Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30834 del 22/12/2017


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 30834 Anno 2017
Presidente: BRUSCHETTA ERNESTINO LUIGI
Relatore: FUOCHI TINARELLI GIUSEPPE

ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 26310/2010 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi n. 12;
– ricorrente contro
SO.GE.CO . Divisione Siderurgica & Ferramenta Sri in
liquidazione,

rappresentata e difesa dall’Avv. Maurizio

D’Amnnando, con domicilio eletto presso l’Avv. Franco D’Amnnando,
in Roma via Germanico n. 168, giusta procura speciale a margine
del controricorso;
– con troricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
dell’Umbria n. 56/05/09, depositata il 15 settembre 2009.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 ottobre
2017 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli;
RILEVATO CHE
– l’Agenzia delle entrate impugna per cassazione, con quattro
motivi, la decisione della CTR dell’Umbria in epigrafe che aveva
ritenuto non fondato l’avviso di accertamento, per l’anno d’imposta

Data pubblicazione: 22/12/2017

2003, per Iva, Irpeg ed Irap, effettuato nei confronti della società
contribuente, esercente attività di lavori di profilatura e piegatura a
freddo, in relazione a tre fatture emesse per forniture di merci
intercorse con la Emmesse Sri e la SO.GE.CO . Spa, oggettivamente
inesistenti;
– assume, con il primo motivo, la violazione degli artt. 36, comma

ratio decidendi della decisione di rigetto del gravame dell’Ufficio e,
in particolare, se in ragione della insussistenza di un pregiudizio per
l’erario (da cui l’irrilevanza dell’intero accertamento o, comunque,
dell’inesistenza delle operazioni) ovvero della ritenuta effettività
delle operazioni, rationes che, peraltro, censura, con il secondo e
terzo motivo, per violazione degli artt. 75 (ora 109) tuir, 4 e 5,
d.lgs. n. 466 del 1977, 19, d.P.R. n. 633 del 1972, 17 della
Direttiva 77/388/CE, 167 e 168 della Direttiva 2006/112/CE,
nonché, con il quarto motivo, per motivazione insufficiente in
relazione alla ritenuta effettività delle operazioni passive contestate
dall’Ufficio;
CONSIDERATO CHE
– il primo motivo è infondato;
– la CTR, infatti, ha fondato la propria decisione escludendo che le
operazioni contestate fossero inesistenti sia perché ricondotte
“all’organizzazione e ricostituzione di scorte di magazzino”

tra

società appartenenti allo stesso gruppo, in quanto tali prive di
“effetti di natura fiscale”,

sia per l’assenza di danno all’erario

perché “la società oggetto della verifica, nello stesso esercizio ha
ricevuto fatture passive ed ha emesso fatture attive dello stesso
importo”,

così raggiungendo “un equilibrio contabile e fiscale”,

atteso che le operazioni, “essendo state fatte fra gli stessi soggetti
e per uguali importi, in relazione ai costi ed ai ricavi, non hanno
comportato sostanzialmente delle variazioni contabili”;

2, n. 4, e 61, d.lgs. n. 546 del 1992, non essendo comprensibile la

- in altri termini, la CTR, da un lato, ha escluso in sé l’inesistenza
oggettiva delle operazioni perché poste in essere tra società dello
stesso gruppo e giustificate da esigenze contabili e, dall’altro, ha
ritenuto tale conclusione confortata dall’asserita mancanza di
danno all’erario, sicché le diverse rationes individuate dall’Agenzia
ricorrente sono state tutte parimenti poste a fondamento della

– passando agli altri motivi di ricorso, è pregiudiziale l’esame del
quarto motivo, attinente alla qualificazione delle operazioni poste in
essere, che è fondato;
– va preliminarmente evidenziato che l’Amministrazione finanziaria,
qualora contesti al contribuente l’indebita detrazione per operazioni
oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare solamente che
l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi
elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, raggiunta la quale
incombe sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza
delle operazioni contestate, a norma dell’art. 2697 c.c. (v. Cass. n.
25778 del 2014; Cass. n. 9108 del 2012), fermo restando che tale
prova non può consistere nella esibizione della fattura o nella
dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei
mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e
vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire
reale un’operazione fittizia (Cass. n. 5406 del 2016; Cass. n. 28683
del 2015);

con specifico riferimento all’Iva, inoltre, la

indetraibilità

ratio

risiede nella considerazione che il

della sua
diritto del

cessionario/committente alla detrazione dell’imposta addebitatagli
a titolo di rivalsa dal cedente/prestatore è soggetto — quando si
tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa — ad una
duplice condizione: 1) che l’acquirente del bene rivesta la qualità di
imprenditore; 2) che sia ravvisabile l’inerenza del bene acquistato
all’attività imprenditoriale, ossia la strumentalità del bene stesso a

