Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30824 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. I, 28/11/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 28/11/2018), n.30824

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25480/2013 proposto da:

A.M., A.L., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Orazio n. 3, presso lo studio dell’avvocato Faccini

Roberto, rappresentati e difesi dall’avvocato Barbato Enrico, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore Dott.ssa

M.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Lucrezio Caro n. 62,

presso lo studio dell’avvocato Ciccotti Sabina, rappresentato e

difeso dall’avvocato Padovan Giuseppe, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

Banca Popolare di Marostica S.c.a.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 652/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 25/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/09/2018 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

che:

la corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 25-3-2013 (integrata e corretta per un’omissione materiale il 14-6-2013), parzialmente riformando la decisione di primo grado, condannava A.M. a pagare alla curatela del fallimento di (OMISSIS) s.r.l. la somma di Euro 45.874,37, oltre interessi; dichiarava inoltre l’inefficacia relativa, ai sensi dell’art. 2901 c.c., di un atto di donazione immobiliare stipulato dal medesimo A., dopo il fallimento, in favore dei figli L., M. e S.;

onde motivare la decisione, la corte d’appello osservava che prima del fallimento (avvenuto nell’anno 2000) la società (OMISSIS) e la ditta individuale di A. ((OMISSIS)) avevano operato in regime di consapevole promiscuità, ponendo in essere fatturazioni di prestazioni in favore di clienti da cui era scaturito il credito oggetto della domanda; in particolare i documenti contabili (i partitari) – e della società e della ditta individuale – avevano evidenziato il debito della seconda e il corrispondente credito della prima;

anche ai fini dell’accoglimento del gravame incidentale della curatela, soggiungeva che non poteva aver seguito l’eccezione di compensazione prospettata dal convenuto in relazione al controcredito ammesso al passivo del fallimento, poichè non era stata investita da appello la statuizione del primo giudice in ordine alla qualificazione dell’azione svolta dalla curatela à sensi della L. Fall., art. 64; per cui il credito derivante dall’accoglimento di tale azione non era maturato nei confronti (rectius, in favore) della fallita ma della massa dei creditori;

quanto alla revocatoria della donazione, la corte d’appello premetteva che la relativa domanda, diversamente da quanto paventato da A., non era stata abbandonata e che il suo fondamento doveva apprezzarsi in considerazione del pregiudizio connesso all’atto, stante la maggiore difficoltà dell’eventuale esazione coattiva del credito nell’ambito della procedura esecutiva sul patrimonio residuo del debitore;

A.M. e il figlio L. hanno proposto ricorso per cassazione deducendo sei motivi, illustrati da memoria;

la curatela fallimentare ha replicato con controricorso;

non ha svolto difese la Banca popolare di Marostica.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo i ricorrenti denunziano l’omesso esame dell’eccezione di compensazione tra il debito sorto a seguito dell’azione della curatela e il credito di A.M. ammesso al passivo del fallimento, con conseguente violazione altresì degli artt. 277 e 359 c.p.c.;

il motivo è infondato;

non è stata sottoposta a censura l’affermazione previa con la quale la corte territoriale ha detto coperta da giudicato (perchè non impugnata in appello) la statuizione di primo grado in ordine alla qualificazione della domanda del fallimento, accolta ai sensi della L. Fall., art. 64: in tale affermazione è da rinvenire giustappunto la disamina che erroneamente i ricorrenti assumono omessa, e tanto risolve ogni questione, visto che implicitamente (e correttamente) postula l’insussistenza nella fattispecie dei presupposti della L. Fall., art. 56; difatti nella prospettiva della declaratoria L. Fall., ex art. 64, l’inefficacia dell’atto ha carattere necessario e oggettivo, e opera automaticamente; per cui, in esito all’inefficacia, il debito restitutorio non corrisponde a un credito del fallito, poichè quel debito nasce direttamente nei confronti dei creditori concorsuali; e a esso non può essere opposta la compensazione con crediti vantati verso il fallito, ancorchè ammessi al passivo, perchè la compensazione è consentita solo tra i debiti e i crediti verso il fallito stesso (cfr. Cass. n. 2912-00);

