di assicurazione sulla vita nella convinzione che si trattasse di polizze “a premio unico” (ossia con versamento in un’unica soluzione della somma di Euro 450.000,00), mentre si trattava di polizze ventennali con premi annuali che comportavano versamenti complessivi per l’importo di nove milioni di Euro.

Conseguentemente chiedevano che i contratti fossero dichiarati nulli o comunque annullabili per vizio del consenso, con conseguente diritto alla ripetizione delle somme versate; in via subordinata, chiedevano che fosse riconosciuta la responsabilità per fatto illecito della First Service S.r.l. e del promotore finanziario L.R.; che venisse dichiarata la nullità, invalidità o inefficacia delle condizioni generali delle polizze sottoscritte o che, in via ulteriormente subordinata, i contratti di assicurazione fossero qualificati quali contratti a premio unico.

Costituitisi in giudizio, i convenuti contestavano le pretese attoree.

Assunte prove testimoniali, il Tribunale di Civitavecchia rigettava le domande attoree, ritenendo che l’eventuale dedotta distorsione della volontà negoziale degli attori fosse da ascrivere alla negligenza degli stessi, in quanto era evidente che la prestazione dovuta fosse costituita “dal pagamento di un premio annuo destinato a confluire in una somma complessiva di premi” ed era “improbabile che il contraente si sia limitato a sottoscrivere unicamente l’ultima pagina del documento contrattuale, senza occuparsi della lettura delle parti quantomeno poste graficamente più in evidenza”.

I coniugi A. appellavano la decisione.

La Corte d’appello di Roma, pur qualificando le polizze quali contratti di finanziamento, anzichè assicurativi, rigettava l’impugnazione, ritenendo che non vi fossero prove in ordine all’asserita violazione degli obblighi di informazione gravanti sull’intermediario finanziario e sulle società appellate; negava altresì che le clausole contrattuali fossero riconducibili al novero di quelle di cui all’art. 1341 c.c., in quanto le stesse non determinavano un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

La decisione è stata fatta oggetto di ricorso per cassazione da parte dei coniugi A. per due motivi. Resistono con controricorso la First Service e la Aspecta il L.R. non ha svolto attività difensive.

I ricorrenti hanno depositato memorie difensive ai sensi dell’art. 380-bis-1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

1. Il pubblico Ministero ha rassegnato le proprie conclusioni deducendo espressamente l’improcedibilità del ricorso per omesso deposito dell’attestazione di conformità della relazione di notifica della sentenza impugnata (Sez. 6, Ordinanza n. 30765 del 22/12/2017, Rv. 647029).

Occorre tuttavia rilevare che – come chiarito come memoria ex art. 380-bis-1 c.p.c. – la notificazione a mezzo PEC è stata effettuata al solo fine di procedere all’iscrizione a ruolo della causa, in quanto il ricorso era stato già passato all’ufficiale giudiziario per la notificazione della copia cartacea a mezzo del servizio postale, ma non erano state tempestivamente restituite le cartoline attestanti l’avvenuto ricevimento del ricorso.

In particolare, il ricorso risulta debitamente notificato a mezzo del servizio postale in data 9 gennaio 2017 sia alla First Service che alla Aspecta Il termine di cui all’art. 325 c.p.c. sarebbe naturalmente scaduto il 7 gennaio 2017, ma si tratta di un giorno di sabato e quindi il termine deve intendersi differito, per l’appunto, al lunedì successivo ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 5. La notificazione al solo L.R. si è invece perfezionata, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., in data successiva, in quanto il ricorso, tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, inizialmente non era stato recapitato per irreperibilità del destinatario.

Pertanto, il rapporto processuale risulta regolarmente instaurato.

2. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322,1341,1372,1374 e 1924 c.c. nonchè dell’art. 112 c.p.c..

3.1 Anzitutto, i ricorrenti osservano che con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado essi avevano chiesto, seppure in via subordinata, che fosse accertata la definitiva cessazione degli effetti dei contratti stipulati con Aspecta. In tal modo, avevano sostanzialmente esercitato quel generale potere di recesso che deve ritenersi implicito in ogni contratto di investimento. La corte territoriale non si sarebbe, tuttavia, pronunciata in merito a tale domanda, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c..

