Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30827 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. I, 28/11/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 28/11/2018), n.30827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29850/2015 proposto da:

(OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, in persona del liquidatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Buccari n. 3, presso

lo studio dell’avvocato Forti Bruno, rappresentata e difesa

dall’avvocato Vespoli Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banco di Napoli S.p.a., già Sanpaolo Banco di Napoli S.p.a., in

persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma,

Via Velletri n. 21, presso lo studio dell’avvocato Mazzeo Lorenzo,

che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, già Officine Pelli

S.p.a., in persona dei curatori avv. D.L.M. e Dott.

V.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via XX Settembre n. 3,

presso lo studio dell’avvocato Sandulli Federica, che lo rappresenta

e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonchè

Penelope SPV S.r.l., che ha acquistato parte dei crediti del Banco di

Napoli S.p.a., in persona dell’Amministratore Unico società Biade

Management S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Velletri n.21, presso lo

studio dell’avvocato Mazzeo Lorenzo, che la rappresenta e difende,

giusta procura in calce all’atto di intervento;

– interveniente –

avverso la sentenza n. 225/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/10/2018 dal Cons. Dott. DI VIRGILIO ROSA MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 23/10 – 16/11/2015, ha respinto il reclamo proposto dalla (OMISSIS) srl in liquidazione avverso la sentenza del Tribunale di Napoli depositata il 1/4/2015, dichiarativa di fallimento della società, a seguito di ricorso presentato dalla creditrice Banco di Napoli spa.

Nello specifico e per quanto ancora rileva, la Corte del merito, premesso che l’esistenza e la titolarità del credito dell’istante Banco di Napoli non costituiva l’oggetto del procedimento, ma solo il presupposto di legittimazione alla presentazione del ricorso L. Fall., ex art. 6, ha ritenuto la legittimazione attiva della creditrice istante, vantando questa un credito portato da decreto ingiuntivo, per quanto non dichiarato esecutivo e contestato anche giudizialmente, oltre che riconosciuto nell’atto di transazione sottoscritto in previsione della presentazione della domanda di concordato preventivo o di ristrutturazione dei debiti.

Quanto alla valutazione dello stato di insolvenza, la Corte partenopea ha ritenuto di non dovere considerare a riguardo lo stato di liquidazione, dato che la messa in liquidazione era avvenuta l’11/2/2015, dopo il deposito del ricorso per fallimento, e la relativa delibera era stata iscritta al registro delle imprese il 1/4/2015, contestualmente alla data di deposito della sentenza di fallimento; ha motivatamente dato atto che non si palesavano manifestamente infondate prima facie le contestazioni della debitrice in relazione ai crediti del Banco di Napoli e di Unicredit per l’indebita applicazione di interessi extralegali non convenuti, delle commissioni di massimo scoperto e per la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi senza condizione di reciprocità, contestazioni che non erano state considerate infondate neppure dai curatori, tanto che la curatela aveva provveduto a riassumere i giudizi pendenti, interrotti a seguito della dichiarazione di fallimento; ha ritenuto di dovere comunque concludere per lo stato di insolvenza della società, atteso che nonostante l’incasso dei fitti per circa 500.000,00 Euro annui, la stessa, a far data da fine dicembre 2014, non era stata più in grado di adempiere ai pagamenti rateali convenuti con i dipendenti e con l’Erario, coi quali aveva stipulato patti di dilazione (la società aveva arrestato già a dicembre 2014 ogni pagamento verso i dipendenti, salvo pagare integralmente il solo dipendente che aveva promosso azione esecutiva; quanto all’Erario, dalla documentazione agli atti risultavano interrotti da dicembre 2014 i pagamenti dilazionati ben prima della dichiarazione di fallimento e alcuni effettuati in ritardo); che pertanto la presenza di un rilevante patrimonio immobiliare e il reddito dallo stesso prodotto non erano stati sufficienti a consentire il rispetto degli impegni assunti ed il pagamento dei debiti in scadenza. Ricorre avverso detta pronuncia la società (OMISSIS) srl in liquidazione, con ricorso affidato a tre motivi.

Si difendono il Fallimento ed il Banco di Napoli con separati controricorsi.

La ricorrente ed il Fallimento hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1. c.p.c..

In prossimità dell’adunanza camerale, è intervenuta la società Penelope SPV srl, facendo valere la propria qualità di successore ex art. 111 c.p.c., in quanto cessionaria dei crediti del Banco di Napoli.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In limine, va ritenuto inammissibile l’intervento ex art. 111 c.p.c., spiegato dalla soc. Penelope SPV srl, atteso il principio enunciato, tra le ultime, nelle pronunce del 7/6/2016, n. 11638 e del 6/10/2017, secondo il quale il successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c., può intervenire nel giudizio di legittimità, per esercitare il potere di azione che gli deriva dall’acquistata titolarità del diritto controverso, quando non sia costituito il dante causa, altrimenti determinandosi un’ingiustificata lesione del suo diritto di difesa.

