Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30840 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. III, 29/11/2018, (ud. 01/03/2018, dep. 29/11/2018), n.30840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22504-2016 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILVIO

PELLICO 24, presso lo studio dell’avvocato CESARE ROMANO CARELLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BEATRICE FRANCIOLI giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI 34,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE DELLA BELLA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ELISABETTA RENIER giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 796/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 18/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/03/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.C. ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 796/16 del 18 maggio 2016 della Corte di Appello di Firenze, che – respingendo il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 1472/15 del 30 aprile 2015, resa dal Tribunale di Firenze – ha confermato il rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento e risarcimento dei danni proposta dall’odierno ricorrente, nonchè l’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da Ma.Ma., condannando il M. a pagare a costui l’importo di Euro 1.100,00, oltre interessi di legge.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di aver concesso al Ma. in locazione ad uso abitativo – in virtù di contratto sottoscritto il 14 dicembre 2010, e con decorrenza da 1 gennaio 2011 – un appartamento di sua proprietà interamente ammobiliato, sito in (OMISSIS), autorizzando il conduttore a sublocare lo stesso esclusivamente a persone di nazionalità cinese, munite di permesso di soggiorno ed espressamente indicate nel contratto. Deduce, altresì, di aver consegnato – alla stessa data di stipulazione del contatto – copia delle chiavi dell’immobile al Ma., di modo che i sub-conduttori potessero portare nello stesso le proprie cose, ma con l’espressa indicazione di non soggiornarvi, occorrendo effettuare interventi di messa a norma degli impianti. Senonchè, il M. recatosi, a tale scopo, con un elettricista presso il suddetto immobile il (OMISSIS) – constatava la presenza, da un lato, di quattro persone di nazionalità cinese, due sole delle quali coincidenti con quelle indicate in contratto, nonchè, dall’altro, di ulteriori cinque letti, oltre ai quattro di proprietà di esso locatore. Avendo, inoltre, in quel frangente appreso che le due persone indicate in contratto, ma non presenti nell’immobile, non avrebbero abitato lo stesso, essendo destinate a subentrare a costoro altre due persone, il M. richiedeva, ed otteneva, l’immediata restituzione delle chiavi dell’appartamento. Contestata, pertanto, al Ma. l’esistenza di un grave inadempimento rispetto agli obblighi contrattuali, l’odierno ricorrente conseguiva la liberazione dell’immobile in data 18 gennaio 2011.

Ciò premesso, il M. riferisce di aver adito il Tribunale di Firenze affinchè dichiarasse risolto, ai sensi dell’art. 1453 c.c., il contratto di locazione, condannando il Ma. al risarcimento dei danni; per parte propria, il Ma. proponeva domanda riconvenzionale dal simmetrico contenuto.

L’esito del giudizio di primo grado consisteva nel rigetto della domanda attorea e nell’accoglimento, invece, della riconvenzionale, con statuizione che veniva confermata dalla Corte di appello fiorentina, a seguito di gravame proposto dall’odierno ricorrente. In particolare, anche secondo la Corte territoriale, tra il M. e le persone di nazionalità cinese, individuate quali possibili sub-conduttori dell’immobile di proprietà del primo, sarebbe intercorso un contratto di comodato ad uso deposito, alle cui vicende il Ma. sarebbe rimasto, pertanto, del tutto estraneo, donde l’impossibilità di ritenerlo inadempiente rispetto alle obbligazioni nascenti dal contratto del 14 dicembre 2010. Per contro, inadempiente è stato ritenuto il M., donde la condanna dello stesso – all’esito della declaratoria di risoluzione del contratto – al risarcimento dei danni nella misura di Euro 1.100,00, oltre interessi di legge.

3. Avverso tale decisione, ha proposto ricorso per cassazione il M., sulla base di cinque motivi.

3.1. In particolare, con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – è dedotta violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1571 e 1803 c.c., nonchè alla L. 9 dicembre 1998, n. 431.

