Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3084 del 11/02/2010

Cassazione civile sez. III, 11/02/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 11/02/2010), n.3084

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18390/2005 proposto da:

V.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CASSIODORO 19, presso lo studio dell’avvocato JANARI LUIGI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GHIRLANDA Giovanni con delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.B.;

– intimati –

avverso il provvedimento n. 210/2004 della CORTE D’APPELLO di

MESSINA, emessa il 23/02/2004; depositata il 01/06/2004; R.G.N.

877/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/12/2009 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FEDERICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del

quinto motivo rigetto del resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 29.7.97 S.B., curatore del fallimento della Edilger s.n.c., premesso che il (OMISSIS) era stato dichiarato il fallimento della predetta società e che il (OMISSIS), per atti notar Buono, la fallita aveva trasferito a V. S. gli immobili siti in (OMISSIS), per un prezzo di L. 25.000.000, sproporzionato rispetto al loro valore così come accertato dal giudice delegato a mezzo di c.t.u., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Patti il V. per sentir dichiarare privo di effetti giuridici nei confronti del fallimento, e conseguentemente revocato L. Fall., ex art. 67, il suddetto atto pubblico e per l’effetto sentir condannare il convenuto al rilascio degli immobili in questione ed alla loro immediata consegna alla curatela.

Il convenuto eccepiva in primis la prescrizione dell’azione revocatoria e, quindi, l’infondatezza della domanda, avendo egli corrisposto per l’acquisto la somma di L. 56.000.000 risultante dalla promessa di pagamento in atti.

Il Tribunale accoglieva le domande attrici e, proposto appello dal V., resistito dalla curatela fallimentare, la Corte d’appello di Messina, con sentenza depositata l’1.6.04, rigettava l’appello.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il V., con sei motivi, mentre l’intimata curatela fallimentare non svolgeva alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’errata applicazione dell’art. 2903 c.c., in relazione alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, essendo stato erroneamente ritenuto dal primo giudice che l’atto introduttivo del giudizio fosse stato notificato il 30.7.97, data della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, mentre la notifica doveva considerarsi perfezionata una volta decorso il termine di dieci giorni dalla data del deposito del plico presso l’ufficio postale, con la conseguenza che tale notifica, avvenuta in periodo feriale, avrebbe prodotto i suoi effetti solo dal 16.9.97 quando ormai erano decorsi i termini della prescrizione quinquennale.

Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., e della L. Fall., art. 67, in quanto nel giudizio di primo grado la curatela non aveva mai richiesto un accertamento tecnico d’ufficio, per cui – in assenza di riscontri probatori a sostegno delle domande proposte – il Tribunale non avrebbe dovuto fare altro che rigettare le stesse.

Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 277 c.p.c., avendo il Tribunale omesso di motivare in ordine a tutte le difese prospettate dall’odierno ricorrente in riferimento al corrispettivo effettivamente pagato.

Con il quarto motivo deduce la “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, non avendo la sentenza impugnata adottato adeguata motivazione sia sul punto riguardante la circostanza che il prezzo effettivamente corrisposto per l’acquisto dell’immobile sarebbe stato quello di L. 56.000.000 risultante dalla scrittura privata del 13.3.84 (stipulata con tale S.) che su quello in cui negava che a tale scrittura potesse darsi valore di documento avente data certa anteriore a quella di dichiarazione del fallimento.

Con il quinto motivo denuncia falsa applicazione della L. Fall., art. 67, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto che il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria fallimentare determinasse – a differenza di quello dell’azione revocatoria ordinaria – un effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente.

Con il sesto motivo infine deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la Corte messinese ha omesso di spiegare le ragioni per cui aveva respinto l’eccezione dell’odierno ricorrente secondo la quale riproducendo l’atto pubblico d’acquisto in modo formale il contenuto di un precedente preliminare già attuato – la compravendita non poteva essere revocata L. Fall., ex art. 67, nonchè quelle per le quali era stata disattesa la richiesta istruttoria, formulata al n. 4 delle conclusioni dell’atto d’appello, che sì disponesse nuova c.t.u. al fine di accertare il valore dell’immobile all’epoca della scrittura privata del 1984 e non a quella in cui venne redatto l’atto pubblico e cioè il 1991.

1. I primi tre motivi presentano in comune tra loro un elemento che li rende inammissibili, per cui possono esaminarsi congiuntamente.

Essi, infatti, non contengono alcuna censura specifica nei confronti della sentenza impugnata, rivolgendosi le diverse doglianze esclusivamente avverso il decisum della sentenza di primo grado del Tribunale di Patti.

Ed invero, esse non tengono affatto conto di quanto, sui rispettivi punti oggetto di gravame, era stato ritenuto e deciso dalla Corte territoriale, atteso che non risulta alcuna specifica ed articolata deduzione diretta a confutare la motivazione della sentenza emessa dalla Corte stessa.

