Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30826 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. I, 28/11/2018, (ud. 24/10/2018, dep. 28/11/2018), n.30826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16262/2017 proposto da:

M.T., elettivamente domiciliato in Roma, Via Trionfale n.

6551, presso lo studio dell’avvocato Ruo Maria Giovanna,

rappresentato e difeso dall’avvocato Currò Carmela, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.R.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via degli Scipioni

n. 9, presso lo studio dell’avvocato Fiore Giovanna, rappresentata e

difesa dall’avvocato Sala Federico, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MILANO del 19/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/10/2018 dal cons. IOFRIDA GIULIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che concluso per il rigetto;

udito, per il ricorrente, l’avvocato Ratiglia Stefano, con delega,

che ha chiesto l’accoglimento;

udito, per il controricorrente, l’avvocato Sala Federico, che ha

chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con decreto del 19/01/2017, pronunciato in un giudizio promosso, dinanzi al Tribunale per i minorenni di Milano, da M.T., padre della minore M., nata il (OMISSIS), nei confronti di L.R.A., ex convivente dei ricorrente e madre della minore, al fine di sentire adottare i provvedimenti volti a consentire il regolare esercizio della potestà genitoriale, ha, in sede di reclamo avverso il decreto definitivo del Tribunale, confermato la statuizione di affidamento esclusivo della minore alla madre, con sospensione, allo stato, dei rapporti della minore con il padre (salvo incarico ai Servizi Sociali di attivare un intervento di supporto psicologico a favore della minore), e riformato parzialmente quella relativa all’entità del contributo al mantenimento della stessa a carico del padre, fissandolo, con decorrenza dalla mensilità di giugno 2016 (ferma la pregressa statuizione fino a quella data), nell’importo mensile di Euro 450,00, in luogo di quello di Euro 600,00, tenuto conto della contrazione dei redditi del padre, intervenuta nelle more del giudizio.

In particolare, la Corte distrettuale, all’esito di un incarico affidato ai Servizi Sociali del Comune di Milano, al fine di avviare i genitori ad un percorso di mediazione familiare, e di una relazione aggiornata depositata, nel dicembre 2016, dagli stessi (dalla quale emergeva, oltre all’incapacità dei genitori di vivere in termini costruttivi la loro conflittualità “perchè incapaci di comunicare nell’interesse della figlia”, il persistere del rifiuto della minore, sentita dai giudici in primo grado, nel maggio 2014, e dagli operatori dei Servizi Sociali, anche ne corso dell’appello, di relazionarsi con il padre, giudicato dalla stessa “una figura del tutto marginale alla sua crescita proprio perchè, in passato,… non si sarebbe mai interessato di lei nè sotto l’aspetto scolastico nè dal punto di vista socio-relazionale e sanitario”, rifiuto da ricollegare, stante i multipli interventi di supporto degli operatori sociali, unicamente alla “difficoltà dei genitori di farsi aiutare nella valorizzazione delle proprie funzioni genitoriali”), ha ritenuto di dovere confermare (anche in assenza di specifici motivi di reclamo sul punto ed in difetto comunque di elementi di grave pregiudizio all’interesse della minore tali da giustificare una modifica ufficiosa) l’affidamento in via esclusiva alla madre della minore, orma; adolescente ed inserita stabilmente nel nuovo nucleo famigliare costituito dalla L.R. e dal suo nuovo compagno. La Corte ha anche confermato, di conseguenza, l’incarico ai Servizi Sociali di avviare un programma di supporto psicologico in favore della minore, ribadendo che, nel persistere dell’accesa conflittualità tra i genitori, la stessa “deve trovare un luogo di ascolto dove le istanze emotive possano essere accolte da persona terza”, auspicando che i genitori valutassero l'”opportunità di costruire responsabili relazioni, attraverso quel percorso suggerito e che, ad oggi, non potranno che attivare in prima persona”.

