Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30832 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. II, 26/11/2019, (ud. 18/12/2018, dep. 26/11/2019), n.30832

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubalda – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28906/2015 proposto da:

D.M.T., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Dei

Colli Portuensi 536, presso lo studio dell’avvocato Francesca Luisa

Revelli, rappresentata e difesa dall’avvocato Paolo Tateo;

– ricorrente –

contro

C.P., elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte

Delle Gioie 13, presso lo studio dell’avvocato Carolina Valensise,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Umberto

Sparano e Marcello Sparano;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2440/2015 della Corte d’appello di Milano,

depositata il 10/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2018 dal Consigliere Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– il presente giudizio trae origine dalla domanda di reintegra nel possesso di un immobile proposta nel settembre 2008 da D.M.T. nei confronti di C.P.;

– esponeva la ricorrente di occupare l’immobile in virtù di un rapporto di comodato instaurato con il proprietario C.D., detenzione che sarebbe divenuta comodato vita natural durante per effetto di una disposizione testamentaria, disposizione che però era negata dalla resistente figlia del defunto C.;

– ottenuta in via interdittale la reintegra, la D. aveva introdotto il giudizio di merito al fine di conseguire la declaratoria di illegittimità dello spoglio ed il conseguente risarcimento dei danni in forma specifica ovvero per equivalente pecuniario, stante il mancato godimento dell’immobile;

– si opponeva alla domanda la convenuta C. e all’esito del giudizio, il Tribunale di Vigevano dava atto dell’esistenza di un rapporto di comodato nel quale era subentrata in qualità di comodante la convenuta per effetto della successione mortis causa del padre C.D., con connessa facoltà di richiedere in qualsiasi momento la restituzione dell’immobile ai sensi dell’art. 1810 c.c., con l’unico onere di concedere un termine per il rilascio, termine che il giudice riteneva congruo in mesi sei;

– il tribunale riconosceva, inoltre, alla D. il risarcimento del danno nella misura di Euro 1800,00 pari ad Euro 300,00 per ogni mese in cui avrebbe potuto usufruire dell’unità immobiliare;

– proponeva appello la D. e, in via preliminare, chiedeva la sospensione del giudizio sino all’esito dell’altro dalla stessa promosso per fare accertare l’esistenza del testamento del C. contenente la disposizione in suo favore, in vista della riforma della sentenza di primo grado nella parte relativa alla liquidazione dei danni ed alle spese di giudizio;

– costituitasi l’appellata C., la Corte d’appello di Milano con la sentenza del 10/6/2015 respingeva l’appello e confermava la sentenza di primo grado sia in riferimento alla quantificazione dei danni, sia con riguardo alla mancata liquidazione di danni alla sfera psichica, ribadendo la relative mancata deduzione di prova;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dalla D. con ricorso tempestivamente notificato il 9/12/2015 ed articolato sulla base di 6 motivi, cui resiste la C. con controricorso notificato il 14/1/2016.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– con il primo motivo parte ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 345 c.p.c., per avere ritenuto inammissibile la domanda di sospensione del giudizio, non essendo la domanda preclusa dall’art. 345 c.p.c., trattandosi di mera eccezione processuale non assimilabile ad una domanda di merito;

– con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1168 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè la violazione degli art. 295 e 132 n. 4 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per avere la corte d’appello escluso il nesso di pregiudizialità fra il giudizio possessorio e quello di accertamento del legato testamentario proposto dalla D.;

– i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè attengono, seppure sotto angoli visuali diversi, al giudizio instaurato dalla D. per l’accertamento dell’asserita disposizione testamentaria a suo favore;

– le doglianze sono inammissibili perchè la corte d’appello ha posto a fondamento della decisione varie rationes decidendi: in primo luogo, la novità della questione dell’incidenza sulla tutela possessoria del non meglio specificato giudizio sulle volontà testamentarie del de cuius, in ordine al quale – ha osservato – non sarebbe stata effettuata alcuna produzione od indicazione (cfr. ultimo capoverso della prima pagina della motivazione);