col secondo motivo i ricorrenti censurano la decisione nella parte relativa alla prova del credito vantato ex adverso, desunta dalla contabilità della società, da un lato, e da quella della ditta individuale, dall’altro; si assume non esservi stata adeguata considerazione della circostanza che A. si era detto vittima di altrui comportamenti criminosi;

a tal riguardo si deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., sulla rilevanza della prova e sul criterio logico sotteso alla decisione;

il motivo è inammissibile poichè, sotto spoglie di censura in iure, si risolve in un chiaro tentativo di revisione del giudizio di merito, oltre tutto mediante menzione di elementi e deduzioni che dalla sentenza non emergono;

col terzo motivo i ricorrenti denunziano la violazione delle norme sulla valutazione della prova con riguardo all’importo della condanna;

anche il terzo motivo è inammissibile per analoga ragione: i ricorrenti non ascrivono in verità alla corte territoriale alcun errore di diritto circa i criteri valutativi della prova, ma assumono che i documenti all’uopo considerati non consentivano di ritenere provato che la società avesse in effetti pagato debiti della ditta individuale; tale critica si risolve in un diverso apprezzamento dei fatti, notoriamente insuscettibile di essere prospettato in sede di legittimità;

col quarto mezzo si eccepisce la violazione o falsa applicazione degli artt. 180 e 183 c.p.c., in quanto la curatela aveva rinunciato – si dice – all’azione revocatoria dell’atto di donazione non avendola indicata nelle corrispondenti memorie, sicchè la corte territoriale avrebbe infine pronunciato ultra petita;

il motivo è infondato, poichè dalla stessa esposizione di parte ricorrente si evince che la domanda in questione era stata riproposta anche al momento della precisazione delle conclusioni dinanzi al tribunale (v. Cass. n. 1586014, Cass. n. 17875-15); non può sostenersi che la mancata menzione della domanda nelle (sole) memorie intermedie (artt. 180 e 183 c.p.c.) equivalga a una presunzione di abbandono; difatti affinchè una domanda possa ritenersi abbandonata dalla parte è necessario che dalla valutazione complessiva della condotta processuale, radicata nei momenti appositamente destinati alla formulazione delle pretese, emerga una volontà inequivoca di non insistere sulla stessa;

col quinto motivo i ricorrenti denunziano l’errata applicazione dell’art. 2901 c.c., a proposito dell’atto di donazione trascritto in data 14/8/2003, per la revocatoria del quale sarebbe stata necessaria la prova di un “dolo specifico”;

il motivo è infondato;

la dolosa preordinazione (scientia o consilium fraudis) è infatti prevista dall’art. 2901 c.c., solo per l’atto anteriore al sorgere del credito;

nel caso di specie non l’atto di donazione, ma il credito, a presidio del quale risulta proposta l’azione revocatoria, era anteriore, giacchè quel credito, per ciò che dalla sentenza emerge, era insorto quale credito di massa nel momento stesso del fallimento, per effetto della L. Fall., art. 64;

come anticipato, l’inefficacia prevista dalla L. Fall., art. 64, ha carattere necessario e oggettivo, e opera automaticamente ove sussista il presupposto dell’esistenza dell’atto e della sua gratuità, al punto che va dichiarata con sentenza avente natura solo ricognitiva della situazione giuridica (v. ex aliis Cass. n. 6918-05); ne consegue che il corrispondente credito, vantato dal curatore, era da considerare già esistente (quanto al fatto generatore) in esito alla mera declaratoria di fallimento (avvenuta nell’anno 2000), dovendo essere in seguito solo accertato; da qui la conseguenza che l’atto di donazione (del 2003) era successivo, e non anteriore, al sorgere del credito;

col sesto motivo, infine, si denunzia l’errata pronuncia della corte d’appello in ordine all’inammissibilità della censura attinente alla chiamata in causa della Banca popolare di Marostica;

il sesto motivo non va scrutinato essendo sopravvenuta la rinuncia del ricorrente; egli infatti ha messo in evidenza, nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., che in ordine al rapporto di garanzia è stata stipulata una transazione con la banca, previdente la rinunzia a coltivare il ricorso nei di lei confronti a fronte della avversa rinunzia alle spese del giudizio di merito; pertanto il sesto motivo devesi intendere rinunciato;

in conclusione quindi il ricorso per cassazione è nel suo complesso rigettato e le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida, in favore della curatela fallimentare, in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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