Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30830 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 28/11/2018, (ud. 06/11/2018, dep. 28/11/2018), n.30830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12858-2016 proposto da:

D.L.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

MIRABELLO 6, presso lo studio dell’avvocato GRAZIELLA RUSSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA CLAUDIA GIORDANO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, V. CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1518/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 18/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata non partecipata del 06/11/2018 dal Presidente Relatore

Dott. ADRIANA DORONZO.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di appello di Messina, con la sentenza impugnata, ha accolto l’appello dell’Inps contro la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede che aveva riconosciuto il diritto di D.L.D. al ripristino della pensione di invalidità per ciechi civili revocatagli in data 1/1/1993 e, per l’effetto, ha rigettato la domanda da questo proposta; il giudice del gravame ha ritenuto necessario che l’erogazione della pensione resta subordinata al permanere in capo al soggetto beneficiario dello stato di bisogno, circostanza nella specie non provata;

per la cassazione ricorre il D.L., che articola due motivi, cui resiste l’INPS con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorrente si duole della violazione ed erronea applicazione della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 68, del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 10, come novellato dal D.L. n. 463 del 1983, artt. 6 e 8, dell’art. 12 disp. gen., dell’art. 2 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; si duole altresì, con il secondo motivo, della violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, come successivamente modificato, nonchè per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;

il ricorso è qualificabile come inammissibile alla luce della giurisprudenza di questa Corte in relazione alla portata applicativa dell’art. 360 bis c.p.c. (Cass. Sez. Un. n.7155/2017);

è incontestato che, nel caso in esame, il beneficio assistenziale è stato revocato d’ufficio per il venir meno del requisito reddituale con provvedimento del 12/11/1996 (prot. n. 8417/2) con decorrenza dal 1/1/1993, con il quale il prefetto ha riconosciuto all’odierno ricorrente la sola indennità di accompagnamento di cat. 15;

nel rigettare la domanda di ripristino della provvidenza la Corte di merito ha applicato principi conformi alla giurisprudenza di questa Corte, cui si ritiene di dare in questa sede giuridica continuità (principi ribaditi da Cass. 25/10/2013, n. 24192; Cass. 16133/2016, Cass. 11437/17 nonchè da Cass. ord. 16979/2017), secondo cui “La pensione non reversibile per i ciechi civili assoluti di cui alla L. n. 66 del 1962, art. 7, è erogata a condizione della permanenza in capo al beneficiano dello stato di bisogno economico, trattandosi di prestazione assistenziale rientrante nell’ambito di cui all’art. 38 Cost., comma 1, sicchè l’erogazione della prestazione cessa al superamento del limite di reddito previsto per la pensione di inabilità di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12, di conversione del D.L. n. 5 del 1971, dovendosi ritenere inapplicabili sia la L. n. 153 del 1969, art. 68, dettato per la pensione di invalidità erogata dall’INPS, sia il D.L. n. 463 del 1983, art. 8, comma 1 bis, conv. con modif. in L. n. 638 del 1983, che consentono l’erogazione della pensione INPS in favore dei ciechi che abbiano recuperato la capacità lavorativa, trattandosi di norme di stretta interpretazione, intese a favorire il reinserimento del pensionato cieco nel mondo del lavoro senza che subisca la perdita della pensione e il cui fondamento si rinviene nella diversa disposizione di cui all’art. 38 Cost., comma 2, e dunque, insuscettibili di applicazione analogica”;

si richiamano per intero le argomentazioni espresse nelle su citate pronunce di legittimità, anche sotto il profilo della compatibilità costituzionale dei trattamenti legislativi differenti in relazione ai quali va esclusa ogni violazione del principio costituzionale di uguaglianza;

il secondo motivo è del pari inammissibile sia perchè la parte non indica quale affermazione della corte territoriale sarebbe in contrasto con le norme di diritto indicate in rubrica, sia perchè non specifica quale sarebbe il fatto storico non esaminato dalla corte territoriale, ove si consideri che il decreto prefettizio della cui omessa considerazione la parte si duole è stato posto a base della decisione impugnata, costituendo il presupposto in forza del quale il ricorrente ha agito, come si è esposto nella parte narrativa della presente sentenza;

le spese del presente giudizio di legittimità devono essere poste a carico del ricorrente, in applicazione del criterio della soccombenza,, e non essendo possibile disporre l’esonero ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., in mancanza di idonea dichiarazione resa a tal fine;

essendo stato ili ricorso notificato in data successiva a quella di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2000,00 per compensi professionali, oltre al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15% e agli altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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