Si contesta la ricostruzione del rapporto intercorso tra esso M. e i predetti stranieri di nazionalità cinese come “un contratto gratuito di comodato d’immobile, presumibilmente ad uso deposito, funzionalmente collegato con il contratto di locazione”. Si duole, in particolare, il ricorrente che sebbene l’ordinamento contempli “l’esistenza di contratti ad effetti anticipati (e/o differiti)”, la Corte fiorentina avrebbe erroneamente escluso l’operatività, nel caso di specie, di tale istituto, ravvisando, viceversa, l’esistenza di un contratto di comodato destinato ad affiancarsi, per un periodo temporalmente circoscritto, a quello di locazione. Siffatta tesi, però, avrebbe potuto trovare corretta applicazione – secondo il ricorrente solo nell’ipotesi in cui le parti avessero inteso anticipare gli effetti di un futuro contratto di locazione non ancora sottoscritto, ma non in presenza di un contratto già stipulato, come nel caso di specie, ed i cui effetti di sarebbero prodotti a far data dal 1 gennaio 2011.

3.2. Con il secondo motivo è dedotta – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1455 e 1804 c.c..

L’assunto su cui si fonda il motivo è che la sentenza impugnata avrebbe confermato l’esistenza di una violazione, da parte dei comodatari, rispetto a quanto pattuito nel contratto di comodato. La Corte fiorentina darebbe atto, infatti, tanto dell’avvenuto pernottamento, nell’immobile, di quattro persone (in spregio al divieto di soggiornarvi prima che decorressero gli effetti dalla stipulata locazione), quanto della presenza di soggetti diversi da quelli specificamente indicati come possibili sub-conduttori.

Di conseguenza, la sentenza impugnata avrebbe dovuto – sulla base di tali presupposti – concludere che l’inadempimento, da parte dei comodatari, degli obblighi nascenti dal contratto di comodato, era destinato a comportare non solo la risoluzione dello stesso, ma anche del contratto di locazione al primo funzionalmente collegato.

3.3. Con il terzo motivo – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – si ipotizza “omessa pronuncia su fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti”.

Si censura, in particolare, la sentenza impugnata in quanto la Corte di Appello non avrebbe dato atto, innanzitutto, della circostanza – confermata anche dalla deposizione del teste P. – che due dei cinesi, nominativamenti indicati nel contratto quali possibili sub-conduttori, non avrebbero abitato, invece, nell’immobile “de quo”; una circostanza, questa, che “rafforza ed avvalora la gravità della violazione degli obblighi contrattuali”.

Nulla è detto, poi, in relazione al fatto che nell’immobile venne riscontrata la presenza di altri cinque posti letto.

Si contesta, inoltre, l’affermazione del giudice di appello secondo cui non potrebbe ascriversi al Ma. la responsabilità per la ritardata liberazione dell’immobile, dopo l’avvenuta, immediata, riconsegna delle chiavi, in data (OMISSIS). Agli atti del giudizio risulterebbe essere stata prodotta, infatti, una missiva del 29 dicembre 2010 con cui esso M. – per il tramite del proprio legale – chiedeva proprio al Ma. “l’immediata liberazione dell’immobile”.

Infine, la Corte toscana avrebbe omesso di valutare che l’odierno ricorrente, a “giustificazione della propria condotta di richiesta di restituzione delle chiavi” dell’immobile, nell’immediatezza dei fatti avvenuti il (OMISSIS), avrebbe addotto la previsione di cui al D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 5 convertito in L. n. 125 del 2008.

3.4. Il quarto motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 10 c.p.c. e al D.M. n. 55 del 2014, artt. 2,3 e 4.

In proposito, il ricorrente deduce di aver impugnato la sentenza resa dal giudice di prime cure anche in relazione alla condanna alle spese di lite, assumendo che, ai fini della determinazione delle stesse, il valore della domanda (pari a Euro 5.106,00) sarebbe stato da ricondurre allo scaglione compreso tra Euro 1.100,01 e Euro 5.200,00.

Si censura, pertanto, l’affermazione della Corte fiorentina che, in relazione a tale motivo di gravame, ha ritenuto superato lo scaglione suddetto in ragione della richiesta di riconoscimento anche della rivalutazione monetaria e degli interessi.

