Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3081 del 01/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 01/02/2022, (ud. 16/11/2021, dep. 01/02/2022), n.3081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C. – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16361-2020 proposto da:

(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, V. PIEMONTE 32, presso lo studio

dell’avvocato SPADA GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato

SALLEMI SEBASTIANO;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 388, presso lo

studio dell’avvocato GALEANO IOLANDA, rappresentato e difeso

dall’avvocato TORRISI MASSIMO;

– controricorrente –

contro

BONACCORSO GIUSEPPE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 785/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 30/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VELLA

PAOLA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1.1a Corte d’appello di Catania ha rigettato il reclamo ex art. 18 L. Fall. proposto da (OMISSIS) s.r.l. per la revoca del proprio fallimento, dichiarato il 22/11/2019 su istanza del notaio Bonaccorso Giuseppe, il quale si era costituito in sede di reclamo “al solo fine di dichiarare che l’assegno offerto in pagamento da terzi in data 20 novembre 2019 a saldo del credito (..) era stato regolarmente incassato”, con conseguente formalizzazione della sua “desistenza che non era stato possibile formalizzare in data antecedente alla declaratoria di fallimento”;

1.1. la corte territoriale, richiamando i principi stabiliti da Cass. 16122/2019, ha evidenziato che in atti risultava “solo una mera comunicazione del B., semplicemente datata 20.11.2019, priva di data certa, con la quale, peraltro, questi rendeva noto al difensore della (OMISSIS) s.r.l. esclusivamente di aver ricevuto un assegno dell’importo di 11.358,80 (pari al credito vantato nei confronti della (OMISSIS) s.r.l.) da parte di un soggetto terzo”, aggiungendo che la reclamante “neppure deduce di aver pagato il debito verso banche pari a 21.526, indicato nel bilancio 2018” che, sommato al debito verso il B., supera la soglia di cui all’art. 15 L. Fall., u.c..

1.2. avverso detta decisione (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, successivamente corredato da memoria; il Fallimento intimato ha resistito con controricorso;

1.3. a seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

2. con il primo motivo – rubricato “violazione di legge per erronea e/ o falsa applicazione degli art. 115 e 116 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 1277 c.c. e ss. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” – il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Catania, nell’affermare che “non risulta il dedotto pagamento antecedente alla dichiarazione di fallimento da atto di data certa (…), risulta solo una mera comunicazione (…) priva di data certa” (segnatamente quella di cui al doc. 3, in cui il creditore istante dichiarava di aver ricevuto un assegno da parte di un terzo), avrebbe valutato “erroneamente il materiale probatorio”, poiché, pur trattandosi indubbiamente di una comunicazione priva di data certa, sussisterebbero “circostanze esterne alla stessa che ne possono ugualmente consentire l’esatta collocazione temporale” e così concludere che il notaio B. “ancor prima della avversata sentenza di fallimento” sarebbe “stato integralmente soddisfatto”, anche perché “l’estinzione della relativa obbligazione pecuniaria si era avuta già all’atto della consegna dell’assegno bancario da parte del terzo e non con l’effettiva riscossione della somma portata dal titolo”;

3. il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza;

4. sotto il primo aspetto, vanno richiamati i principi più volte affermati da questa Corte nel senso che: i) “per dedurre la violazione dell’arì. 115 cp.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’arì. 116

(Cass. Sez. U, 20867/2020, 16598/2016); li) ove si deduca che il giudice abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione, e dunque solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014 (Cass. Sez. U, 20867/2020, 34474/2019); iii) in tema di attività valutativa del giudice rispetto alle fonti probatorie, occorre distinguere l’errore di percezione – che, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione, appunto, degli artt. 115 e 116 c.p.c. (che in sintesi vietano al giudice, rispettivamente, di fondare la decisione su prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, nonché di disattendere prove legali secondo il suo prudente apprezzamento) – dall’errore di valutazione, che invece, investendo l’apprezzamento dell’efficacia dimostrativa della fonte di prova rispetto al fatto che si intende provare, non è mai sindacabile in sede di legittimità (Cass.1229/2019, 27033/2018, 9356/2017); iv) “il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che -per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. 23153/2018, 11892/2016), sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (exp/utimis Cass. 11863/2018, 29404/2017, 16056/2016);

