Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30836 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. II, 26/11/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 26/11/2019), n.30836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14624-2015 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Portuense

104, presso De Angelis Antonia, rappresentato e difeso dall’avvocato

Antonino Catanzaro Lombardo;

– ricorrente –

contro

S.C., elettivamente domiciliato in Roma, Via Della

Conciliazione, 44, presso lo studio dell’avvocato Nicoletta Turco,

rappresentato e difeso dall’avvocato Santi Distefano;

– controricorrente –

nonchè contro

R.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 955/2014 della Corte d’appello Di Catania,

depositata il 03/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/04/2019 dal Consigliere CASADONTE Annamaria.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– il presente giudizio trae origine dal ricorso notificato da S.A. e depositato il 01 giugno 2015 avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania con la quale veniva disposto ai sensi dell’art. 2932 c.c., il trasferimento da R.S. e S.C. dell’usufrutto sull’immobile sito in (OMISSIS) in adempimento dell’accordo preliminare fra le parti intervenuto;

– la controversia insorta fra le parti riguarda il trasferimento di un immobile sito in (OMISSIS) e dell’usufrutto sullo stesso bene;

– nel dettaglio, S.A., con contratto di compravendita del 28/7/1993, rogato dal Notaio P.R. trasferì ai coniugi R.S. (cognato) e S.C. (sorella) la piena proprietà di detto immobile per l’importo Lire 100.000.000, somma che l’esponente venditore dichiarò di aver ricevuto in precedenza dagli acquirenti, in favore dei quali rilasciò quietanza (art. 2 pag. 4 del contratto);

– con contestuale contratto preliminare R.S. e S.C. si impegnarono a vendere al loro dante causa l’usufrutto sull’immobile dietro pagamento di Lire 90.000.000, somma di cui dichiararono l’avvenuto pagamento;

– deducendo che il pagamento del corrispettivo della vendita non era avvenuto, S.A. con atto di citazione del 24/10/2007 convenne il cognato e la sorella innanzi al Tribunale di Catania al fine di conseguire la declaratoria di nullità sia del contratto di compravendita che del preliminare, per mancanza di causa, in subordine, quella della simulazione assoluta della vendita, in ulteriore subordine, la nullità della ritenuta donazione per difetto di forma stante la mancanza dei testimoni, nonchè, in estremo subordine, di conseguire il trasferimento del diritto di usufrutto in suo favore in esecuzione del contratto preliminare di compravendita;

– i convenuti si costituirono contestando la sussistenza della simulazione per mancanza della controdichiarazione e disconoscendo il contratto preliminare in relazione all’autenticità delle firme apposte dal ricorrente sul preliminare;

– istruita la causa mediante, fra l’altro, l’interrogatorio formale e ctu calligrafica, il Tribunale di Catania, con sentenza del n. 4009 del 3.11.2010 accolse le domande dell’attore, considerò autentica la sottoscrizione del preliminare e dichiarò la simulazione assoluta del contratto di compravendita, affermando che i convenuti non avevano provato il pagamento del prezzo della compravendita e che il preliminare (coevo alla compravendita) fosse idoneo a formare una presunzione sul carattere fittizio del trasferimento;

– inoltre il tribunale ha affermato che, anche a ritenere che detta compravendita simulasse una donazione di nuda proprietà, detta donazione sarebbe stata nulla per difetto di forma, in quanto non conclusa alla presenza di due testimoni;

– proposto appello in via principale da parte dei convenuti ed in via incidentale da parte dell’attore, la Corte d’appello di Catania, ha accolto parzialmente il terzo motivo dell’appello principale, qualificando i due contratti come espressione della volontà di S.A. di riconoscere alla sorella ed al cognato a titolo di liberalità la nuda proprietà dell’immobile, realizzando in tal modo una liberalità non donativa ai sensi dell’art. 809 c.c., conservando l’usufrutto sull’immobile venduto;

– così statuendo la corte accoglieva la domanda proposta in estremo subordine dell’attore, rigettando per il resto gli altri motivi di appello incidentale dallo stesso proposti e volti a far dichiarare la nullità dell’intero complesso negoziale;

– la corte territoriale, infine, ha compensato per metà le spese di lite ponendo il residuo a carico degli appellanti principali;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dall’attore S.A. sulla base di quattro motivi, cui resiste con controricorso S.C.;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 99,112,116 e 345 c.p.c.m, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la corte territoriale qualificato l’operazione posta in essere dalle parti come volta a realizzare una donazione indiretta della nuda proprietà, sulla scorta di una ricostruzione giuridica non allegata dai convenuti, integrando un vizio di ultra-petizione o extra-petizione;

– il motivo è infondato;

– la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda il “petitum” che va determinato con riferimento a quello che viene domandato nel contraddittorio sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che, in proposito, siano state sollevate dal convenuto, ma non concerne le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati quali “causa petendi” dell’esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti (cfr. Cass. 11289/2018; id. (479/2002);

– nel caso di specie è stato lo stesso ricorrente ad introdurre profili connessi alla simulazione del contratto e alla sua qualificazione, sia in primo che in secondo grado (pag. 2, 3 e 5, 6 del ricorso) e la corte ha deciso secondo diritto senza essere vincolata nella ricostruzione giuridica della fattispecie da quanto prospettato dalle parti se non nel petitum, che è infatti coerente con la richiesta in estremo subordine avanzata dall’attore;