In questo modo, però, sarebbe stato violato l’art. 10 c.p.c., giacchè in base ad esso – ai fini della determinazione del valore della domanda – si sommano al capitale “gli interessi scaduti e i danni anteriori alla proposizione della domanda”, interessi, nella specie, ammontanti (per i tre mesi intercorsi tra la data del fatto, ovvero il (OMISSIS), e quella della domanda, risalente al 15 marzo 2011) ad Euro 16,51.

D’altra parte, anche a volere tener conto pure della rivalutazione monetaria l’importo complessivo sarebbe pari a Euro 5.178,86, anch’esso inferiore a Euro 5.200,00.

3.5. Infine, con il quinto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – la doglianza oggetto del precedente motivo di ricorso è prospettata anche come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti.

4. Ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione il Ma., per chiedere che la stessa sia dichiarata inammissibile o sia, comunque, rigettata.

5. Ha presentato memoria il ricorrente, insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso va rigettato.

6.1. In via preliminare va dichiarata l’inammissibilità dei motivi terzo e quinto, entrambi proposti a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Al riguardo va, innanzitutto, segnalato che – essendo stato il gravame, esperito dall’odierno ricorrente contro la decisione del giudice di prime cure, indirizzato avverso sentenza resa il 30 aprile 2015 – l’atto di appello risulta proposto “con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012”.

Orbene, siffatta circostanza determina l’applicazione “ratione temporis” dell’art. 348-ter c.p.c., u.c. (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n. 26860, Rv. 633817-01; in senso conforme, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonchè Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01), norma che preclude, in un caso – qual è quello presente – di cd. “doppia conforme di merito”, la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Peraltro, in ordine, in particolare, al quinto motivo di ricorso, deve osservarsi, aggiuntivamente, quanto segue.

Ovvero, per un verso, che il (supposto) “omesso esame” del motivo di appello relativo alla determinazione del valore della controversia, ai fini della liquidazione delle spese di lite, in violazione dell’art. 10 c.p.c. non ricorre neppure astrattamente, giacchè tale questione è stata scrutinata dalla Corte fiorentina, tanto che la sua decisione sul punto forma oggetto del quarto motivo di ricorso proposto dal M.. Per altro verso, poi, va rilevato che la presunta – omessa disamina (e quindi decisione) sul motivo di gravame “de quo” avrebbe dovuto essere censurata dall’odierno ricorrente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), giacchè la “omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicchè, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile” (Cass. Sez. 3, sent. 16 marzo 2017, n. 6835, Rv. 643679-01).

6.2. Del pari inammissibili, ancorchè per ragioni differenti da quelle appena illustrate, sono pure i motivi primo e secondo.

6.2.1. In particolare, il primo motivo tende a mettere in discussione la qualificazione, come comodato, della relazione negoziale intercorsa tra il M. e i cittadini cinesi che avrebbero dovuto rendersi sub-conduttori dell’immobile di sua proprietà, e ciò sul presupposto che, consentendo a costoro di trasferire nell’appartamento “de quo” già nel dicembre 2010 i loro effetti personali, non si sarebbe dato vita ad un ulteriore contratto (al quale il Ma. sarebbe rimasto estraneo), bensì solo anticipata parzialmente l’efficacia del contratto di locazione – e sub-locazione – destinato ad operare solo a far data dal 1 gennaio 2011.

Tuttavia, occorre sul punto osservare che, nella giurisprudenza di questa Corte, costituisce principio consolidato quello secondo cui “la qualificazione del contratto consta di due fasi consistenti, la prima, nella individuazione ed interpretazione della comune volontà dei contraenti, la seconda, nell’inquadramento della fattispecie negoziale nello schema legale paradigmatico corrispondente agli elementi, in precedenza individuati, che ne caratterizzano la esistenza giuridica” (così, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 5 dicembre 2017, n. 29111, Rv. 646340-01; in senso conforme, “ex multis”, Cass. Sez. 3, sent. 12 gennaio 2006, n. 420, Rv. 586972-01; Cass. Sez. 2, sent. 3 novembre 2004, n. 21064, Rv. 577929-01).

Orbene, se “le operazioni ermeneutiche attinenti alla prima fase costituiscono espressione dell’attività tipica del giudizio di merito, il cui risultato, concretandosi in un accertamento di fatto, non è in termini generali sindacabile in sede di legittimità (salvo che per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.), la seconda, concernente l’inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente, si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo” (così da ultimo, nuovamente in motivazione, Cass. sez. 1, ord. n. 29111 del 2017, cit.).

