Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30812 del 22/12/2017


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 30812 Anno 2017
Presidente: BRUSCHETTA ERNESTINO LUIGI
Relatore: PICARDI FRANCESCA

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5302/2011 R.G. proposto da
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello
Stato, presso i cui uffici in Roma, Via Porteghesi n. 12, è domiciliata,
– ricorrente contro
Plastic Components and Modules Automotive s.p.a. (incorporante di
Automotive System s.p.a., già incorporante di Complasint s.p.a, rappresentata
e difesa, in virtù di procura in calce al controricorso, dagli Avv. L.Manzi, Avv.
E.Coglitore e P.Centore, e elettivamente domiciliata presso lo studio del primo
in Roma, Via Confalonieri n. 5,
– resistente avverso la sentenza n. 15/17/2010 della Commissione tributaria regionale della
Campania, depositata il 15 gennaio 2010.

Data pubblicazione: 22/12/2017

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’il ottobre 2017 dal
Consigliere Francesca Picardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
R.Sanlorenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli Avv. M.Capolupo per l’Agenzia delle Entrate che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto di quello incidentale e P.Centore

l’accoglimento di quello incidentale.

per la contribuente che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Automative System s.p.a., incorporante la contribuente originaria Complasint
s.p.a., ha impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli
l’avviso di accertamento REF300220 per l’anno d’imposta 1997, notificatole in
data 5 settembre 20005, con cui l’Agenzia delle Entrate ha recuperato a
tassazione euro 193.209,11 a titolo di maggior IRPEG ed euro 73.193,30 a
titolo di maggiore ILOR per costi non di competenza (euro 12.259,23), non
inerenti (euro 883,66), spese di cancelleria non deducibili (euro 2.562,66) e
omessa dichiarazione di sopravvenienze attive (euro 506.482,05) relative ad
un contributo in conto capitale ripartito in bilancio in sette anni a fini fiscali ed
in cinque ai fini civili.
Il ricorso è stato rigettato con sentenza n. 425 del 7 febbraio 2007, appellata
dalla Ergorn Automative s.p.a., incorporante dell’Automative System s.p.a.,
dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania.
Il giudizio di appello è stato sospeso in attesa dell’esito di altro procedimento
pendente dinanzi alla stessa Commissione tributaria regionale della Campania
ed avente ad oggetto il provvedimento di diniego dell’esenzione decennale
IRPEG.
All’esito della sentenza 174/01/2009 della Commissione tributaria regionale
della Campania, la Plastic Components and Modules Automative System s.p.a.,
incorporante la Ergom Autornative s.p.a., ha riassunto il giudizio, conclusosi
con la sentenza n. 15/17/2010, depositata il 15 gennaio 2010, con cui è stata
dichiarata “la legittimità: 1)della deduzione delle spese di cancelleria e 2)
dell’imputazione delle quote di contributo pari a 1/7”.
Con ricorso per cassazione, notificato il 22 febbraio 2011, l’Agenzia delle
Entrate ha impugnato la sentenza di secondo grado limitatamente all’ILOR, ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e 5, cod.proc.civ.
La Plastic Components and Modules Automative System s.p.a. costituitasi ha
eccepito l’inammissibilità e improcedibilità del ricorso per violazione degli artt.
366 n. 6 e 369 cod. proc. civ. ed ha proposto ricorso incidentale ex art. 360,
primo comma, n. 3, cod.proc.civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.In via preliminare occorre rigettare l’eccezione di improcedibillità del ricorso
ex art. 369 cod.proc.civ., atteso che la mancata richiesta di trasmissione, da
parte del ricorrente, del fascicolo d’ufficio del giudice a quo ex art. 369 c.p.c.
non determina l’improcedibilità dell’impugnazione ove l’esame di quel fascicolo
non sia necessario per la soluzione delle questioni prospettate con quest’ultima
(Sez. 5, n. 7621 del 24/03/2017, Rv. 643472 – 01).
2.11 primo motivo di ricorso, con cui si è denunciata ex art. 360, primo comma,
n. 3, cod.proc.civ., la violazione degli artt. 53 e 59 (ora 85 e 92) del d.P.R. n.
917 del 1986, nella formulazione vigente ratione temporis, dovendosi includere
le rimanenze finali del materiale di consumo (nella specie, materiale di
cancelleria) nei ricavi, è ammissibile, ma infondato.