– con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 782,809,1325,1362,1363,1418,1470 e 1476 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– parte ricorrente critica la ricostruzione della corte d’appello secondo la quale le parti avrebbero posto in essere un’unica operazione negoziale, in cui vi sarebbe stata una simulazione relativa volta a realizzare una liberalità non donativa, ai sensi dell’art. 809 c.c. con oggetto il trasferimento della nuda proprietà ai coniugi S.- R. e il mantenimento dell’usufrutto in capo a S.A.;

– secondo il ricorrente tale ricostruzione sarebbe errata perchè non vi sarebbe stato scambio di prezzo e di conseguenza il contratto di compravendita sarebbe nullo per mancanza di causa ai sensi degli artt. 1325,1418 e 1470 c.c.;

– a sostegno della sua tesi il ricorrente cita la sentenza di questa Corte seconda sezione civile n. 9144 del 28/8/1993 che qualifica come nulla la compravendita in cui il prezzo è meramente apparente o simbolico;

– il motivo non merita accoglimento;

– la corte territoriale ha ritenuto sulla scorta delle risultanze probatorie emerse nel giudizio (testimonianze e contesto parentale) che nessun prezzo sia stato pagato, nè in adempimento della prima vendita, nè in adempimento del preliminare; ciò in quanto il fine comune perseguito dalle parti è stato quello di realizzare una donazione indiretta;

– tuttavia tale statuizione non giustifica la conclusione tratta dal ricorrente che il contratto di vendita sarebbe nullo e quindi invalida la ricostruzione in termini di liberalità;

– nella pronuncia richiamata si è affermato il principio che il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente, con conseguente nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale (artt. 1418,1470 c.c.), non nell’ipotesi di pattuizione di prezzo tenue, vile ed irrisorio, ma quando risulti concordato un prezzo obbiettivamente non serio, o perchè privo di valore reale e perciò meramente apparente e simbolico, o perchè programmaticamente destinato nella comune intenzione delle parti a non essere pagato. La pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa compravenduta, ma non privo del tutto di valore intrinseco, può rivelare sotto il profilo dell’individuazione del reale intento negoziale delle parti e della effettiva configurazione ed operatività della causa del contratto, ma non può determinare la nullità del medesimo per la mancanza di un requisito essenziale. Del pari, non può incidere sulla validità del contratto la circostanza che il prezzo, pur in origine seriamente pattuito, non sia stato poi in concreto pagato;

– ciò posto, il prezzo nel caso di specie non è, come sostenuto dal ricorrente, inesistente nel senso di essere programmaticamente destinato a non essere pagato, ma è stato dalla corte ritenuto non corrisposto nel contesto del ravvisato collegamento negoziale voluto dalle parti al fine di realizzare il complessivo risultato del trasferimento gratuito del diritto di nuda proprietà, realizzato attraverso due validi contratti tipici;

– tale ricostruzione è conforme alla giurisprudenza secondo la quale la donazione indiretta è caratterizzata dalla finalità e non dal mezzo, potendo essere raggiunta anche attraverso più negozi tra loro collegati (cfr. Cass. 5333/2004; id. 3134/2012; 8098/2006);

– con il terzo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. 16 febbraio 1913, n. 89, artt. 7 e 8 e artt. 809,782,1325,1362,1363,1414,1418 e 2699 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– con questo motivo il ricorrente afferma che, anche se si volesse intravvedere nell’interpretazione congiunta dei due contratti, una donazione diretta, dissimulata, questa sarebbe comunque nulla per violazione dei requisiti di forma indicati dall’art. 782 c.c., in quanto non stipulata alla presenza di due testimoni;

– a sostegno di questa tesi S. riporta la sentenza della Cassazione civile, seconda sezione, n. 15095 del 2/7/2014 che aveva cassato una decisione di secondo grado in cui era stata qualificata come donazione dissimulata una compravendita in cui non vi era stato il pagamento del prezzo. (pag. 19 del ricorso);

– con riferimento al collegamento negoziale il ricorrente afferma che neanche in questo caso si può salvare la supposta donazione, in quanto la nullità della compravendita si ripercuoterebbe su tutta l’operazione (cfr. Cass. 21617/2014);

– il motivo è infondato;

– posta la legittimità della qualificazione giuridica operata dalla corte territoriale del negozio intercorso tra le parti come donazione indiretta, realizzata attraverso due negozi collegati ed entrambi validi, per orientamento consolidato quest’ultima non è sottoposta ai requisiti di forma ad substantiam, previsti dall’art. 783 c.c.;

– infatti, per la validità delle donazioni indirette, cioè di quelle liberalità realizzate ponendo in essere un negozio tipico diverso da quello previsto dall’art. 782 c.c., non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’art. 809 c.c., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione (cfr. Cass. n. 3819 del 25/02/2015; n. 14197 del 05/06/2013; n. 5333 del 16/03/2004);

– la conclusione della corte catanese sul punto è, dunque, conforme a legge;

– con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la corte attraverso una motivazione illogica e viziata attribuito alle parti una volontà dalle stesse non espresse in tal modo violando i principi del giusto processo;

– il motivo è inammissibile;

– la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (cfr. Cass. 15879/2018; id. 3708/2014);

– in definitiva, all’esito sfavorevole di tutti i motivi, consegue il rigetto del ricorso;

– in applicazione della soccombenza parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite alla controparte, liquidate in Euro 4200,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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