2. Col primo motivo, la ricorrente denuncia il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3, per la violazione della L. Fall., art. 6,artt. 2697,1241,1243,1249 c.c. e art. 100 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione, sostenendo che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto la legittimazione ad agire del Banco di Napoli, unico creditore ricorrente, il cui buon diritto assurge ad elemento costitutivo dell’azione, dato che la stessa Corte, con accertamento di merito insindacabile, ha concluso per l’insussistenza del preteso credito del Banco di Napoli; denuncia che erroneamente la sentenza impugnata ha valutato l’esistenza di detto credito incidenter tantum ai soli fini dell’accertamento dello stato di insolvenza, mentre ne ha negato la debenza e che la Corte del merito ha finito col provvedere all’accertamento dell’insolvenza ex officio o a seguito della presentazione di ricorso da parte di soggetto non creditore, come pure accertato dalla stessa Corte.

Il motivo, farraginosamente costruito ed argomentato, è manifestamente infondato, per i rilievi che si vanno ad esporre.

E’ stato più volte affermato da questa Corte che in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, la L. Fall., art. 6,laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (in tal senso la pronuncia Sez. U. 23/1/2013, n. 1521, e in senso conforme le pronunce della sez.I, 22/5/2014, n. 11421, 15/1/2015, n. 576); e, come affermato nella pronuncia 16751/2013, “il nuovo procedimento per la dichiarazione di fallimento non prevede alcuna iniziativa d’ufficio, ma dispone alla L. Fall., art. 6, che l’iniziativa provenga dal debitore, da uno o più creditori o dal pubblico ministero, così prevedendosi l’iniziativa di parte, definita efficacemente dalla dottrina come motore essenziale del procedimento prefallimentare… la giurisprudenza e la dottrina si sono interessate della individuazione del soggetto a cui fa riferimento la norma, quale creditore, senza alcuna specificazione ulteriore, e quindi come colui che vanta un credito nei confronti dell’imprenditore, non necessariamente certo, liquido, esigibile, ma anche non ancora scaduto o condizionale, non ancora munito di titolo esecutivo, sia pure idoneo in prospettiva a giustificare un’azione esecutiva (in tali termini, la pronuncia 3472/2011), e che deve essere oggetto dell’imprescindibile delibazione incidentale del giudice fallimentare (così le pronunce 24309/2011 e, resa dalle S.U., la 1521/2013), proprio in quanto non esiste più l’iniziativa d’ufficio…”.

Ne consegue che le contestazioni pendenti sul credito non precludono la valutazione della sussistenza della legittimazione da parte del creditore L. Fall., ex art. 6, alla stregua della valutazione incidentale che concluda positivamente per il riconoscimento non del credito in sè, ma della qualità di creditore, mentre il fatto che il credito debba ridursi o compensarsi con controcrediti incide sulla valutazione dello stato di insolvenza, come correttamente ritenuto dalla Corte partenopea.

Nè, infine, può ritenersi che nel caso sia avvenuta d’ufficio la dichiarazione di fallimento.

3. Col secondo motivo, prospettato in rubrica quale denuncia dei vizi ex art. 360 c.p.c., n. 3 (violazione della L. Fall., artt. 5e 6, art. 2484 c.c., comma 3, artt. 2485,2486,2487 bis c.c., ar. 2697 c.c., art. 115 c.p.c.) e n. 5 (motivazione contraddittoria, omessa e/o erronea valutazione dello stato di scioglimento e di liquidazione della società), la ricorrente deduce che: era pacifico ed incontestato lo stato di liquidazione sin dalla fase prefallimentare, era stata richiesta l’iscrizione della delibera assembleare di messa in liquidazione il giorno successivo alla delibera, l’iscrizione era antecedente cronologicamente al deposito della sentenza di fallimento, non vi era stata alcuna contestazione sullo stato di liquidazione, gli effetti dello scioglimento, anche ad aderire alla tesi della natura costitutiva dell’iscrizione nel registro delle imprese, si erano già prodotti alla data di deposito della sentenza di fallimento, nè può addossarsi alla parte il malfunzionamento dell’ufficio.