– in secondo luogo, non vi sarebbe, secondo la corte distrettuale, alcun rapporto di pregiudizialità fra i due giudizi e in terzo luogo, la sospensione del merito possessorio sarebbe comunque inopportuna attesa la non definitività della decisione assunta nell’altro processo (cfr. terzo capoverso della motivazione della sentenza);

– ciò posto, occorre richiamare l’orientamento di questa Corte secondo cui ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (cfr. Cass. 18641/2017; id. 22752/2011);

– ebbene, poichè nel caso di specie non tutte le suddette rationes decidendi sono state attinte dai due motivi in esame, essendosi la ricorrente limitata a censurare la ritenuta inammissibilità della domanda di sospensione e, genericamente, l’esclusa pregiudizialità, senza attingere la ritenuta novità della questione e la concreta rilevanza della stessa per il giudizio possessorio, la conclusione non può che essere nel senso della loro inammissibilità;

– con il terzo motivo la ricorrente denuncia due distinti profili: con il primo, la violazione dell’art. 115 c.p.c., e art. 337 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la corte distrettuale respinto l’istanza di sospensione del giudizio nonostante la pendenza della causa pregiudiziale fosse stata riconosciuta dalla stessa controparte; con il secondo, si censura l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti e costituito dalla scrittura privata prodotta dalla D. che, sebbene non valida come testamento, indicava inequivocabilmente la volontà del de cuius C. di attribuire alla convivente D. l’uso di un’abitazione;

– il motivo è per, il primo profilo, inammissibile per quanto già osservato circa i primi due motivi sulla necessità di censurare tutte le rationes decidendi;

– per quanto concerne il secondo profilo, il motivo difetta di specificità giacchè, a fronte del mancato riferimento nella sentenza alla questione in esame, la ricorrente non trascrive il contenuto della scrittura nè precisa quando avrebbe sollevato il tema in oggetto (cfr. Cass. 1435/2013; id. 27568/2017);

– con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la corte d’appello escluso sia il danno patrimoniale, sia quello non patrimoniale, finendo così per far apparire incongruo e non inquadrabile l’indennizzo riconosciuto;

– il motivo è infondato perchè la corte d’appello si è espressa riconoscendo e motivando l’indennizzo di Euro 300,00 per ognuno dei sei mesi, assimilandolo ad una danno morale e così quantificando il termine che avrebbe dovuto essere concesso per il rilascio dell’immobile a seguito della richiesta di restituzione avanzata dalla comodante e che, invece, a seguito dell’accertato spoglio, non risulta essere stato assegnato alla comodataria;

– nessun altro danno è stato riconosciuto perchè il giudice d’appello ha escluso che la D. abbia sopportato oneri economici e ha evidenziato che la ricorrente si è limitata ad allegare il disagio per aver dormito a casa della figlia;

– con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 2056 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere – nel caso di ritenuta liquidazione del danno patrimoniale – la corte Milanese parametrato la liquidazione del danno al valore locativo di una ipotetica sistemazione abitativa, invece, che al valore locativo dello specifico immobile oggetto di spoglio;

– il quinto motivo è assorbito dall’infondatezza del quarto mezzo che ha riguardato anche la ritenuta inesistenza di un danno patrimoniale perchè la corte distrettuale non ha statuito come dalla ricorrente ipotizzato;

– con il sesto motivo si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto carente la prova del danno non patrimoniale nonostante le testimonianze della figlia della D. e del sig. H. dimostrassero il disagio patito;

– il motivo è inammissibile;

– infatti è stato ripetutamente chiarito che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola fissata da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (cfr. Cass. 11176/2017; id. 26769);

– nel caso di specie il giudice dell’appello ha ritenuto che ai fini della prova del danno non patrimoniale non fosse sufficiente il disagio risultante da tali testimonianze e tale discrezionale valutazione in fatto non configure un’ammissibile violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

– l’esito sfavorevole di tutti i motivi giustifica, dunque, il rigetto del ricorso e, in applicazione del principio di soccombenza, la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente come in dispositivo liquidate;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente che liquida in Euro 2200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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