Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30847 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. III, 29/11/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 29/11/2018), n.30847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 20111-2016 proposto da:

COMUNE DI CRUCOLI, elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 88, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

ARILLI, rappresentato e difeso dagli avvocati PEPPINO MARIANO,

ANTONELLO, EMANUELE, SAVERIO IRTUSO;

– ricorrente –

contro

G.M., S.M.F., S.A.,

S.D., S.M., S.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, LARGO DEI COLLI ALBANI 14, presso lo studio

dell’avvocato NATALE PERRI, rappresentati e difesi dall’avvocato

GIOVANNI CALIGIURI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

C.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 156/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 04/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso

chiedendo l’inammissibilità o il rigetto del primo motivo; il

rigetto del secondo motivo di ricorso;

l’inammissibilità del terzo motivo.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Comune di Crucoli ha proposto ricorso per cassazione contro S.A., G.M., S.M.F., S.D., S.M. e S.F., nonchè nei confronti di C.C., avverso la sentenza del 4 settembre 2016, con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro ha provveduto in sede di rinvio disposto dalla sentenza n. 21394 di questa Corte.

2. La relativa controversia era stata introdotta nel 1993 dai coniugi S.A. e G.M., che agivano sia in proprio che quali rappresentanti ex art. 320 c.c. dei figli minori F., M.F., D. e S.M., dinanzi al Tribunale di Crotone contro il Comune di Crucoli e il C., per ottenere il risarcimento dei danni sofferti in conseguenza della morte del minore S.A.F., di anni 11 all’epoca dei fatti, figlio e fratello degli attori. Gli attori adducevano che (OMISSIS) il piccolo A.F. aveva perso tragicamente la vita, schiacciato da un disco di cemento, del peso di vari quintali, il quale, dopo essere stato usato dall’amministrazione comunale come basamento di un albero di Natale allestito durante le festività natalizie, su disposizione di funzionari dell’amministrazione comunale era stato rimosso ed abbandonato in posizione verticale in un’area non interclusa, denominata “(OMISSIS)”, di proprietà del convenuto C.C.. In quell’area il piccolo A.F. si era recato a giocare insieme ad altri fanciulli, e durante il gioco era rimasto schiacciato dal disco, che si abbatteva sul suo fianco.

3. Ambedue i convenuti si erano difesi negando di essere proprietari del disco di cemento ed il C. aveva eccepito altresì che il fatto era avvenuto in un luogo non di sua proprietà.

4. Con sentenza del marzo 2003 il Tribunale di Crotone dichiarava l’estromissione dal giudizio” del C., mentre accoglieva la domanda nei confronti del Comune di Crucoli, condannandolo al risarcimento del danno in favore degli attori nella misura di Euro 51.000 per ciascuno dei genitori della vittima e di Euro 12.500 per ciascuno dei fratelli.

5. Sull’appello principale dal Comune di Crucoli ed incidentale del C., la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del maggio 2008 accoglieva l’appello principale, rigettando la domanda attorea, sul duplice presupposto che il disco di cemento che aveva causato la disgrazia non era da considerarsi una cosa pericolosa ed era stato comunque usato dai bambini, per gioco, in modo improprio.

6. La sentenza d’appello veniva impugnata per cassazione dagli attori e, nella resistenza del Comune di Crucoli, questa Corte, con la sentenza su indicata, accoglieva il ricorso quanto al primo ed al quarto motivo, rendendo la seguente motivazione con riferimento ad essi:

“(…) 1.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3. Si assume violato l’art. 2051 c.c. Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello ha escluso la responsabilità del Comune ex custodia, di cui all’art. 2051 c.c., in base al rilievo che la cosa fonte di danno non era pericolosa, non era destinata a giochi di ragazzi e non fosse di proprietà del Comune. Tale statuizione sarebbe tuttavia erronea, secondo i ricorrenti, in quanto presupposto della responsabilità ex art. 2051 c.c. è la custodia, non la proprietà nè la pericolosità o la destinazione della cosa. 1.2. Il motivo è fondato. Alle pag. 6, ultimo capoverso, e 7, primo capoverso, della sentenza impugnata la Corte d’appello sembra articolare il seguente sillogismo: (a) il disco in cemento che causò la disgrazia non era un gioco per bambini; (b) conseguentemente, “non gravava sull’ente alcun obbligo specifico derivante dalla destinazione” della cosa; (c) quindi devono applicarsi nel caso di specie “le regole proprie e comuni del neminem laedere”; 17/10/1969, Rv. 343489, ove si affermò che “diritto di proprietà e potere di custodia non devono (…) necessariamente coincidere nello stesso soggetto”). 1.4.2. Sotto il secondo aspetto (destinazione d’uso della cosa), la Corte d’appello ha applicato una regula iuris inesistente:

