Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30833 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 28/11/2018, (ud. 06/11/2018, dep. 28/11/2018), n.30833

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13214-2016 proposto da:

V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO MEDIATI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, V. CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA

CAPANNOLO, MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1542/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 24/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/11/2018 dal Presidente Relatore Dott. ADRIANA

DORONZO.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza pubblicata in data 24/11/2015, ha confermato, con diversa motivazione, la sentenza del Tribunale di Locri che ha rigettato la domanda proposta da V.A., diretta al riconoscimento dell’assegno mensile di assistenza, relativamente al periodo dall’ottobre 1987 al dicembre 2006;

la Corte territoriale ha ritenuto, sulla scorta dei dati e della documentazione sanitaria e in dissenso dalle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado, che lo stato di invalidità nella misura di legge si fosse conclamato solo a partire dal novembre 2010, e, conseguentemente, ha rigettato la domanda;

a fondamento del decisimi la Corte territoriale ha ritenuto erronea l’attribuzione da parte del CTU del codice diagnostico 1006 e il riconoscimento della misura massima della percentuale riconoscibile per il ritardo mentale medio (70% di invalidità), in presenza di una diagnosi di ritardo mentale lieve – formulata sia dalla commissione medica di primo grado nel 1987 (sicchè doveva ritenersi erronea la percentuale del 70% riconosciuta dalla stessa commissione, perchè incongrua rispetto al giudizio diagnostico) sia dalla unità operativa di medicina legale della AUSL (OMISSIS) del 22 agosto 2005 – a cui va attribuito un codice diagnostico con range di invalidità compreso tra il 41 e il 50%; ha rilevato che solo a seguito della visita del CTU avvenuta nel 2010 poteva dirsi constatato un peggioramento delle complessive condizioni psichiche della ricorrente, con un ritardo mentale moderato, tale da giustificare un giudizio di invalidità;

contro la sentenza la V.’ propone ricorso per cassazione e formula due motivi, cui resiste con controricorso l’Inps;

la proposta del relatore sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo di ricorso è fondato sull’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; il secondo motivo è fondato sulla violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e in particolare della L. n. 118 del 1971, artt. 6, 13 e 14, e del D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 9: la ricorrente assume che la Corte ha omesso di considerare che ella era affetta fin dalla nascita da arresto dello sviluppo psicofisico con note di mongolismo, limitando il suo accertamento alla sola patologia psichiatrica; la sussistenza del requisito sanitario nella percentuale di invalidità civile pari al 70% (sufficiente ratione temporis per il riconoscimento della prestazione) era stata accertata dalla Commissione medica per l’accertamento delle invalidità civili e, inoltre, non era stata oggetto di contestazione da parte dell’Inps, tanto che la prestazione era stata riconosciuta per il periodo 1/12/1983-31/10/1987;

i motivi sono inammissibili;

sotto il profilo della denuncia di violazione di legge, la ricorrente non indica quale affermazione della Corte territoriale sarebbe in contrasto con le norme di legge citate, o con l’interpretazione che delle stesse ne dà giurisprudenza di questa Corte o la dottrina dominanti (Cass. 15/01/2015, n.635; Cass.16/01/2007, n. 828), nè specifica quale errore di interpretazione o di qualificazione giuridica vi sarebbe stato, ma si limita a censurare l’apprezzamento che della documentazione sanitaria la Corte ha compiuto;

deve altresì precisarsi che, se è ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo vizi di violazione di legge e vizi di motivazione in fatto, è tuttavia necessario che sia reso palese su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica (Cass. 24/08/2017, n. 20335);

sotto questo profilo i motivi di ricorso risultano promiscui e indistinti; il ricorso difetta anche di specificità e autosufficienza, non avendo la parte trascritto, neppure nelle sue parti salienti, la consulenza tecnica d’ufficio e la documentazione sanitaria esaminate dal giudice di merito al fine di pervenire al giudizio di insussistenza, per il periodo in contestazione, della percentuale di invalidità necessaria per il riconoscimento del beneficio richiesto; tali documenti non risultano depositati unitamente al ricorso per cassazione;

la censura pertanto non solo non rispetta l’ onere imposto, a pena di inammissibilità del ricorso, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di evidenziare il contenuto del documento non esaminato o male interpretato dal giudice del merito, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, ma neppure l’onere di depositarlo previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, oneri prescritti al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (v. Cass., 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966; Cass. Sez. Un. 11/4/2012, n. 5698; Cass. SU 3/11/2011, n. 22726);

neppure sussiste il denunciato difetto di motivazione, ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modifiche in L. 7 agosto 2012 n. 134), applicabile al caso di specie per effetto della disposizione transitoria contenuta nello stesso art. 54, comma 3, secondo cui la norma si applica ai ricorsi per cassazione contro provvedimenti pubblicati dopo l’11 settembre 2012 (quindi al caso in esame);

le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un. 7 aprile 2014, nn. 8053, 8054) hanno precisato che, a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, secondo quello che è stato definito il “minimo costituzionale” della motivazione;

nel caso di specie non si è in presenza di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”, dal momento che la motivazione non solo è formalmente esistente come parte del documento, ma le argomentazioni sono svolte in modo assolutamente coerente, sì da consentire di individuare con chiarezza la “giustificazione del decisum”;

non è riscontrabile il denunciato “omesso esame” di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ove si consideri che è scomparso il termine motivazione e, pertanto, l’omesso esame deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

tale situazione non ricorre nel caso in esame, avendo la Corte espresso il suo giudizio sulla base e coerentemente alle risultanze istruttorie; le ragioni poste a fondamento del motivo di ricorso, in realtà, si risolvono in un mero dissenso rispetto alle valutazioni diagnostiche dell’ausiliario;

per contro, deve rilevarsi che le patologie oggetto della censura sono state tutte esaminate dal giudice del merito e la critica si rivolge unicamente al loro grado di incidenza sulla capacità lavorativa sul soggetto, che secondo la ricorrente sarebbe stata sempre compromessa e in quel grado in ragione del tipo di malattia, non suscettibile di miglioramenti; si tratta, tuttavia, di un’affermazione critica non sorretta da circostanze fattuali ma piuttosto fondata su una diversa valutazione degli elementi di prova esaminati dalla Corte territoriale;

il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile; nessun provvedimento sulle spese deve adottarsi in ragione della dichiarazione di esonero resa ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c.;

sussistono invece presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento dell’importo pari a quello versato per il contributo unificato, il cui presupposto è dato dal rigetto del ricorso, a prescindere da una formale condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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