Nel resto, la ricorrente deduce che non sussisteva lo stato di insolvenza, essendo la società in grado di far fronte ai propri impegni procedendo alla liquidazione del proprio ingente patrimonio, valutato prudenzialmente nel bilancio al 1/4/2015 in Euro 8.897.606,00 e ristrutturando i debiti, per la gran parte anche contestati (e riproduce quanto già esposto in appello come si desume dal riferimento alla Corte del merito a pag. 63, al Tribunale alle pag. 67, 69); che la Corte del merito si sarebbe dovuta limitare a verificare” la capacità degli elementi attivi del patrimonio sociale all’uguale ed integrale soddisfazione dei creditori sociali (il valore di liquidazione finale)”, mentre ha omesso di valutare la circostanza decisiva, ricavabile dal bilancio di liquidazione al 28/2/2015, allegato in primo grado, che, detratto dall’attivo il passivo, residua un patrimonio netto positivo di Euro 356.396,00; deduce la mancanza degli elementi indicatori dello stato di dissesto, protesti, procedure esecutive mobiliari ed immobiliari.

Il motivo è infondato.

E’ sufficiente rilevare l’infondatezza della tesi della ricorrente, secondo cui avrebbe efficacia dichiarativa l’iscrizione nel registro delle Imprese dato che è chiara la portata precettiva dell’art. 2484 c.c., comma 3, nella parte in cui dispone:” gli effetti dello scioglimento si determinano, nelle ipotesi previste dai nn. 1), 2), 3), 4) e 5) del comma 1, dalla data di iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa e, nell’ipotesi prevista dal n. 6) del medesimo comma, alla data dell’iscrizione della relativa deliberazione.”(e vedi sul punto la pronuncia 26/7/2013, n. 18124).

E nel caso, la sentenza di fallimento è stata depositata il 1/4/2015, alla stessa data dell’iscrizione nel Registro delle Imprese della delibera di scioglimento, di talchè correttamente è stata valutata la sussistenza dello stato di insolvenza, considerandosi la società attiva e non già in stato di liquidazione alla data della dichiarazione di fallimento.

Nè può assumere un qualche fondamento la doglianza della ricorrente, in relazione al ritardo nell’iscrizione, dato che, nei fatti, la delibera di liquidazione è successiva al deposito del ricorso per fallimento e la contestualità tra iscrizione e deposito della sentenza farebbe propendere per un uso strumentale della delibera.

4. Col terzo motivo, la ricorrente denuncia l’insussistenza dello stato di insolvenza, ed il vizio motivazionale, allegando che i pagamenti ai dipendenti e ad Equitalia in base ai piani di rientro erano stati interrotti ma prudenzialmente, a seguito della notifica del ricorso per fallimento del 9/1/2015; che le valutazioni della Corte del merito non hanno tenuto conto, quanto al debito tributario, delle modifiche introdotte dal D.L. n. 69 del 2013 e, per la rateizzazione dei debiti con i lavoratori, del fatto che spettava ai creditori valutare la gravità dell’eventuale inadempimento.

Il motivo è sostanzialmente inammissibile, atteso che con lo stesso la parte intende ottenere una rivalutazione dei dati di fatto, motivatamente esaminati dalla Corte d’appello per giungere alla conclusione della sussistenza dello stato di insolvenza; nè la Corte d’appello ha travalicato i limiti di quanto dedotto e fatto valere nella fase prefallimentare e fallimentare, esprimendo il proprio giudizio sul punto alla stregua di quanto agli atti.

Si veda a riguardo il principio affermato nella pronuncia n. 7252 del 27/03/2014, secondo cui lo stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell’imprenditore non è escluso dalla circostanza che l’attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili; in particolare, il significato oggettivo dell’insolvenza, che è quello rilevante agli effetti della L. Fall., art. 5, deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all’esercizio di attività economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonchè nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio; ed il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta.

Nel resto, va rilevato che nella specie si applica l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis), che esclude la sindacabilità della correttezza logica della motivazione sotto il profilo della sua insufficienza o contraddittorietà, potendo ora denunciarsi in cassazione solo l’omesso esame di un fatto storico (principale o secondario, purchè risultante dal testo della sentenza o dagli atti processuali) che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, mentre l’omessa motivazione (se risultante dal testo della sentenza, senza necessità di confronto con le risultanze processuali) viene parametrata ad un “minimo costituzionale”, esaurendosi nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053 e n. 9032 del 2014; cfr. Cass. n. 7472 del 2017); ferma restando, in ogni caso, l’impossibilità di censurare in sede di legittimità la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione, attraverso di esse, della fattispecie concreta, trattandosi di compito pacificamente riservato al giudice di merito.

5. Conclusivamente, va respinto il ricorso; la ricorrente va condannata alle spese nei confronti del Banco di Napoli e del Fallimento, mentre, stante la natura processuale della decisione resa nei confronti della Penelope SPV, vanno compensate le spese nei rapporti tra detta parte e la ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate a favore di ciascuno dei controricorrenti Banco di Napoli spa e Fallimento (OMISSIS) srl in liquidazione in Euro 7000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge; compensa le spese nei rapporti con l’interveniente Penelope SPV.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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