Ciò posto, il motivo di ricorso in esame si arresta sul piano come visto preliminare, nella verifica della correttezza della complessa operazione di qualificazione giuridica data ad una certa relazione negoziale – costituito dalla individuazione e interpretazione della comune intenzione delle parti. Difatti, il ricorrente, per poter contestare – come pretenderebbe di fare – “l’inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente” individuato dal giudice, avrebbe dovuto dapprima evidenziare (alla stregua del principio giurisprudenziale summenzionato) quali canoni dell’ermeneutica contrattuale risultano essere stati da esso violati, restando altrimenti quella ricostruzione non sindacabile in sede di legittimità. Non essendo ciò avvenuto nel caso in esame, il motivo si rivela, pertanto, inammissibile.

6.2.2. Il secondo motivo di ricorso è, come detto, anch’esso inammissibile.

Attraverso la sua proposizione, con prospettazione alternativa a quella che fa da presupposto al motivo appena scrutinato (che suppone l’esistenza di un unitario contratto di locazione, con facoltà di sub-locazione a terzi, del quale sarebbero stati solo anticipati gli effetti), si addebita alla sentenza impugnata, quale “error iuris”, la mancata considerazione delle conseguenze che l’inadempimento, da parte dei comodatari, degli obblighi nascenti dal contratto concluso con il M., era destinato a comportare, non solo in termini di risoluzione dello stesso, ma anche della locazione alla quale quel comodato era “funzionalmente collegato”.

In questo modo, tuttavia, il ricorrente introduce un nuovo tema di indagine, in contrasto con la tesi sempre sostenuta della ricorrenza di un unitario contratto di locazione, del quale sarebbe stata solo parzialmente anticipata l’efficacia, consentendo ai (futuri) sub-conduttori una disponibilità della “res locata” limitata a consentire il trasferimento nell’immobile dei propri effetti personali, in vista del futuro godimento dello stesso.

Così facendo, però, risulta essere stato violato il principio secondo cui nel “giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio” (da ultimo, Cass. Sez. 1, sent. 25 ottobre 2017, n. 25319, Rv. 645791-01).

Di qui, pertanto, l’inammissibilità del motivo.

6.3. Il quarto motivo di ricorso, infine, non è fondato.

Corretto è il presupposto da cui muove il ricorrente nella sua formulazione, ovvero che ai “fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato – in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in tema di tariffe per prestazioni giudiziali – sulla base del criterio del “disputatum””, ovvero “di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 23 novembre 2017, n. 27871, Rv. 646647-01). Di conseguenza, non condivisibile è il rilievo del controricorrente secondo cui, ai fini della determinazione del valore della controversia, si dovrebbe tenere conto – ex art. 10 c.c., comma 2, – degli interessi e della rivalutazione monetaria maturata (per giunta, ipoteticamente, dato il rigetto della domanda del M.) al momento della decisione di primo grado, e non degli importi in ipotesi dovuti, a tale titolo, fino all’introduzione del giudizio innanzi al Tribunale fiorentino.

Nondimeno, la decisione assunta del primo giudice (e confermata dal secondo) di prendere a riferimento – nel liquidare le spese giudiziali – un valore di causa superiore a Euro 5.200,00 risulta, comunque, corretta, alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui, nella determinazione del valore della controversia, ai fini della liquidazione degli onorari difensivi, occorre tener conto anche del valore delle domande riconvenzionali (Cass. Sez. 2, sent. 3 luglio 1991, n. 7275, Rv. 472890-01; in senso analogo Cass. Sez. 2, sent. 27 novembre 1982, n. 6469, Rv. 424103-01; Cass. Sez. 2, sent. 5 luglio 1974, n. 1948, Rv. 370178-01), valore, nella specie, pari a complessivi Euro 1.400,00, al netto degli interessi (come risulta dallo stesso ricorso).

7. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.

8. A carico del ricorrente sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e, per l’effetto, condanna M.C. a rifondere a Ma.Ma. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.400,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 1 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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