Avverso il suddetto decreto, M.T. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della L.R. (che resiste con controricorso, anche eccependo l’inammissibilità del ricorso, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione). La controricorrente ha depositato memoria. Il ricorrente ha, del pari, depositato memoria, tardivamente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del disposto di cui all’art. 337 ter c.p.c., avendo la Corte d’appello violato il diritto della minore alla bigenitorialità e ad intrattenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori e quindi anche con il padre, ai fini dell’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale, deducendo, in particolare, che, nei precedenti gradi di merito, non erano stati adottati interventi necessari, svolte indagini (con consulenza tecnica e/o audizione della minore) sulle cause del rifiuto manifestato dalla figlia (da ascrivere ad un atteggiamento non collaborativo della madre ed alla scelta unilaterale della stessa di trasferirsi con la minore, nel 2009, dalla Sicilia a Milano) nè attuate misure specifiche dirette a ristabilire i contatti con il padre. Con il secondo motivo, si lamenta poi la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 709 ter c.p.c., per non avere la Corte d’appello adottato i necessari provvedimenti, di coercizione indiretta, nei confronti della L.R., alla luce della semplicistica ed “insufficiente motivazione” in ordine alla ascrivibilità ad entrambi i genitori di condotte censurabili, avendo dimostrato di “non volere mettere in gioco le proprie responsabilità educative”.

2. Preliminarmente, risulta inammissibile la produzione documentale, effettuata dalla controricorrente unitamente alla memoria ex art. 378 c.p.c.. Invero, come già affermato da questa Corte (Cass. 2431/1995; Cass. 6656/2004; Cass. 7515/2011), “nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero nullità inficianti direttamente la sentenza impugnata, nel quale caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369, con la conseguenza che ne è inammissibile la produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’art. 378”.

3. Sempre preliminarmente il ricorso per cassazione è ammissibile, alla luce dell’orientamento nettamente prevalente di questa sezione così sintetizzato nella massima che segue: “Il decreto della corte di appello, contenente provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio – ma principio ormai estensibile anche a quelli adottati nei riguardi dei figli nati fuori dal matrimonio – e le disposizioni relative al loro mantenimento, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., poichè già nel vigore della L. 8 febbraio 2006, n. 54 – che tendeva ad assimilare la posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio – ed a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 – che ha abolito ogni distinzione – al predetto decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, in quanto risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di definitività, perchè ha un’efficacia assimilabile “rebus sic stantibus” a quella del giudicato” (Cass. 6132 del 2015 cui è seguita 18194 del 2015; Cass. 6919/2016; Cass. 3192/2017; Cass. 11554/2018).

Peraltro, deve evidenziarsi l’evoluzione dell’orientamento di questa sezione anche in ordine all’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso provvedimenti aventi esclusivamente contenuto limitativo o di decadenza della responsabilità genitoriale (artt. 330 e 333 c.c.).

Al riguardo, deve ritenersi superato l’orientamento negativo (Cass. 15341 del 2012; 24477 del 2015) in favore dell’ammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost., anche per questa specifica tipologia di provvedimenti quando non interlocutori o aventi soltanto efficacia provvisoria ed endoprocessuale (Cass. 1743 e 1746 del 2016 in motivazione e la più recente ed articolata pronuncia n. 23633 del 2016; conf. Cass. n. 12650/015; Cass. n. 3192/2017).

4. Tanto premesso, il primo motivo è infondato.

Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.(cfr., in tal senso, Cass. nn. 16698 e 7394 del 2010, oltre che, in motivazione, Cass. nn. 24054 e 22707 del 2017).

Il suddetto vizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere quindi dedotto, a pena di inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. 24 novembre 2016, n. 24298; Cass. 8 marzo 2007, n. 5353).

In generale, poi, in tema di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, questa Corte ha avuto modo di affermare che alla regola dell’affidamento condiviso può derogarsi soltanto se la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore, precisando che ai fini dell’affidamento esclusivo non è sufficiente la mera considerazione della distanza oggettiva esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, la quale può incidere esclusivamente sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascuno di essi, o della conflittualità che caratterizza i rapporti tra gli stessi, ma occorre una specifica motivazione che tenga conto in positivo della capacità educativa del genitore affidatario ed in negativo dell’inidoneità o delle manifeste carenze dell’altro genitore (cfr. Cass., Sez. 1, 17/01/2017, n. 977; 17/12/2009, n. 26587; 18/06/2008, n. 16593; Cass., Sez. 6, 2/12/2010, n. 24526). La realizzazione della cd. bigenitorialità, quale presenza comune di entrambe le figure parentali nella vita del figlio e cooperazione delle stesse nell’adempimento dei doveri di assistenza, educazione ed istruzione, non comporta necessariamente una determinazione paritetica del tempo da trascorrere con il minore, risultando invece sufficiente la previsione di modalità di frequentazione tali da garantire il mantenimento di una stabile consuetudine di vita e di salde relazioni affettive con il genitore.