3.2 La censura è inammissibile per difetto del requisito di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Infatti, i ricorrenti non hanno ottemperato all’onere di indicare la parte dell’atto processuale nella quale avrebbero formulato la dichiarazione di recesso, riproducendola direttamente nel corpo del ricorso o, quantomeno, facendo indiretto rinvio alla stessa mediante la sua puntuale specificazione.

4.1 Nell’ambito del medesimo motivo, i ricorrenti deducono inoltre che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere che le clausole contrattuali previste all’art. 15 delle condizioni generali della polizza “(OMISSIS)” e agli artt. 13 e 14 delle condizioni generali della polizza “(OMISSIS)” non fossero riconducibili all’elenco di cui all’art. 1341 c.c., comma 2, e che neppure determinassero un significativo squilibrio tra le posizioni dei contraenti.

In particolare, la clausola n. 14 della polizza “(OMISSIS)” prevedeva il potere dell’assicuratore di sospendere l’esecuzione del contratto (alternativamente alla risoluzione dello stesso) in ipotesi di mancato pagamento del premio. La clausola che riconosceva una simile facoltà in favore del contraente che aveva unilateralmente predisposto le condizioni generali di contratto, avrebbe dovuto essere approvata specificatamente per iscritto ai fini della sua validità ed efficacia.

Nè risulterebbe applicabile al caso di specie il disposto di cui all’art. 1924 c.c., avendo la corte territoriale escluso la natura assicurativa dei contratti stipulati.

La censura è infondata e deve essere rigettata.

4.2 Secondo quanto emerge dal ricorso in esame, i coniugi A., dopo aver corrisposto il solo primo premio, chiesero alla Aspecta la restituzione delle somme versate.

Una simile richiesta avrebbe presupposto che gli assicurati avessero esercitato la facoltà di recesso prevista dalle condizioni generali di contratto. Ma dell’esercizio di siffatta facoltà non è fatto alcun cenno in ricorso. Anzi, sembrerebbe esattamente il contrario, dal momento che i coniugi A. hanno sostenuto che tale richiesta dovesse ritenersi implicita nell’atto di citazione in giudizio.

Nel par. 3 è stato, peraltro, chiarito che a questa Corte non risulta, per difetto di specificità del ricorso, che l’atto di citazione contenesse davvero una domanda in tal senso.

4.3 In questo contesto si inserisce la censura relativa alla pretesa inefficacia delle condizioni generali di contratto.

In che modo la clausola relativa alla sospensione del contratto da parte della società assicuratrice possa incidere sulle domande formulate dagli A. non viene chiarito.

Certamente tale clausola non riguarda la domanda principale di nullità o annullamento del contratto per vizio del consenso. Il vizio della volontà prospettato dai ricorrenti, infatti, non concerne la disciplina pattizia contenuta nelle condizioni generali dei contratti assicurativi, bensì la struttura economica degli stessi e, in particolare, la previsione della necessità di versare un premio annuo, anzichè un premio unico.

Nè può interessare la questione del recesso dai contratti, dal momento che – a tutto concedere – tale facoltà era regolata da una clausola diversa da quella sulla quale si incentrano le censure esposte in ricorso.

In particolare, l’art. 13 delle condizioni generali della polizza “(OMISSIS)” prevede che: “se il numero delle annualità di premio corrisposte è inferiore a due, il contratto si estingue automaticamente con la perdita di quanto già versato; se il numero di annualità di premio corrisposte è almeno pari a due e se sono trascorsi almeno due anni dalla data di decorrenza del contratto, si ha diritto a riscuotere il valore del riscatto totale determinato moltiplicando la riserva per il valore di sconto applicabile ai sensi della tabella di cui all’allegato 1”. Tale clausola, riportata a pag. 17 del ricorso, sembra disciplinare – non senza qualche incertezza l’ipotesi del recesso dell’assicurato e varrebbe a spiegare la ragione per la quale, essendo stata corrisposta una sola annualità di premio, la Aspecta si rifiutò di restituire ai coniugi A. l’importo versato.

Se così stanno le cose, tuttavia, i ricorrenti risultano carenti di interesse in ordine alla qualificazione della clausola di cui all’articolo 14 delle condizioni generali della polizza “(OMISSIS)” come vessatoria. Questa clausola, infatti, concerne – come già illustrato – il potere dell’assicurato di sospendere la polizza e, dunque, non interferisce in alcun modo,nè con la domanda principale di nullità o annullamento del contratto per vizio del consenso, nè con quella subordinata di restituzione delle somme versate per recesso dal rapporto.

