Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30846 del 29/10/2021

Cassazione civile sez. lav., 29/10/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 29/10/2021), n.30846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13659-2019 proposto da:

F.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati ALBERTO GUARISO, LIVIO NERI, ANTONIO

MISURELLI;

– ricorrente –

contro

SEA SOCIETA’ ESERCIZI AEROPORTUALI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B, presso lo studio degli avvocati FRANCESCO GIAMMARIA, e

ELEONORA CANGEMI, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 381/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/02/2019 R.G.N. 1520/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/02/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Milano, davanti alla quale era stato riassunto il giudizio a seguito della cassazione della sentenza della stessa Corte territoriale, in accoglimento del reclamo proposto da S.E.A. Esercizi Aereoportuali s.p.a., ha rigettato le domande avanzate da F.S. che aveva chiesto si accertasse la illegittimità del licenziamento in tronco intimatogli con lettera del 6.3.2015, previa contestazione disciplinare con cui era stato addebitato al dipendente di aver proferito epiteti ingiuriosi nei confronti di terzi dipendenti della società di ristorazione Serist, che gestiva la mensa.

2. La Corte del rinvio, chiamata a valutare la gravità degli addebiti e la proporzionalità della sanzione irrogata, ha ritenuto in primo luogo che l’esistenza storica e le modalità di verificazione della condotta contestata al lavoratore non potevano essere oggetto di sindacato da parte del Collegio e non erano credibilmente inficiate dalla documentazione prodotta dal lavoratore nel giudizio di rinvio.

2.1. Quindi esaminata la condotta e valutatala complessivamente grave, per le modalità con le quali si era realizzata e per il contesto in cui si era svolta – nella mensa della società che usufruiva del servizio ed alla presenza di più persone che ne avevano colto la portata ingiuriosa – ha ritenuto che fosse tale da giustificare il recesso in tronco dal rapporto.

2.2. Il giudice del rinvio ha infatti osservato che si era trattato di una critica gratuita alle strategie di gestione del personale di una società terza utilizzando espressioni volgari e una similitudine pesantemente offensiva sia per la società che ne era investita sia per le sue dipendenti.

2.3. Ha ritenuto che si erano travalicati i limiti di continenza e pertinenza espressiva e che la società, cui erano rivolte le offese, aveva indirizzato alla SEA una formale protesta scritta riservandosi ulteriori iniziative legali. La Corte di merito ha poi posto in rilievo che l’episodio, già di per sé grave, si inseriva in una serie di altre analoghe contestazioni richiamate nella lettera di contestazione del 20.2.2015 e variamente sanzionate – cui la Corte fa riferimento nel valutare la gravità della condotta oggetto della contestazione.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione F.S. affidato a cinque motivi, cui ha resistito la SEA s.p.a. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c. e art. 384 c.p.c., comma 2. Sostiene il ricorrente che erroneamente la sentenza, nel ritenere che l’ambito del suo giudizio era limitato alla sola valutazione di gravità della condotta senza necessità di accertare la sua esistenza storica e le modalità con le quali si era verificata, con esclusione di ogni istruttoria, sarebbe incorsa nella denunciata violazione di legge poiché i fatti, contestati al lavoratore non erano stati mai accertati non essendo mai stata svolta alcuna istruttoria. Sostiene che il giudice del rinvio ben avrebbe potuto procedere agli accertamenti chiesti trattandosi di fatti nuovi successivi alla sentenza della cassazione ed avendone la Corte di legittimità implicitamente sollecitato l’accertamento. Deduce che nello specifico il fatto nuovo era ravvisabile nell’invio di una lettera da parte di un dipendente che aveva assistito al fatto ed aveva negato i fatti oggetto della contestazione. Sottolinea che al giudice del rinvio era stato proprio demandato l’accertamento dei fatti che nella sentenza di merito cassata non era stato mai eseguito poiché si era ritenuto che, quand’anche provati, essi non integrassero comunque una giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro. Sostiene che della norma collettiva applicata (l’art. G40, paragrafo 6, lettera K del c.c.n.l. del trasporto aereo) era stata data dalla Cassazione una lettura che non consentiva di ricondurvi la condotta contestata e dunque il giudice del rinvio avrebbe dovuto accertare, come la stessa società aveva chiesto riassumendo il giudizio, le caratteristiche del comportamento oggetto della contestazione. Rileva che diversamente, se nessun ulteriore accertamento di fatto fosse stato necessario, la Cassazione ben avrebbe potuto essa stessa decidere nel merito la controversia procedendo alla sussunzione dei fatti incontestati nella fattispecie astratta dettata dal contratto collettivo.