quella secondo cui l’obbligo di custodia cessa se la cosa non è usata conformemente alla sua destinazione. Tesi del tutto priva di fondamento letterale nella legge, e comunque reiteratamente rifiutata da questa Corte: e basti, al riguardo, richiamare la copiosa giurisprudenza in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c. del custode di ponteggi od impalcature, per i danni causati da furti in appartamenti perpetrati avvalendosi di tali strutture (ex aliis, da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 6435 del 17/03/2009, Rv. 607529; ma il principio venne affermato la prima volta addirittura da Sez. 3, Sentenza n. 913 del 09/02/1980, Rv. 404344). Altro discorso è, poi, stabilire se la persona danneggiata dalla cosa in custodia abbia concausato il danno attraverso un uso improprio della cosa. Ma a parte il rilievo che, il concorso colposo della vittima è limite, titlr:-t:-n.4abt .e, “/-0:- all’applicabilità della s-‘-idel custode, e non elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., nel nostro caso è la stessa Corte d’appello a rilevare che “non vi sono elementi per affidare di certezza (sic) le modalità di utilizzo”del disco in cemento (così la sentenza, pag. 6, quarto capoverso): sicchè proprio la fattispecie concreta come ricostruita dal giudice di merito impediva di ritenere provato un uso improprio della cosa da parte della vittima, e di conseguenza impediva di ritenere vinta, sotto questo aspetto, la presunzione di cui all’art. 2051 c.c. 1.4.3. Quanto al terzo aspetto (abbandono della cosa oggetto di custodia), va ricordato che la custodia è un rapporto di fatto tra un soggetto ed una cosa: essa può dunque cessare per mutamento della situazione di fatto, non certo per un mutato atteggiamento soggettivo del custode, che ritenga di smettere di essere tale. Se, poi, il custode decida di disfarsi della cosa, affidandola a terzi per lo smaltimento, non basterà questo animus derelinquendi a far cessare qualsiasi responsabilità del custode. Il dovere di custodia comprende infatti l’obbligo, per chi intenda abbandonare la cosa a terzi, d’un affidamento idoneo di essa. “Affidamento idoneo”, a sua volta, è quello che al momento in cui viene compiuto appare sufficiente a prevenire danni a terzi: sia per le modalità con cui avviene, sia per le qualità del soggetto scelto come accipiens. 1.4.4. Quadruplice, in definitiva, è stato l’errore di diritto della Corte d’appello: – avere escluso l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. in una tipica fattispecie di danno causato dalla cosa; – avere ancorato la responsabilità del custode alla pericolosità della cosa, alla titolarità del diritto dominicale ed alla destinazione d’uso della stessa. (omissis, trattandosi della motivazione sul secondo e sul terzo motivo) 4.1. Col quarto motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5). Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello ha motivato la propria decisione in modo inadeguato sia per quanto attiene all’esistenza del rapporto di custodia in capo al Comune; sia sulla pericolosità della cosa; sia sulle modalità del fatto. 4.2. Il motivo è manifestamente fondato. Dinanzi ad una domanda come quella proposta nel presente giudizio, ed al cospetto del gravame dell’amministrazione Comunale, la Corte d’appello avrebbe dovuto, applicando l’ordine logico desumibile dall’art. 276 c.c., comma 2,: (a) stabilire se alla fattispecie fosse applicabile l’art. 2051 c.c., ovvero l’art. 2043 c.c.; (b) nel primo caso, spiegare se il convenuto avesse vinto la presunzione di responsabilità a suo carico; (c) nel secondo caso, spiegare se gli attori avessero fornito la prova della colpa del convenuto. 4.2. Sulla prima questione (lo si è già detto al p. 1.2) la Corte d’appello ha stabilito che al caso di specie si applicassero le regole generali sulla colpa aquiliana (art. 2043 c.c.) per la ragione che il comune non aveva “alcun obbligo specifico” (deve ritenersi, di custodia); e il Comune tale obbligo non l’aveva perchè il disco in cemento non era destinato ad attività ludiche di bimbi. Quello appena trascritto è tuttavia un perfetto paralogismo (o falso sillogismo), dal momento che le regole generali sulla colpa aquiliana si sarebbero dovute applicare se fosse mancata la custodia; e la custodia dipende da un rapporto di puro fatto tra il custode e la cosa, a prescindere dall’uso cui questa è destinata. Non si può essere custodi “relativi”, cioè limitatamente a certi usi o destinazioni della cosa custodita, e non ad altri. Dire, pertanto, come ha fatto la Corte d’appello, che il Comune non era custode perchè il disco non era destinato ad attività ludiche è una argomentazione illogica. 4.3. La motivazione della Corte d’appello è, oltre che illogica, contraddittoria sotto più aspetti. Essa infatti: (a) da un lato afferma che non vi erano elementi per stabilire che uso avessero fatto la vittima ed i suoi piccoli compagni del disco cementizio in questione (pag. 6, quarto capoverso); dall’altro, però, non dà alcun conto del copioso rapporto redatto dai Carabinieri (trascritto dai ricorrenti), nel quali si adducevano molteplici elementi di fatto gravi, precisi e concordanti dai quali desumere che al momento della disgrazia l’anello di cemento si trovasse in posizione verticale; (b) da un lato afferma che la colpa del Comune doveva escludersi a causa dell’uso improprio della cosa che ne fecero i fanciulli, ma dall’altro non solo non spiega in cosa sarebbe consistito quest’uso improprio, ma anzi afferma di non essere in grado di stabilire che uso ne fecero; (c) da un lato afferma che la responsabilità del Comune doveva essere valutata ai sensi dell’art. 2043 c.c. e non dell’art. 2051 c.c., ma poi soggiunge che nel caso di specie la cosa non era pericolosa, e se la cosa non è pericolosa “difetta il presupposto per l’operare dell’art. 2051 c.c.”.”.