decisione impugnata;

tale attività, l’onere della cui prova grava sull’interessato (Cass. n.
16730 del 2007; Cass. n. 2362 del 2013; Cass. n. 18118 del
2016);
– in tali ipotesi, dunque, il diritto alla detrazione dell’Iva non può in
alcun modo essere ritenuto — anche sul piano probatorio — sulla
base della mera avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente

dell’operazione all’impresa, certamente mancante in relazione al
pagamento dell’IVA corrisposta per operazioni inesistenti (anche
parzialmente), poiché in sé inidoneo a configurare un pagamento a
titolo di rivalsa, trattandosi di costo non inerente all’attività
istituzionale dell’impresa, ed anzi potenziale espressione di
distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il nesso
di inerenza (Cass. n. 6973 del 2015; Cass. n. 18118 del 2016);
– orbene, tenuto conto che il vizio di insufficiente motivazione è
configurabile qualora dal ragionamento del giudice di merito, come
risultante dalla sentenza impugnata,

“sia evincibile l’obiettiva

carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento
logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo
convincimento” (Sez. U, n. 24148 del 2013), è innegabile nella
specie la sussistenza del denunciato vizio motivazionale: la CTR è
pervenuta a formulare il proprio giudizio limitandosi ad affermare in
maniera del tutto sommaria che “i fatti contestati sono riconducibili
esclusivamente all’organizzazione e ricostituzione di scorte di
magazzino”, escludendo che configurino fatturazioni di operazioni
inesistenti, conclusione rafforzata dalla ritenuta assenza di un
danno all’erario poiché “i documenti contabili emessi e ricevuti sono
dello stesso importo e riguardano gli stessi periodi d’imposta”;
– assai più articolate erano state, invece, le difese dispiegate
dall’ufficio in sede di accertamento prima ed in sede contenziosa
poi, ove era stata rappresentata l’anomalia della situazione fattuale
oggetto di verifica, facendosi rilevare – come l’Agenzia riporta

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indicata in fattura, richiedendosi, altresì, come detto, l’inerenza

puntualmente riproducendo l’avviso di accertamento ed il pvc in
ossequio al precetto dell’autosufficienza – che:

per tutte le operazioni fatturate vi era la

disponibilità di beni ceduti”

“mancanza di

da parte della cedente, dato che

risultava dalle stesse scritture di magazzino;
– esistevano “prospetti extracontabili” che, invece, riportavano gli

contabilizzazione delle cessioni;
– nello stesso arco temporale esistevano fatture emesse a favore
dell’originaria venditrice per cessioni di pari importo ai beni
acquistati, sì da “compensare esattamente il ricavo e l’imposta sul
valore aggiunto” precedentemente venutosi a creare;
– tutte le operazioni erano state compiute da società appartenenti
al medesimo gruppo;
– orbene, tali elementi tributano apparente consistenza all’assunto
fatto valere dall’ufficio – in particolare offrendo riscontro
documentale alla contestata oggettiva inesistenza delle operazioni
tanto più che erano avvenute tra società appartenenti al medesimo
gruppo, sicché doveva essere ben chiara la consistenza delle
rispettive disponibilità – e che la CTR ha invece inspiegabilmente
taciuto, astenendosi dal prendere su di essi ogni opportuna
determinazione ed, anzi, giustificando in termini irrelati e illogici le
operazioni stesse in funzione di riorganizzazione e ricostituzione
(comunque meramente apparente) delle scorte di magazzino, così
venendo meno all’obbligo di motivare il proprio convincimento in
maniera lineare e coerente ed esponendo perciò la decisione ad un
vulnus motivazionale che ne giustifica la cassazione;
– né rileva l’asserita mancanza di pregiudizio per l’erario, non
potendosi attribuire – in presenza di operazioni oggettivamente
inesistenti – alcuna incidenza neppure all’avvenuta corresponsione
dell’imposta formalmente indicata in fattura attesa la carenza di
inerenza delle operazioni (tanto più ove esse risultino solo in

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effettivi fatturato realizzati e da cui risultava omessa la

apparenza correlate all’attività d’impresa, con conseguente indebita
incidenza sul reddito imponibile);
– il secondo ed il terzo motivi restano conseguentemente assorbiti;
– in accoglimento del quarto motivo di ricorso, assorbito il secondo
e il terzo, rigettato il primo, la sentenza va cassata con rinvio,
anche per le spese di legittimità, innanzi alla CTR competente in

P.Q.M.
La Corte, accoglie il quarto motivo del ricorso, assorbito il secondo
e il terzo, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia,
anche per le spese di legittimità, alla Commissione Tributaria
Regionale dell’Umbria in diversa composizione.
Deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 10 ottobre 2017

diversa composizione;

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