Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30847 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. II, 26/11/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 26/11/2019), n.30847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22134/2015 proposto da:

C.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, V. MONTE

ZEBIO 30, presso lo studio dell’avvocato GIORGIA FERRARA,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO BONO;

– ricorrente –

contro

S.M.C., S.N., A.V., S.S.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE, 2,

presso lo studio dell’avvocato IDA SCANU, che li rappresenta e

difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 229/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/07/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la vicenda qui in esame può sintetizzarsi nei termini seguenti:

A.V., anche nella qualità di erede di S.G., S.M.C., S. e N. (quest’ultimi quali eredi di S.G.) citano in giudizio C.M.R., esponendo che:

– in data 25/3/1996 era stato stipulato un contratto preliminare, con il quale A.V. e S.G. avevano promesso di acquistare un appartamento, che la C. aveva promesso loro di vendere per il prezzo di Lire 97.000.000, con versamento da parte dei promissari acquirenti di Lire 15.000.000 a titolo di caparra e ulteriori Lire 5.000.000 a titolo di acconto prezzo;

– il “definitivo” del 20/12/1996, nella forma del contratto di compravendita con riserva della proprietà, prevedeva, in caso di mancato pagamento di tre rate consecutive o di cinque complessive e degli interessi nella misura del 15%, la facoltà per la venditrice di risolvere il contratto e trattenere la metà di tutte le somme di denaro ricevute;

– fatto luogo regolarmente ai pagamenti dei titoli cambiari rilasciati, deceduto S.G., i di lui eredi, consultate le carte, si accorgevano di aver corrisposto al maggio del 2005, a fronte del pattuito prezzo di Lire 120.000.000 (il maggior prezzo rispetto a quello stabilito nel preliminare viene giustificato dai controricorrenti con l’aumento pattuito per interessi e rivalutazione), l’importo di Lire 122.000.000 e, pertanto, interrompevano il pagamento delle ulteriori cambiali;

– di conseguenza chiedevano al giudice accertarsi che l’intero prezzo era stato corrisposto (Lire 15.000.000 con la sottoscrizione del preliminare, Lire 5.000.000 il 14/4/1996, Lire 2.000.000, l’1/7/1996, a titolo di caparra in conto prezzo e Lire 100.000.000 a mezzo di n. 100 cambiali di Lire 1.000.000 ciascuna), ordinandosi alla convenuta la restituzione di Lire 2.000.000, indebitamente percepita; la convenuta chiedeva il rigetto dell’avversa domanda e proponeva domanda riconvenzionale sulla base di quanto appresso:

– non v’era connessione tra il preliminare e il contratto di compravendita con riserva della proprietà; i compratori si erano resi inadempienti per non avere corrisposto tre delle previste rate e, di conseguenza, il contratto andava dichiarato risolto e i compratori condannati al rilascio, con diritto a vedersi restituita la metà di quanto corrisposto, nonchè condannati a pagare, a titolo d’indennità di occupazione, la somma di Lire 1.000.000 al mese con decorrenza dall’agosto 2005;

– il Tribunale rigettò la domanda principale e accolse quella riconvenzionale, condannando gli attori a rilasciare l’immobile e pagare un’indennità per l’occupazione senza titolo, con diritto a vedersi rimborsata la somma di Euro 25.822,84;

– la Corte d’appello di Palermo, accolse l’impugnazione dei compratori e, di conseguenza, rigettata la domanda riconvenzionale, condannò la venditrice a restituire la somma di Euro 1.032,91, equivalente a Lire 2.000.000;

– queste, in sintesi, le ragioni del diverso opinare: esaminato, in via di prioritaria assorbenza il terzo motivo d’appello, con il quale la decisione di primo grado veniva censurata per aver negato che il contratto di compravendita fosse stato concluso in adempimento di quello preliminare, la sentenza d’appello riteneva:

a) non esservi prova dell’affermazione della C., secondo la quale le somme versate alla stipula del preliminare, trattenute in un primo tempo a titolo di caparra, sarebbero state computate nel prezzo da corrispondere, calcolato in misura maggiore Lire 142.000.000) rispetto a quello contrattualmente previsto (Lire 120.000.000);

b) il contratto di compravendita con patto di riservato dominio ben poteva costituire esecuzione di un preliminare di compravendita (Cass. 28480/05);