2.a. La censura è ammissibile, in quanto traducendosi nella denuncia di
un’erronea interpretazione della disciplina giuridica non si fonda su documenti,
di cui è necessaria l’indicazione ex art. 366, primo comma, n. 6, cod.proc.civ.
A ciò si aggiunga che la decisione impugnata non esprime un orientamento
consolidato della Corte, che non è, del resto, riportato, sicché il ricorso non
esige la prospettazione degli elementi richiesti dall’art. 360 bis n. 1
cod. proc. civ.
2.b. Il motivo, pur ammissibile, è infondato, atteso che gli articoli di cancelleria
non costituiscono né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività
d’impresa né materie prime e sussidiarie, semilavorati e altri beni mobili
acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione di beni da parte
della contribuente, che è società avente ad oggetto la produzione di
componenti di auto, secondo le allegazioni della stessa Agenzia delle Entrate
(v. ricorso, p.1). Ne consegue che le relative rimanenze finali non possono
concorrere alla formazione del reddito, ai sensi del combinato disposto degli
artt. 53 e 59 (ora 85 e 92) del d.P.R. n. 917 del 1986.
Non risulta, difatti, condivisibile la tesi della ricorrente, secondo cui il materiale
di cancelleria, pur non partecipando direttamente al processo produttivo, deve
essere ricompreso nelle rimanenze finali, analogamente a quanto avviene in
sede civile ex art. 2423 ter cod.civ., visto che non può essere usato
ripetutamente. In proposito deve, difatti, osservarsi che la qualifica di bene
quale strumentale, il cui valore è escluso dai ricavi in virtù di specifica
disposizione fiscale (art. 53 – ora 85 – del d.P.R. n. 917 del 1986), esige il
mancato coinvolgimento nel ciclo produttivo e la conseguente funzione di
supporto solo indiretto all’attività produttiva, in contrapposizione al bene
merce, ma non anche il requisito della durevolezza.
Il motivo va, pertanto, rigettato in applicazione del seguente principio di
diritto: “In tema di reddito d’impresa, le rimanenze finali del materiale di
cancelloria non rilevano ai sensi del combinato disposto degli artt. 53 e 59 (ora
M e 92) del d,P.11. n. 917 del 1986 ai fini cigli@ quontificazione dei ricavi di
un’impresa che ha ad oggetto la produzione di articoli di diversa tipologia,
trattandosi di beni che, pur non essendo destinati ad essere utilizzati
ripetutamente, sono strumentali, in quanto non coinvolti direttamente nel
processo produttivo, ma aventi solo funzione di supporto rispetto all’attività
imprenditoriale”.
3. Con il secondo motivo si è denunciata, da un lato, la violazione dell’art. 55,
comma 3, lett. b, del d.P.R. n. 917 del 1986, vigente ratione temporis, in
considerazione sia dell’applicazione del criterio di competenza in luogo di quello
di cassa ai contributi ricevuti dalla contribuente sia della loro ripartizione, ai fini
fiscali, in un numero di esercizi superiore a quello usato nel bilancio civile (e,
cioè, sette invece che cinque), e, dall’altro, l’omessa e contraddittoria
motivazione in ordine alla qualificazione di tali contributi e alla ritenuta
legittimità della scelta fiscale di ripartirli in sette quote.
di ricorso per cassazione,
in
tema
Invero,
3.a.
il vizio di motivazione riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360, primo comma,
n. 5, cod. proc. civ., concerne esclusivamente l’accertamento e la valutazione
dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche
l’interpretazione o l’applicazione di norme giuridiche che, invece, ricade sotto il