Ora, nella fattispecie, la Corte d’appello ha espresso le sue motivazioni nel senso sopra esposto, confermando, per quanto qui interessa, la statuizione del Tribunale per i minorenni, di affidamento esclusivo della minore alla madre, con sospensione, allo stato, dei rapporti della minore con il padre (salvo incarico ai Servizi Sociali di attivare un intervento di supporto psicologico a favore della minore), alla luce del manifestato rifiuto da parte della medesima (quasi quattordicenne, all’epoca dell’ultimo ascolto da parte dei Servizi Sociali), che necessita ancora “di uno spazio di rielaborazione dei vissuti interiori rispetto alla figura paterna”, da attuare attraverso il supporto psicologico offerto dal Servizio Sociale incaricato. Indubbiamente, si tratta di valutazioni di merito che hanno tenuto conto della complessiva condotta di ciascuna delle odierne partì (e del giudizio di incapacità di entrambi di comprendere i reciproci bisogni e di creare relazioni serene tra essi stessi nell’interesse della figlia).

Il ricorrente, denunciando vizi di violazioni di legge del decreto impugnato, oltre alla prospettazione di questioni di mero fatto (i descritti episodi dimostrativi dell’atteggiamento ostativo assunto dalla madre, cui soltanto deve ascriversi il rifiuto manifestato dalla minore, ormai adolescente, della figura paterna), non censurabili in questa sede, non essendo consentito trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di reclamo – non condivise e per ciò solo censurate – ai fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (cfr., tra le più recenti, Cass. 4 aprile 2017, n. 8758), si lamenta essenzialmente della conferma del provvedimento del Tribunale di “sospensione temporanea” del diritto di visita della minore con il padre (non dolendosi direttamente dell’affidamento in via esclusiva alla madre).

Non risulta anzitutto pertinente il richiamo a quanto affermato da questa Corte nella pronuncia n. 6919/2016 (“In tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena”), considerato che la ratio decidendi della sentenza qui impugnata prescinde dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della sindrome suddetta (PAS) e che, nel precedente invocato, questa Corte accolse il ricorso, rilevando una acritica adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio.

Orbene, la decisione della Corte d’appello, che tiene conto di una situazione di fatto, venutasi indubbiamente a creare anche per effetto della lontananza tra il luogo di residenza della minore con la madre e quello ove ha continuato a vivere il padre, oltre che per l’incapacità manifestata dei genitori di risolvere la persistente conflittualità interna nell’interesse di un sereno sviluppo della figlia ormai adolescente, ha confermato la statuizione di primo grado di temporanea sospensione del diritto di visita del padre, in attesa del completamento del percorso individuale di crescita della minore, attraverso il supporto psicologico offerto dai Servizi Sociali. Emerge, indubbiamente, nella decisione della Corte distrettuale un giudizio critico sul comportamento dei genitori e sulla incapacità degli stessi di elaborare un processo di superamento della conflittualità interna, al fine di instaurare tra di loro “responsabili relazioni”, nel solo interesse della minore ad una crescita equilibrata ed ad un rapporto sereno con entrambe le figure genitoriali (e quindi anche del confronto con la figura paterna).

La critica presente in ricorso, al di là dei riferimenti all’art. 8 della CEDU – il quale, nell’imporre alle autorità nazionali il dovere di compiere ogni tentativo possibile per agevolare la conservazione o il ripristino di una congrua ed assidua frequentazione tra il minore ed li genitore non collocatario, anche nel caso in cui sussista una considerevole distanza tra il luogo di residenza di quest’ultimo e quello in cui risiede l’altro genitore, non impedisce alle stesse di conformare l’esercizio del diritto di visita secondo le modalità più idonee ad assicurare un sereno ed equilibrato svolgimento dell’esistenza dei minore -, a fronte di provvedimenti, in primo ed in secondo grado, che hanno accertato il rifiuto, allo stato, della minore di incontrare il padre, a seguito di un vissuto di otto anni e di una costante osservazione della stessa, rifiuto definito “non forzabile” (in quanto interventi coattivi sortirebbero inevitabili effetti controproducenti, pregiudicando l’equilibrio psico-emotivo della minore), non coglie profili di effettiva illegittimità della decisione impugnata.

5. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto, al di là del richiamo, in rubrica, ad un vizio di violazione di legge, prospetta, in realtà, un vizio di insufficienza motivazionale, non più censurabile in questa sede di legittimità.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Alla luce dell’ampliamento del perimetro della compensazione delle spese (rispetto alla riduzione effettuata dal legislatore nel 2014) conseguente alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 77/2018, atteso l’oggetto del contendere e tenuto conto di tutte le peculiarità del giudizio, sussistono le condizioni per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; dichiara integramente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che il processo risulta esente.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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