5. Il motivo non può essere accolto.

5.1. Nel giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 394 c.p.c., comma 3, non sono ammesse nuove prove, ad eccezione del giuramento decisorio e tuttavia, nel caso in cui la sentenza d’appello sia stata annullata per vizio di violazione o falsa applicazione di legge, che reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito perché ritenuti erroneamente privi di rilievo, sono ammissibili anche le nuove prove che servano a supportare tale nuovo accertamento, non operando rispetto ad esse la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3 (cfr. Cass. 18/04/2017 n. 9768 e 26/06/2013n. 16180).

5.2. Tuttavia nel caso in esame la Corte di appello, alla quale era demandato di “riesaminare la contestazione degli addebiti e la sanzione irrogata al fine di accertarne la proporzionalità sulla base dei principi di diritto espressi nei punti 20, 21 e 22, ha proceduto ad una indagine sul fatto per arrivare a delinearne le caratteristiche. Ha esaminato la documentazione prodotta dalle parti e l’ha ritenuta sufficiente a dimostrare sia i fatti nella loro materialità che il contesto in cui si sono svolti.

5.3. La censura, allora, mira a scardinare la ricostruzione fattuale operata dalla Corte del rinvio proponendone una diversa ed alternativa e si risolve così nella pretesa di procedere ad un riesame in questa sede del merito della controversia non consentita al giudice di legittimità.

6. Anche il secondo motivo di ricorso, con il quale il F. si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (la dichiarazione contenuta nel documento 1 della memoria in riassunzione) è inammissibile poiché pretende nella sostanza una diversa, complessiva, valutazione dei fatti esaminati dal giudice del rinvio.

7. Quanto alla denunciata violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5 oggetto del terzo motivo di ricorso, una volta ritenuto che correttamente il giudice davanti al quale era stata rimessa la causa abbia esaminato i fatti e li abbia ritenuti accertati ogni ulteriore indagine è qui preclusa e non sussiste la violazione di legge denunciata avendo la Corte territoriale proceduto alla verifica della sussistenza della giusta causa di recesso onerandone correttamente, quanto alla sua dimostrazione, il datore di lavoro che a tale onere è risultato aver adempiuto.

8. Del pari, alla luce delle su riportate considerazioni, la deduzione che la Corte sarebbe incorsa nell’omesso esame di un fatto decisivo per non aver tenuto conto del ruolo di rappresentante sindacale dell’ADL del ricorrente e dell’esigenza di valutare le espressioni critiche, anche esagerate, tenendo conto del ruolo svolto si risolve nella sostanza in un diverso apprezzamento dei fatti la cui richiesta è inammissibile davanti al giudice di legittimità. Il giudice di appello ha calato l’episodio nel complessivo contesto delle condotte ripetute valutate per apprezzare l’importanza dell’inadempimento a doveri di continenza e di correttezza che devono improntare la condotta del lavoratore qualunque sia la mansione svolta ed il ruolo rivestito. Si tratta di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se, come nella specie, risultano sorretti da argomentata motivazione. Il controllo affidato alla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza della condotta, della veridicità dei fatti oggetto della contestazione, e l’apprezzamento circa la gravità e la proporzionalità della sanzione risulta correttamente svolto una volta che si sia accertato che gli insulti profferiti erano diretti a collaboratori della destinataria del servizio reso che, seppure esterni della società datrice, risultavano particolarmente invasivi tanto da provocarne una reazione formale. Fatti quelli accertati che esorbitano nel contenuto una normale critica e ragionevolmente giustificano l’esercizio del potere disciplinare nei termini in cui è stato effettuato.

9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.250,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021

 

 

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