profilo dell’errore di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
(così, ad esempio, Sez. 2, n.26292 del 15/12/2014, Rv. 634151 – 01). Nel
caso di specie, pur essendo prospettata la censura anche ex art. 360, primo
comma, n. 5 cod.proc.civ., è stata lamentata l’omessa e contraddittoria
motivazione su profili giuridici (la qualificazione dei contributi e la disciplina
applicata) e non su questioni di fatto, sicché in tale parte il motivo è
inammissibile. Al contrario, l’altra censura, la quale, traducendosi nella
denuncia di un’erronea applicazione della disciplina giuridica, non si fonda su
documenti, da indicare ex art. 366, primo comma, n. 6, cod.proc.civ., è
ammissibile, pur non potendo essere rivalutata in questa sede la qualificazione
dei contributi in esame quali contributi in conto impianti, perché si fonda su un
accertamento di fatto, che non è oggetto di una doglianza correttamente
formulata ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
3.b. Occorre premettere che la disciplina tributaria dei contributi in conto
capitale, di cui quelli in conto impianti costituiscono una specie, ha subito una
serie di modifiche ed in particolare è mutata dal 1995 (anno in cui il contributo
in esame è stato erogato) al 1997 (anno oggetto dell’accertamento in esame).
Più precisamente, mentre nel 1995, ai sensi dell’art. 55, comma 3, lett. b, del
d.P.R. n. 917 del 1986, vigente ratione temporis, i proventi in denaro o in
natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità, esclusi quelli spettanti
sotto qualsiasi denominazione in base a contratto e quelli in conto esercizio
ricevuti a norma di legge dallo Stato e altri enti pubblici, concorrevano a
formare il reddito, quali sopravvenienze attive, nell’esercizio in cui venivano
incassati o in quote costanti nell’esercizio della riscossione e nei successivi non
oltre il nono, dal 1997, in virtù della nuova formulazione della disposizione,
introdotta dal d.l. n. 323 del 1996, convertito in I. n. 425 del 1996, gli esercizi
in cui è possibile rinviare l’inclusione nel reddito degli altri contributi in conto
capitale sono quattro e non più nove successivi a quello dell’erogazione (Così la
formulazione: “Sono inoltre considerati sopravvenienze attive: …b)i proventi in
denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità, esclusi i
contributi di cui alle lettere e) e f) del comma 1 dell’articolo 53. Tali proventi
concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono stati incassati o in
quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non
oltre il quarto). La disciplina applicabile al caso in esame non è quella vigente
nel periodo d’imposta oggetto di accertamento, ma piuttosto quella vigente al
momento della riscossione del contributo, conformemente, peraltro, alla
prospettazione difensiva di entrambe le parti (v. ricorso introduttivo, p. 7 “la
sentenza de quo ha erroneamente ritenuto di applicare il principio di
competenza al contributo in questione, erogato nell’anno 1995, il quale resta
assoggettato ad imposizione sulla base del principio di cassa, in forza della
normativa vigente nell’anno d’imposta suindicato”; p.10-11 memoria del 2
dicembre 2012 della resistente “la norma, nella formulazione in vigore
nell’esercizio 1995, anno in cui la società ha percepito il contributo e che
conseguentemente deve essere preso in considerazione per valutare le scelte
fatte dalla contribuente…”). L’arricchimento del contribuente, idoneo ad
incidere sul suo reddito, risale, difatti, al momento della deliberazione e/o
riscossione del contributo e si riflette in modo solo indiretto nei successivi
periodi d’imposta in considerazioni di scelte già effettuate in passato, che, in

