Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30834 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 28/11/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 28/11/2018), n.30834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6554-2017 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MERULANA 139,

presso lo studio dell’avvocato MARCO FIGINI, rappresentata e difesa

dagli avvocati ALESSANDRO TOSTI, GIOVANNI TOSTI;

– ricorrente –

contro

F.A. in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro

tempore della Società ROMANTIC CAMPING SAS DI F.A. & C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FRANCESCO CRISPI 36, presso

lo studio dell’avvocato MAURIZIO BIANCHI, che li rappresenta e

difende;

– controricorrenti –

contro

F.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7414/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2018 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del

provvedimento in forma semplificata.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Fu.An. agiva in giudizio lamentando l’omessa convocazione a un’assemblea della società Romantic Camping s.a.s., essendo egli titolare del diritto di usufrutto su una quota minoritaria del capitale sociale.

Il Tribunale di Latina accoglieva la domanda dichiarando l’inesistenza della delibera e attribuendo rilievo alla definizione del distinto giudizio intercorso tra le parti, avente ad oggetto l’impugnativa di un negozio di cessione di partecipazioni societarie: in particolare, la caducazione, con effetto retroattivo, del contratto con cui Fu.An. aveva ceduto a F.A. una quota sociale pari al 25% del capitale sociale (dieci volte superiore a quella su cui era stato costituito l’usufrutto) aveva determinato, secondo il Tribunale, la reviviscenza della qualità di socio in capo al cedente.

2. – Interposto gravame, la Corte di appello di Roma riformava la sentenza impugnata, rilevando come la delibera non fosse affetta da alcun vizio, posto che la sopravvenuta dichiarazione della nullità dell’atto di cessione non era opponibile alla società, la quale aveva deliberato con tutti i componenti di essa che risultavano iscritti nel libro dei soci. Quanto al fatto che Fu.An. risultasse titolare del diritto di usufrutto (diritto, questo, regolarmente annotato nel libro soci), osservava la Corte che sul punto non era stato proposto appello incidentale.

3. – Contro detta sentenza ricorre per cassazione F.M., succeduta all’originario attore, deceduto nel corso del giudizio di primo grado, con una impugnazione basata su di un unico motivo. Resistono con controricorso Romantic Camping e F.A.. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il motivo di ricorso F.M. denuncia violazione degli artt. 100,329 e 112 c.p.c.. Osserva: che gli aventi causa di Fu.An. non avevano alcun interesse a spiegare appello incidentale contro la sentenza del Tribunale, completamente favorevole alla parte attrice; che l’appello principale aveva devoluto al giudice del gravame l’intera fattispecie controversa, relativamente ai presupposti di fatto, all’individuazione della norma regolatrice e ai suoi effetti; che sulla base di una corretta applicazione dell’art. 112 c.p.c. la Corte di Roma avrebbe potuto e dovuto esaminare la questione del’omessa convocazione di F.A. quale usufruttuario.

2. – Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza costante di questa S.C., la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande o le eccezioni non accolte e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., può limitarsi a riproporle, mentre la parte rimasta parzialmente soccombente in relazione ad una domanda od eccezione, di cui intende ottenere l’accoglimento, ha l’onere di proporre appello incidentale, pena il formarsi del giudicato sul rigetto della stessa (per tutte: Cass. 13 maggio 2016, n. 9889; Cass. 14 marzo 2013, n. 6550; peraltro, Cass. Sez. U. 12 maggio 2017, n. 11799 ha precisato che qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, sia necessario proporre appello incidentale: il tema, però, non interessa, facendosi qui questione della mancata riproposizione di una domanda). L’impugnazione incidentale, anche condizionata, presuppone una statuizione sfavorevole all’impugnante, ossia una soccombenza, pertanto quando la parte totalmente vittoriosa in primo grado intenda riproporre in appello domande o eccezioni non esaminate dal primo giudice, perchè ritenute assorbite, essa non ha l’onere di proporre impugnazione incidentale al fine di determinare la devoluzione al giudice di secondo grado delle suddette domande o eccezioni, essendo sufficiente la mera riproposizione delle medesime a norma dell’art. 346 c.p.c., e su tali domande o eccezioni il giudice di appello è tenuto a pronunciarsi, ove ritualmente riproposte, indipendentemente dalla notifica di una impugnazione incidentale e dalla tempestività della medesima (Cass. 23 aprile 2003, n. 6491).

Si ricava dalla sentenza impugnata che al Tribunale fu richiesto di pronunciarsi sulla nullità della delibera di trasformazione della società sulla base del rilievo per cui lo stesso era usufruttuario di “500 quote”, mentre il giudice di prime cure riconobbe l’inesistenza della delibera sul diverso presupposto della caducazione, con effetto retroattivo, del contratto con cui Fu.An. aveva ceduto ad F.A. “5.000 quote” della società (giacchè tale caducazione aveva determinato la reviviscenza della qualità di socio in capo al cedente).

Ove la domanda introdotta in prime cure da Fu.An. (connotata dalla causa petendi della persistente titolarità, in capo all’attore, dell’usufrutto su una quota del capitale della società), non fosse stata esaminata dal Tribunale, come sembrerebbe desumersi dalla sentenza impugnata, essa avrebbe dovuto comunque essere riproposta in appello ex art. 346 c.p.c., per mantenere aperta la trattazione della causa su di un tema (quello legato alla posizione di usufruttuario di Fu.An.) che, diversamente, ne sarebbe rimasto estraneo. In caso di mancata riproposizione di essa, la sentenza della Corte di merito risulterebbe corretta nella statuizione finale (giacchè l’appellante, per quanto detto, non aveva reso possibile un esame della posizione legata all’usufrutto della quote), ma andrebbe corretta nella motivazione; in ipotesi di riproposizione, invece, la sentenza andrebbe cassata.

Ciò posto, il ricorso proposto muove dall’erroneo assunto per cui il giudice di appello avrebbe dovuto procedere d’ufficio al riesame del fatto storico della mancata convocazione di F. quale usufruttuario (laddove, come si è appena visto, la questione andava riproposta con il mezzo di gravame). Nè, comunque, l’istante assume di aver reintrodotto il tema che qui interessa in sede di appello; e, di conseguenza, nemmeno riproduce il contenuto della comparsa di risposta depositata avanti alla Corte di merito: attività, questa, che sarebbe stata comunque necessaria per dar conto di come restasse processualmente viva, in fase di impugnazione, la deduzione posta a fondamento della domanda svolta in primo grado; infatti, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; cfr. pure, più di recente: Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738).

Il ricorso va dunque rigettato.

3. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 quater, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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