4.1. per le ragioni sopra indicate, la valutazione da parte dei giudici d’appello circa il contenuto del doc. 3 prodotto dal reclamante non è sindacabile in questa sede, tanto più che lo stesso non è stato integralmente trascritto in ricorso, mentre dalla trascrizione fattane a pag. 3 del controricorso risulta che il notaio B. si limitò ad informare che, una volta accreditata la somma portata dall’assegno ricevuto da un terzo, egli avrebbe depositato la propria desistenza, come poi fece solo in sede di reclamo;

5. quanto al merito delle censure, l’infondatezza del motivo discende dalla copiosa giurisprudenza di questa Corte per cui, “in tema di dichiarazione di fallimento, la desistenza del creditore istante, non accompagnata dall’estinzione dell’obbligazione, in quanto atto di natura meramente processuale rivolto, al pari della domanda iniziale, al giudice, è inidonea a.spiegare i propri effetti qualora venga depositata allorché il procedimento pre’fallimentare sia stato definito con la deliberazione della decisione, anche se questa non sia stata ancora pubblicata” (Cass. 13187/2020; conf. Cass. 20432/2021, 32850/2018, 25688/2017, 16278/2016; cfr. Cass. 33116/2018) mentre, laddove la desistenza derivi dal pagamento del debito, questo deve risultare da atto avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento (Cass. 16122/2019, 15267/2018, 5094/2018, 16180/2017, 12549/2017);

5.1. vanno dunque ribaditi i principi affermati da questa Corte in tema di desistenza o rinuncia all’istanza di fallimento, così riepilogati: i) l’istanza di fallimento non è una condizione dell’azione che deve persistere fino al passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa di fallimento, bensì un presupposto legittimante l’apertura della procedura che deve sussistere al momento della dichiarazione di fallimento, sicché la desistenza dell’unico creditore istante, se successiva alla dichiarazione del fallimento, non comporta la revoca del fallimento stesso (Cass. 7817/2017, 8980/2016, Cass. 21478/2013); ii) una volta pronunciata, la dichiarazione di fallimento, produce effetti erga omnes, la persistenza dei quali non può essere rimessa alla mera volontà del creditore istante (o comunque alle vicende del suo rapporto con il fallito), la cui necessaria funzione propulsiva della procedura fallimentare si esaurisce con la dichiarazione del fallimento; la desistenza non accompagnata da alcuna estinzione del debito, integrando un atto di rinuncia all’istanza di fallimento di natura meramente processuale, rivolto al giudice, è inidonea a determinare la revoca della sentenza di fallimento nel caso in cui sia prodotta soltanto in sede di reclamo (Cass. 16122/2019); iv) la desistenza dovuta al pagamento può essere rappresentata anche in sede di reclamo, al fine di dimostrare il venir meno della legittimazione del creditore istante già al momento della pronuncia di insolvenza, ma può comportare la revoca della sentenza di fallimento solo se il pagamento risulti avvenuto – sulla base di un documento munito di data certa, ex art. 2704 c.c., ovvero di prove di altra natura addotte dalle parti – in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento (Cass. 16122/2019; Cass. 1457/2021, in fattispecie del tutto analoga a quella per cui è causa);

5.2. nel caso di specie, i giudici di merito hanno concluso, sulla base di una valutazione delle risultanze istruttorie non sindacabile in questa sede, che non sia stata provata l’anteriorità del pagamento al creditore istante rispetto alla dichiarazione di fallimento;

6. del tutto inammissibile è il secondo motivo di ricorso, che denuncia la “erronea e / o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.” sul rilievo che la corte d’appello, “rigettando erroneamente il reclamo, ha altresì condannato (OMISSIS) s.r.l. alla refusione, in favore dell’erario, delle spese del grado”, in quanto non si censura un vizio della decisione, bensì la statuizione conseguente all’esito del giudizio;

7. segue il rigetto del ricorso con condanna alle spese, liquidate come da dispositivo; sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (cfr. Cass. Sez. U, 4315/2020).

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 100,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2022

 

 

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