6.1. Sulla base della riportata motivazione, questa Corte prescriveva alla corte di rinvio di: a) valutare “la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2051 c.c. tenendo conto che il danno da schiacciamento è una fattispecie tipica di danno da cosa in custodia; e che tale forma di responsabilità non è esclusa nè dal fatto che il custode non sia proprietario della cosa custodita; nè dal mero animus derelinquendi della cosa da parte del custode; nè dalla circostanza che la cosa non sia di per sè pericolosa; nè dall’affidamento incauto della cosa; nè dallo smaltimento in modo improprio di essa;”; b) di dar conto “nella motivazione (…)di tutti gli elementi di prova acquisiti al giudizio” e di evitare “le contraddizioni segnalate al p. 4.3. ” della motivazione.

7. Il giudizio veniva riassunto dagli attori e, nella costituzione del Comune e del C., la Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato l’appello del Comune nei loro confronti e nei confronti del C. confermando la sentenza di primo grado.

8. Al ricorso per cassazione affidato a tre motivi, hanno resistito con congiunto controricorso gli S. e la G..

9. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. e sono state depositate conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, mentre i resistenti hanno depositato memoria tempestivamente ed il ricorrente una memoria tardiva e pertanto irrituale e della quale, dunque, non si deve tenere conto.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce testualmente: “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – in combinato disposto con l’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 156 c.p.c., comma 2 – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non essersi il giudice del rinvio pronunciato su un motivo di gravame e precisamente: la nullità della sentenza del Tribunale di Crotone”.

La prospettazione del motivo è in parte singolare.

Vi si sostiene che la sentenza di rinvio avrebbe omesso di pronunciare su un motivo di appello che a suo tempo, cioè impugnando la sentenza di primo grado, il Comune aveva prospettato.

L’illustrazione inizia adducendosi che il Comune aveva proposto come motivo di appello la nullità di quella sentenza perchè difettava integralmente dell’esposizione dei motivi di fatto e di diritto ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4. Segue la riproduzione di tale motivo dalle ultime cinque righe della pagina 6 del ricorso sino alle prime sei della pagina 8. La lettura di quanto riprodotto evidenzia che il Comune aveva sostenuto che la sentenza di primo grado avesse omesso di procedere ad una ricostruzione dei fatti alla luce delle risultanze istruttorie e da tanto si faceva in primo luogo discendere la dedotta nullità. Essa veniva, poi, ulteriormente sostenuta con l’assunto che non risultavano riprodotte nella sentenza le conclusioni prese dal Comune nella comparsa di risposta e in sede di precisazione delle conclusioni In fine vi si sosteneva che, ancorchè il Comune avesse argomentato in via gradata, rispetto alla prospettazione della sua assenza di responsabilità, la sussistenza di un concorso di colpa in capo ai genitori del de cuius, sotto il profilo di un’omessa vigilanza, con conseguente diminuzione del danno risarcibile, il primo giudice aveva omesso di provvedere su tale prospettazione subordinata.