D’altro canto, non vi è dubbio che il carattere vessatorio debba essere accertato separatamente per ciascuna delle singole clausole contenute nelle condizioni generali, non potendosi ritenere che l’eventuale vessatorietà di una di esse determini la caducazione dell’intero corpo negoziale.

5.1 Infine, sempre nell’ambito del primo motivo, i ricorrenti deducono la non conoscibilità delle clausole al momento del perfezionamento del contratto. Sostengono, in particolare, che la Corte d’appello avrebbe espressamente riconosciuto che le condizioni generali di contratto furono trasmesse ai coniugi A. in data successiva alla sottoscrizione delle quattro proposte di polizza (pag. 22 e 23 della sentenza impugnata); dal che se ne sarebbe dovuta trarre la conclusione che, al momento della sottoscrizione, i coniugi non erano a conoscenza di tali condizioni generali.

Anche tale censura è infondata.

5.2 invero, la corte d’appello prende effettivamente atto della circostanza che le clausole contenute nelle condizioni generali delle due polizze non furono specificatamente approvate – a norma dell’art. 1341 c.c., comma 2, – non foss’altro, perchè “non v’è traccia nemmeno di un richiamo non meramente numerico alle clausole da ritenersi specificatamente approvate dal cliente” (pag. 23).

Tuttavia, non perviene alla conclusione dell’inefficacia delle relative pattuizioni osservando che gli appellanti non avevano spiegato per quale ragione, a loro avviso, tali clausole dovessero essere ritenute vessatorie.

La censura in esame, pertanto, non intercetta la ratto decidendi della sentenza impugnata.

6.1 Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 33 e 35 Codice del consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005), nonchè dell’art. 112 c.p.c..

I ricorrenti censurano la pronuncia impugnata nella parte in cui la stessa non ha riconosciuto il carattere vessatorio delle clausole contrattuali art. 14 del contratto “(OMISSIS)” e art. 15 del contratto “(OMISSIS)”, ritenendo le stesse quali semplici espressione della “facoltà della compagnia di risolvere il contratto a seguito dell’inadempimento dell’assicurato ovvero, in alternativa: nel caso delle polizze (OMISSIS), acquisire direttamente il corrispettivo dal controvalore dei titoli in cui i premi precedenti sono stati impiegati; nel caso della polizza (OMISSIS), di sospendere l’assicurazione”.

Al contrario, i coniugi A. sostengono che l’art. 15 delle condizioni generali della polizza “(OMISSIS)”, prevedendo la possibilità in capo all’intermediario finanziario di “riscuotere il premio dovuto mediante cancellazione di quote attribuite alla polizza per un importo corrispondente a detta rata del premio” (cioè alla rata del premio non pagata entro trenta giorni dalla scadenza) e consentendo quindi all’intermediario, nella sostanza, di appropriarsi delle somme ad esso affidate, doveva considerarsi a tutti gli effetti una clausola vessatoria, in quanto tale da determinare un ingiustificato squilibrio delle posizioni contrattuali all’interno del contratto di investimento. Analogamente, carattere vessatorio doveva essere riconosciuto alla clausola contenuta nell’art. 14 delle condizioni generali del contratto “(OMISSIS)” (già innanzi illustrata), posto che il potere di sospendere la polizza, se giustificata nel contratto assicurativo dal temporaneo venir meno dell’assunzione del rischio da parte dell’assicuratore, non aveva invece alcuna giustificazione in un contratto di investimento nel quale l’intermediario non assume il rischio, ma svolge invero una gestione del denaro nell’interesse dell’investitore.

Infine, per le medesime ragioni, i ricorrenti ritengono incompatibile con la causa del contratto di investimento, e come tale vessatoria, anche la clausola contenuta nell’art. 13 delle condizioni generali del contratto “(OMISSIS)” (anch’essa già illustrata), relativa alla perdita di quanto versato dagli investitori in ipotesi di riscatto della polizza anteriormente al biennio dalla sottoscrizione.

Nel complesso, quindi, il secondo motivo ripropone, sotto una diversa angolatura, censure in larga parte sovrapponibili a quelle già esaminate.

Il motivo è infondato.