Manca, quindi, nei motivi in questione un elemento essenziale che è richiesto, a pena della loro inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., n. 4, vale a dire l’indicazione precisa e puntuale degli errori contenuti nella sentenza impugnata, “atteso che – per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione – il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata” (v. Cass. civ., sez. 3^, 27.11.2002, n. 16763).

2. Il quarto motivo è manifestamente infondato.

Ed invero, rilevato preliminarmente che, secondo giurisprudenza costante di questa Corte, l’accertamento del presupposto fondamentale per la revocatoria L. Fall., ex art. 67, e cioè la conoscenza dello stato d’insolvenza dell’alienante poi fallito, va fatto con riferimento alla data del contratto definitivo (v. Cass. n. 2967/93;

n. 3165/94), osserva il Collegio come, per quanto riguarda la denunciata violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, manchi in modo assoluto l’indicazione specifica della norma di diritto che si assume violata, nè sia consentito di individuare tale norma attraverso una valutazione nel loro complesso degli argomenti addotti dal ricorrente.

2.1. Per quanto riguarda invece il vizio motivazionale, relativo alla mancata indicazione, nella sentenza gravata, delle ragioni per le quali alla scrittura privata tra lo S. ed il V. non potesse darsi il valore di documento avente data certa, nonostante quest’ultima potesse ricavarsi dal suo avvenuto deposito nel giudizio n. 3/87 pendente dinanzi al Tribunale di Patti e promosso dal ricorrente ex art. 2932 c.c., nei confronti di G.P. quale avente causa dal predetto S., il motivo deve ritenersi inammissibile per difetto dell’essenziale requisito dell’autosufficienza, non risultando indicato in ricorso in quale atto difensivo ovvero in quale verbale di udienza la relativa eccezione sia stata formalmente sollevata.

3. Il quinto motivo è, invece, fondato.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, infatti, l’accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare non può comportare – al pari di quella ordinaria – alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del fallito, nè tantomeno alcun effetto direttamente traslativo in favore dei creditori, implicando soltanto la declaratoria d’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto e rendendo in tal modo il bene trasferito assoggettabile ad azioni esecutive (v. Cass. n. 8962/97).

Sul punto può, pertanto, decidersi nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., e disporsi così l’annullamento della condanna del V. al rilascio dell’immobile per cui è causa.

4. Il sesto motivo deve considerarsi, infine, innanzitutto inammissibile per la parte in cui viene dedotta la mancata spiegazione delle ragioni per le quali, avendo l’atto pubblico riprodotto integralmente un precedente preliminare già attuato, non era stato statuito che la compravendita, una volta eseguita, non avrebbe potuto essere più revocata L. Fall., ex art. 67.

Trattandosi, invero, di censura avente ad oggetto la mancata pronuncia su una eccezione, che integra un error in procedendo, essa è infatti deducibile con ricorso per cassazione soltanto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e non sotto il profilo del vizio di omessa o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 11034/03).

Non senza rilevare, per completezza di motivazione, che la censura in questione difetterebbe comunque anche del requisito dell’autosufficienza, non risultando indicato nel ricorso in quale atto difensivo o verbale di udienza l’eccezione in oggetto sarebbe stata formalmente sollevata.

4.1. Quanto, invece, all’altro profilo del dedotto vizio motivazionale, relativo cioè all’asserita contraddittorietà delle argomentazioni con cui la Corte di merito aveva rigettato le doglianze del ricorrente circa l’operato del CTU del giudice delegato al fallimento, si rileva l’assoluta inconsistenza della censura addotta, in quanto sul punto la sentenza impugnata ha spiegato, con motivazione congrua ed ineccepibile e comunque immune da vizi logici e/o errori giuridici, le ragioni per cui ha disatteso la richiesta di nuova CTU contenuta nelle conclusioni dell’atto di appello, facendo correttamente riferimento alla circostanza che la mancata contestazione, da parte del V., nel giudizio di primo grado, del valore attribuito agli immobili dal CTU nominato dal giudice delegato giustificava appieno la mancata disposizione da parte del Tribunale di un nuovo accertamento tecnico, mentre ancor meno incombeva al curatore fallimentare l’onere di richiedere una nuova CTU, atteso che, producendo in atti l’elaborato eseguito in sede fallimentare, il medesimo aveva regolarmente assolto al proprio onere probatorio.

5. In conclusione, va accolto il quinto motivo di ricorso, mentre vanno rigettati i restanti motivi, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e la relativa decisione nel merito sul punto ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

In considerazione di quanto sopra deciso, concorrono giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese processuali del presente giudizio di cassazione, mentre quelle dei pregressi giudizi di merito vengono regolate e liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo del ricorso, rigettati gli altri, cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla la condanna di V.S. al rilascio dell’immobile per cui è causa. Condanna il V. al pagamento dei 2/3 delle spese di ciascuno dei giudizi di merito, così come liquidate nelle rispettive sentenze, e compensa integralmente le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010

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