assenza di una specifica disposizione transitoria, non possono essere
condizionate dallo ius superveniens in applicazione del generale principio,
desumibile dall’art. 11 disp.att.cod.civ.
In definitiva, i contributi in conto impianti riscossi nel 1995 costituiscono, ai fini
fiscali, sopravvenienze attive da includere integralmente nel reddito di tale
periodo d’imposta, in virtù del principio di cassa, o in quote costanti
nell’esercizio della riscossione e nei successivi non oltre il nono, a prescindere
dai criteri dettati e seguiti, ai fini civili, per l’ammortamento del bene
acquistato con il contributo ricevuto, non venendo in rilievo la disciplina
dell’art. 67 (ora 102) del d.P.R. n. 917 del 1986 (cfr., peraltro, Sez. 5, n.
22016 del 17/10/2014, Rv. 632771 – 01, e Sez. 5, n. 20680 del 14/10/2015,
Rv. 636893 – 01, che ammettono la possibilità di specifiche disposizioni fiscali
che deroghino quelle civili relativamente all’ammortamento dei beni).
Alla luce di tali premesse, il motivo è fondato e merita accoglimento, in quanto
la decisione del giudice di secondo grado si fonda sull’erronea premessa che “i
contributi in conto impianti ….non costituiscono né sopravvenienze attive né
ricavi e concorrono alla formazione del reddito in base al principio di
competenza”.
Per mera completezza va evidenziato che la base imponibile ai fini ILOR si
determina, in virtù dell’art. 4 del d.P.R. n. 599 del 1973, in base ai medesimi
criteri seguiti ai fini IRPEG.
La sentenza va, dunque, cassata con rinvio al giudice di merito che dovrà
decidere in base al seguente principio di diritto: In tema di determinazione del
reddito d’impresa, il contributo in conto impianti riscosso nel 1995 integra una
sopravvenienza attiva da includere integralmente nel reddito di tale periodo
d’imposta o in quote costanti in quello dell’esercizio di riscossione e nei
successivi non oltre il nono, a prescindere dai criteri civili applicati, in sede di
redazione del bilancio, per l’ammortamento dei beni con essi acquistati,
essendo applicabile la disciplina vigente al momento della sua deliberazione
e/o riscossione e, cioè, della verificazione dell’evento produttivo di reddito e
non quella vigente nel periodo d’imposta oggetto di accertamento”.
4.11 ricorso incidentale è inammissibile, atteso che l’unico motivo, con cui si è
denunciata la violazione e falsa applicazione degli art. 74, comma 5, e 75 (ora
108 e 109) del d.P.R. n. 917 del 1986 per essere stata ritenuta non dimostrata
l’inerenza all’attività d’impresa di spese pari ad euro 334,15, oltre ad indicare
una disposizione inesistente (art. 74, comma 5), lamenta una fallace
ricostruzione dei fatti di causa piuttosto che un’erronea lettura di una norma
giuridica.
Più precisamente il provvedimento impugnato sul punto si è limitato ad
escludere la deducibilità di alcuni costi perché non inerenti, facendo corretta
applicazione dell’art. 75 (ora 109), comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986,
mentre con il ricorso incidentale si è contestata l’esclusione dell’inerenza con
valutazioni che concernono il giudizio di fatto e che, quindi, avrebbero dovuto
essere veicolate in un motivo riguardante la motivazione (o la carente
motivazione). In proposito occorre ricordare che,, in tema di ricorso per
cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta
recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema

interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della
fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna
all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del
giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto
l’aspetto del vizio di motivazione (da ultimo, Sez. L, n.195 del 11/01/2016,
Rv. 638425 – 01).
P.Q.M.
a) accoglie il ricorso, limitatamente al secondo motivo, rigettato il primo;
b) cassa la sentenza impugnata e rinvia per la decisione alla Commissione
tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le
spese del giudizio di legittimità;
c)rigetta il ricorso incidentale.
Così deciso in Roma, alla pubblica udienza dell’il ottobre 2017.
Il consigliere estensore, dott.ssa F.Picardi

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