6.2 Nel complesso, le diverse censure in cui si articola il motivo in esame pongono il problema dell’accertamento del significativo squilibrio a carico del consumatore dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Tale valutazione presuppone, a sua volta, la soluzione del problema relativo all’individuazione della causa del negozio, dato che, come messo in evidenza dagli stessi ricorrenti, a ben diverse conclusioni si dovrebbe giungere a seconda che si ritenga di essere in presenza di un contratto assicurativo o di un contratto di investimento.

Ciò che viene posto, dunque, in discussione è l’interpretazione che delle due polizze è stata fatta dai giudici di merito, con riferimento sia all’individuazione dell’elemento causale, sia alla conseguente analisi della sussistenza di un significativo squilibrio a carico degli assicurati (o degli investitori, a seconda della lettura che si faccia del contratto).

Le censure proposte, tuttavia, non rientrano nel perimetro entro il quale è possibile sindacare nel giudizio di cassazione l’interpretazione del contratto fatta dai giudici di merito.

Infatti, l’attività di ermeneutica contrattuale, consistendo nell’accertamento dell’effettiva volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito. L’esito di tale indagine è censurabile innanzi alla Corte di cassazione in due ipotesi: per un verso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per inadeguatezza della motivazione, nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, oppure, nel vigore del testo novellato, per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti; per altro verso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, solamente per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. (Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551).

Nel motivo in esame dovrebbe venire in evenienza questa seconda ipotesi.

Tuttavia, l’errore di diritto nell’applicazione delle regole di ermeneutica contrattuale ricorre solo quando il giudice di merito, facendone inesatta applicazione, sia pervenuto ad un risultato oggettivamente incompatibile con la volontà delle parti. Non è invece censurabile per cassazione l’evenienza in cui, essendo possibili due o più interpretazioni di una clausola o dell’intero testo negoziale, il giudice di merito abbia scelto l’una piuttosto che l’altra. Infatti, il sindacato di legittimità può avere ad oggettornon già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solo l’individuazione dei criteri di interpretazione applicati dal giudice, al fine di verificare se sia incorso in errore di diritto (Sez. 3, Sentenza n. 7597 del 31/03/2006, Rv. 587980).

Quindi, alla parte che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, non è consentito dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata una diversa (Sez. 3, Ordinanza n. 11254 del 10/05/2018, Rv. 648602; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017, Rv. 646063). Infatti, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non deve essere l’unica possibile o la migliore in astratto, ma semplicemente una di quelle possibili e plausibili, (Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944).

Allo stesso modo, sono inammissibili le critiche alla ricostruzione della volontà negoziale effettuata dal giudice di merito che siano basate su una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi già esaminati (Sez. 3, Sentenza n. 2465 del 10/02/2015, Rv. 634161).

In conclusione, il procedimento di interpretazione del contratto consta di due fasi: la prima, consistente nella ricerca e nell’individuazione della comune volontà dei contraenti, si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per errore di diritto in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.; la seconda, concernente l’inquadramento della comune volontà nel corrispondente schema legale, essendo il risultato dell’applicazione di norme giuridiche, può formare oggetto di verifica e di riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto accertati, sia infine con riferimento all’individuazione effetti giuridici conseguenti alla sussunzione della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Sez. 1, Ordinanza n. 29111 del 05/12/2017, Rv. 646340).

Nel caso in esame, i ricorrenti non hanno denunciato davvero la violazione dei canoni legali d’interpretazione della volontà contrattuale, ma si sono limitati ad esporre una diversa interpretazione della causa del contratto (ricostruita in termini di mero investimento finanziario) e dell’impatto sull’equilibrio negoziale delle regole contenute nelle condizioni generali per l’eventualità dell’inadempimento dell’assicurato (ovvero, secondo la tesi dei ricorrenti, dell’investitore). In altri termini, i coniugi A. hanno ribadito in questa sede quanto già sostenuto nei gradi di merito, insistendo su un’interpretazione della vicenda negoziale alternativa rispetto a quella fatta propria dalla corte d’appello e da essi ritenuta preferibile.

Tale prospettazione, collocandosi sul piano del giudizio di merito, è inammissibile in questa sede.

7. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato.

Considerata la natura delle questioni trattate, si ravvisano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

Ricorrono, tuttavia, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte degli impugnanti soccombenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da loro proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

PQM

rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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