Dopo la riproduzione del motivo di appello, si dice: “orbene, su tale, preliminare ed assorbente motivo di gravame la Corte di Appello di Catanzaro ha omesso di pronunciarsi violando il disposto di cui all’art. 112 c.p.c.”. Quindi si aggiunge: “la conferma di tutto ciò è ulteriormente corroborata dal fatto che la sentenza oggi impugnata nell’apposita sezione dedicata allo “svolgimento del processo”, allorchè nel riassumere i motivi di gravame dell’appellante Comune omette di riportare proprio il primo motivo di impugnativa: l’eccepita nullità della sentenza”.

1.1. La prospettazione del motivo è singolare quanto alla pretesa omissione di pronuncia sul motivo di appello ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 sotto la duplice angolazione esposta, atteso che, avendo la prima sentenza di appello, quella cassata con rinvio, pronunciato sull’appello e riformato la sentenza di primo grado, aveva provveduto comunque a colmare l’ipotetica nullità della sentenza per mancanza di motivazione in conformità all’effetto devolutivo dell’appello. Sostituita la sentenza dalla sentenza di appello e cassata con rinvio per le ragioni indicate dalla sentenza di rinvio, avendo la corte di rinvio provveduto a motivare sull’appello esaminando il merito della controversia e non essendo l’appello un giudizio meramente rescindente ma, appunto diretto ad una nuova decisione sul merito, non è dato comprendere come possa il ricorrente sostenere che la sua doglianza circa l’assenza di motivazione della sentenza di primo grado non sia stata accolta. E’ sufficiente rilevare che in ottemperanza al precetto della sentenza di rinvio la corte catanzarese ha reso una nuova decisione motivata sulla controversia. Il rilievo della eventuale mancanza di motivazione della sentenza di primo grado, non solo non avrebbe potuto esaurire il dovere decisorio del giudice catanzarese (come già nel provvedere sul primo appello), ma essa era in via preliminare vincolata a decidere il merito dell’appello applicando il disposto di rinvio, che le imponeva di eseguire le valutazioni che si sono riprodotte sopra.

1.2. Il motivo, invece, se considerato quanto alla deduzione della pretesa omissione di considerazione della prospettazione della sussistenza del concorso di colpa dei genitori, appare pretestuoso, non solo in quanto la stessa illustrazione in chiusura, nel riferire il contenuto della sentenza qui impugnata, riproduce una proposizione della stessa nel senso che “da ultimo il Comune eccepiva il fatto che il primo Giudice non si era pronunciato su di un quantomeno concorrente concorso di colpa dei genitori per avere omesso di vigilare su di esso…”, il che evidenzia che la corte di rinvio ha avuto ben presente la questione che il Comune aveva posto subordinatamente alla negazione della sua responsabilità, ma, inoltre, ha anche deciso sulla questione, come si coglie nelle ultime sette righe della pagina 7 della sentenza, nella pagina 8 e nelle prime sei righe della pagina 9, motivando l’esclusione del di quel concorso.

2. Con il secondo motivo si denuncia “error in procedendo ed in iudicanto – nullità della sentenza e/o del procedimento – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; in ogni caso violazione e/o Falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo lamenta la violazione da parte della corte territoriale del dictum della sentenza di rinvio in ordine al dovere di procedere all’esame dei presupposti dell’art. 2051 c.c. dando conto di tutti gli elementi di prova acquisiti al giudizio. Secondo il ricorrente la corte territoriale avrebbe omesso si provvedere in questo senso e tanto costituirebbe violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

L’assunto è sostenuto con queste tre proposizioni: “La Corte Territoriale, invece, ha completamente omesso di (rivalutare tutti gli elementi di prova acquisiti al giudizio, limitandosi ad una mera rilettura “orientata” dalle critiche della Suprema Corte, alla motivazione posta a sostegno della prima sentenza della Corte d’Appello poi cassata. Non è stata operata alcuna valutazione sulla sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 2043 e 2051 c.c., nè è stato dato conto di tutti gli elementi di prova acquisiti al giudizio, per come indicato dalla sentenza 21398/2014, punto 4.4. Ha conseguentemente omesso di esaminare tutti i motivi di gravame proposti dal comune di Crucoli, ritenendo erroneamente sussistente, in virtù della erronea interpretazione delle motivazioni della Corte di cassazione, integrata la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c.”. Dopo detta riproduzione segue la riproduzione di due principi di diritto senza alcuna spiegazione del come e del perchè essi siano giustificati in relazione alla sentenza impugnata.

2.1. Il motivo è inammissibile perchè assolutamente generico, atteso che non contiene nelle tre proposizioni alcuna enunciazione dimostrativa, sulla base di riferimenti alla motivazione della sentenza impugnata, dell’assunto.

