Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3082 del 06/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/02/2017,  n. 3082

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21140/2015 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR,

presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELA

MARRELLI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato DANILO LOMABRDI giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 766/2013 del TRIBUNALE di SIENA, depositata il

04/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPINA LUCIANA

BARRECA.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“1.- Con il provvedimento impugnato il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Siena ha dichiarato inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta da C.M. avverso l’ordinanza dell’11 maggio 2015 emessa ai sensi dell’art. 610 c.p.c., dal giudice dell’esecuzione per rilascio (intrapresa dalla stessa C. nei confronti di M.M.). Con questa ordinanza il giudice dell’esecuzione aveva dettato le modalità per il rilascio di immobili, utilizzati dal M. per l’attività di allevamento amatoriale di cani; la C. si era opposta, chiedendone le modifica; il giudice dell’esecuzione ha ritenuto che non fosse proponibile il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, bensì quello del reclamo al collegio ed ha perciò dichiarato inammissibile l’opposizione ex art. 617 c.p.c..

2.- Il ricorso è proposto con due motivi. Il M. resiste con controricorso.

Col primo motivo si deduce violazione ed errata applicazione degli artt. 617 e 618 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa instaurazione della procedura prevista in caso di opposizione agli atti esecutivi. La ricorrente lamenta che il giudice dell’esecuzione si sia pronunciato senza aver instaurato il contraddittorio tra le parti e senza aver seguito il dettato dell’art. 618 c.p.c..

Col secondo motivo si deduce violazione ed errata applicazione dell’art. 617 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver ritenuto inapplicabile la procedura di opposizione agli atti esecutivi.

3.- Il ricorso straordinario per cassazione è inammissibile, poichè proposto avverso un provvedimento che non è definitivo nè decisorio. Esso è stato emesso, in data 21/5 – 4/6 – 2015 a conclusione della fase svoltasi dinanzi al giudice dell’esecuzione del giudizio di opposizione agli atti esecutivi, introdotto dalla C. per ottenere la modifica dell’ordinanza resa ai sensi dell’art. 610 c.p.c.. Con il provvedimento impugnato il giudice dell’esecuzione ha dichiarato inammissibile l’opposizione, senza concedere il termine per l’instaurazione del giudizio di merito e senza provvedere in alcun modo in merito alla spese di lite.

Malgrado il giudice dell’esecuzione non abbia fissato il termine per l’inizio del giudizio di merito, come disposto dall’art. 618 c.p.c., il provvedimento impugnato non si può reputare definitivo, quindi suscettibile di ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost., come sostenuto dalla ricorrente.

Ed invero, non può reputarsi precluso l’accesso di quest’ultima, già opponente, alla tutela a cognizione piena, per le ragioni di cui appresso:

– il giudizio di opposizione agli atti esecutivi è soggetto alla disciplina di cui all’art. 617618 c.p.c., nel testo sostituito, con decorrenza dal 1 marzo 2006, dalla L. n. 52 del 2006; la seconda di tali norme prevede che il giudice dell’esecuzione fissa un termine perentorio per. l’introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’art. 163 bis c.p.c., o altri se previsti, ridotti della metà; la norma va letta in combinato disposto con l’art. 617 c.p.c., e con la prima parte dello stesso art. 618 c.p.c., che prevedono che sia il giudice dell’esecuzione a provvedere sull’istanza di sospensione del processo esecutivo ovvero di adozione di provvedimenti indilazionabili;

– il sistema di norme modificate dalla L. n. 52 del 2006, ha innovato rispetto al regime precedente, secondo il quale era lo stesso giudice dell’esecuzione che all’udienza disponeva la prosecuzione del giudizio (relativo all’opposizione agli atti esecutivi) con le forme della cognizione ordinaria. Le nuove norme hanno escluso l’automatismo della prosecuzione con la cognizione piena; il giudice dell’esecuzione, dopo avere provveduto sull’istanza di sospensione, si limita a fissare un termine per l’introduzione della causa di merito ed è quindi rimesso all’iniziativa della parte interessata l’effettivo inizio di tale giudizio nel termine fissato;

– il provvedimento di fissazione del termine per l’inizio del giudizio di merito, concretandosi in una autorizzazione (peraltro dovuta ex lege) all’introduzione del giudizio di merito siccome ricollegato alla precedente fase sommaria e diretto anche alla discussione sugli eventuali provvedimenti sommari adottati in quella fase, si connota come provvedimento lato sensu istruttorio, cioè sull’ordine del procedimento (così, tra le tante, Cass. ord. n. 20532/2009 e n. 15630/2010). Il vizio del provvedimento consistente nell’omessa concessione del termine in parola trova un rimedio nell’ordinamento, precisamente nell’art. 289 c.p.c., secondo il cui comma primo i provvedimenti istruttori che non contengono la fissazione dell’udienza successiva o del termine entro il quale le parti debbono compiere gli atti processuali, possono essere integrati su istanza di parte o d’ufficio, entro il termine perentorio di sei mesi dall’udienza in cui i provvedimenti furono pronunciati, oppure dalla loro notificazione o comunicazione se prescritte;

– la ricorrente, dunque, avrebbe dovuto chiedere al giudice dell’esecuzione di integrare il provvedimento ai sensi dell’art. 289 c.p.c., e non, sull’assunto della sua qualificazione come sentenza in senso sostanziale, ricorrere per cassazione;

– peraltro, in fattispecie quale quella oggetto della presente decisione, il ricorso al rimedio dell’art. 289 c.p.c., non è neppure obbligato, dal momento che la stessa ricorrente, anche a prescindere dalla formulazione di un’istanza ai sensi dell’art. 289 c.p.c., avrebbe potuto iscrivere la causa di opposizione al ruolo contenzioso (cfr. Cass. ord. n. 20532/2009 cit.).

Quanto all’assunto della ricorrente secondo cui il provvedimento impugnato si dovrebbe ritenere sostanzialmente una sentenza, non può che farsi integrale rinvio alla motivazione del precedente di questa Corte n. 22033/2011, che si è occupato funditus della questione. Appare qui sufficiente ribadire che, se è vero che il giudice dell’esecuzione ha definito, davanti a sè, il giudizio col provvedimento oggi impugnato, per contro, tale provvedimento, essendo stato emesso da un giudice investito di una cognizione sommaria e, pertanto, destinata a sfociare in provvedimenti ridiscutibili secondo le regole della cognizione piena e, dunque, del tutto provvisori, non può acquisire una forza diversa a cagione della sua irritualità e, quindi, non può considerarsi definitivo dell’azione, nonostante che l’irritualità consista proprio nella chiusura illegittima del procedimento. Questa chiusura è essa stessa del tutto provvisoria e non definitiva poichè riguarda solo la fase sulla quale il giudice doveva provvedere, in via appunto provvisoria, in vista della possibile evoluzione dell’azione con la cognizione piena; cognizione, nient’affatto preclusa alla ricorrente, che si sarebbe potuta avvalere dei rimedi sopra richiamati”.

La relazione è stata notificata come per legge.

Parte ricorrente ha spedito memoria pervenuta in cancelleria a mezzo posta il 5 dicembre 2016.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto della relazione.

Perciò il ricorso va dichiarato inammissibile.

La memoria della parte ricorrente è irricevibile atteso che l’art. 134 disp. att. c.p.c., che consente il deposito del ricorso e del controricorso a mezzo posta, non si applica alle memorie (cfr., da ultimo, Cass. n. 7704/16).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. l3, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida, in favore del resistente, nell’importo complessivo di Euro 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese processuali, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 3 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2017

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