c) “la modifica dell’oggetto del contratto integra novazione solo quando dà luogo ad una nuova obbligazione incompatibile con il persistere di quella originaria” (Cass. n. 5117/1998) “non importando novazione la modifica limitata al prezzo della compravendita e, in genere, alle modalità di esecuzione del contratto” (Cass. n. 6680/1998)”;

d) non vi era prova della novazione oggettiva, per mancanza di qualsiasi circostanza in tal senso, anzi, si era precisato nell’atto pubblico che il rilascio dei titoli non costituiva novazione dell’originario rapporto e, quindi, avevano ragione gli acquirenti a non versare l’ulteriore importo di Lire 20.000.000, perchè interamente già pagato al tempo della stipula del preliminare (Lire 15.000.000 + Lire 7.000.000), avendo anzi diritto al rimborso di Lire 2.000.000;

avverso quest’ultima decisione insorge la C. con tre motivi e gli intimati resistono con controricorso;

ritenuto che con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1351,1470 e 1523 c.c., assumendo che:

– aveva errato la Corte panormita nel reputare la sussistenza di collegamento tra il contratto preliminare e quello definitivo, dovendosi concludere per il contrario, a motivo della difformità degli elementi essenziali (prezzo, pattuizioni e tempi) e assenza di riferimento al primo strumento in seno all’atto definitivo;

– la Cassazione aveva più volte affermato che l’unica fonte obbligatoria è costituita dal contratto definitivo, che, nel caso, era integrato dal contratto di vendita con riserva della proprietà;

considerato che la esposta doglianza deve essere rigettata, sulla base di quanto appresso:

a) i principi richiamati dalla ricorrente non sono pertinenti, vero

che il definitivo “assorbe” il preliminare, ma qui la Corte di Palermo, a dispetto della prospettazione della C., afferma che il definitivo non era “cosa diversa” dal preliminare, cioè che ne rappresentava l’esecuzione, senza che potesse ritenersi che, per novazione oggettiva, il primo contratto (quello preliminare) non potesse avere refluenze nel definitivo; quindi esprime un apprezzamento di merito in questa sede non censurabile;

b) in disparte, è appena il caso di soggiungere che non è dato cogliere la pertinenza delle norme denunziate come violate o malamente applicate con gli argomenti censuratori;

ritenuto che con il secondo motivo la C. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2699,2700,2697 e 1218, c.c., nonchè del R.D. n. 1669 del 1933, art. 14, sulla base di quanto segue:

– i compratori in seno all’atto pubblico avevano garantito il pagamento del prezzo mediante il rilascio di titoli cambiari con scadenza mensile (n. 120, ciascuna di Lire 1.000.000), non solo la sentenza aveva violato la legge cambiaria privando di valore le cambiali, ma aveva privato di valore la pattuizione contrattuale, in assenza di una denunzia di falso; la controparte non aveva offerto alcun elemento di prova confutatorio; la sentenza aveva illegittimamente invertito l’onere probatorio;

considerato che il motivo è manifestamente destituito di giuridico fondamento, in quanto:

– propone un’inammissibile rilettura di merito delle emergenze di causa, nel mentre il richiamo alla necessità della querela di falso e alla ipotizzata violazione della legge cambiaria appaiono, all’evidenza, inconcludenti, poichè non si controverte sulla genuinità della firma apposta sui titoli, nè, tantomeno, sui principi regolanti i titoli di credito, ma, ben diversamente, del rapporto sottostante; ancor meno pertinente deve reputarsi la prospettata violazione della regola probatoria, la quale presupporrebbe un’alternativa ricostruzione dei fatti;

ritenuto che con il terzo motivo viene prospettata violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e segg., c.c., assumendosi che non era stata indagata la volontà delle parti, riportandosi in ricorso la tesi sostenuta dalla C. nel merito;

considerato che il motivo è manifestamente infondato, essendo diretto a censurare gli apprezzamenti insindacabili di merito, peraltro, sulla scorta di asserzioni prive di specificità argomentativa; la vicenda, invero, resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto “L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 c.c. e segg., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili (il secondo, ovviamente, sotto il regime del vecchio testo del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.), il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti; di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579. 16.3.04 n. 5359, 19.1.04n. 753)” (Sez. 2, n. 18587, 29/10/2012; si veda anche, per la ricchezza di richiami, Sez. 6-3, n. 2988, 7/2/2013)

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e che le stesse possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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