Viene in rilievo il seguente principio di diritto: “Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 c.p.c., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo” (Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, che ha avallato quello a suo tempo affermato da Cass. n. 4741 del 2005 e seguito da copiosa giurisprudenza).

3. Con il terzo motivo si prospetta: “omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato esame di oggetto di discussione tra le parti con riferimento alle risultanze istruttorie svolte in primo grado, la cui valutazione avrebbe comportato l’esclusione di qualsiasi responsabilità del Comune di Crucoli e/o la sussistenza del caso fortuito e/o il concorso di colpa della vittima e/o dei suoi genitori ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – In ogni caso violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo si risolve nel ripercorrere risultanze probatorie che, ad avviso del Comune, non sarebbero state considerate, ma in tal modo, quanto alla denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 si pone del tutto al di fuori della logica che a tale paradigma hanno assegnato le Sezioni Unite nelle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 in punto di identificazione del concetto di “fatto”, in particolare escludendosi che per “fatto” si intenda una risultanza probatoria.

Non solo: l’accusa alla corte territoriale di non avere considerato le risultanze probatorie evocate, che invece ha esaminato.

La censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 è pertanto inammissibile.

Quella di violazione dell’art. 2051 c.c. è dedotta come conseguenza dell’inammissibile postulazione sulla valutazione delle risultanze probatorie.

Non solo: l’illustrazione testualmente afferma che il Comune non aveva alcun obbligo di custodia “atteso che, per come risulta dalle prove acquisite, lo stesso anello di cemento, era stato restituito e affidato alla custodia del C., mediante deposito dello stesso, nei pressi del cantiere e/o comunque nel luogo indicato dalla moglie del C.”. L’assunto è nuovamente generico e privo di spiegazione là dove volesse fare riferimento – ma nemmeno lo fa – alla dichiarazione del teste L. evocata in precedenza, secondo cui la moglie del C. avrebbe detto che l’anello doveva essere scaricato fuori dal cantiere. In particolare, ove si fosse inteso evocare tale dichiarazione testimoniale, si sarebbe dovuto fornire spiegazione di come il collocare fuori dalla pertinenza di un soggetto cui doveva essere riconsegnato un oggetto implicasse cessazione del rapporto custodiale.

Si aggiunga che la sentenza di rinvio aveva espressamente escluso che nella specie fosse cessato il rapporto custodiale con l’abbandono dell’anello fuori dal cantiere, sicchè la prospettazione, a ben vedere, risulta contrastare la stessa sentenza di rinvio.

4. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.

4. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza a favore dei resistenti e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Vanno altresì liquidate ai resistenti le spese sostenute per il procedimento ai sensi dell’art. 373 c.p.c., giusta il principio di diritto secondo cui: “Con esclusione del caso di accoglimento del ricorso con rinvio al giudice di merito – competente alla liquidazione delle spese anche per la fase del giudizio di cassazione – nel giudizio di legittimità può essere chiesta alla Corte di cassazione anche la liquidazione delle spese sostenute, davanti al giudice di appello, per lo svolgimento della procedura di sospensione dell’esecuzione della sentenza ai sensi dell’art. 373 c.p.c.; tuttavia, affinchè sia rispettato il principio del contraddittorio, tale richiesta è esaminabile a condizione che l’interessato produca, nei termini di cui all’art. 372 c.p.c., comma 2, una specifica e documentata istanza, comprensiva dei relativi atti, in modo da offrire alla controparte la possibilità di interloquire sul punto.” (Cass. n. 3341 del 2009). Principio cui si è ottemperato.

Le spese del procedimento ai sensi dell’art. 373 si ritengono liquidabili con l’applicazione del criterio indicato dal D.M. n. 55 del 2014, comma 5 atteso che tale D.M. non disciplina il criterio di liquidazione del detto procedimento. La liquidazione si effettua applicando il comma 6 stesso D.M. con riferimento al valore minimo colà indicato.

Le spese come liquidate vanno distratte a favore dell’Avvocato Giovanni Caligiuri, ai sensi dell’art. 93 c.p.c..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, coma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione ai resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro ottomila, oltre duecento per esborsi, le spese generali al 15% e gli accessori come per legge e in Euro duemilacinquanta, oltre le spese generali al 15% e gli accessori come per legge riguardo alle spese di cui al procedimento ai sensi dell’art. 373 c.p.c.. Distrae le spese così liquidate, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., a favore dell’Avvocato Giovani Caligiuri. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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