Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3080 del 01/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 01/02/2022, (ud. 14/01/2022, dep. 01/02/2022), n.3080

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 635-2020 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO N

38, presso lo studio dell’avvocato LANZILAO MARCO, che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il

22/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2022 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

L’avvocato M.R. impugna l’ordinanza della Corte d’Appello di Perugia del 21 ottobre 2019 con la quale è stato rigettato il ricorso D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, proposto dal M. avverso il decreto con il quale era stata rigettata l’istanza di liquidazione dei compensi vantati dal ricorrente per l’assistenza prestata in favore di una parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, nel giudizio conclusosi dinanzi alla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 5660/2019.

Il rigetto era motivato in ragione del fatto che il provvedimento del giudice di legittimità, sebbene in dispositivo riferisse di un rigetto del ricorso proposto dall’assistito dell’avv. M. in materia di protezione internazionale, nella sostanza era espressivo di una valutazione di inammissibilità del mezzo di impugnazione, come appunto chiaramente evincibile dal tenore della motivazione. Per l’effetto risultava applicabile la previsione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130-bis, che esclude il diritto al compenso in caso di declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.

Inoltre, l’ordinanza rilevava che poteva anche configurarsi una colpa grave nella proposizione del ricorso per cassazione, sicché gli atti andavano trasmessi alla sezione civile della medesima Corte d’Appello al fine di valutare se sussistessero i presupposti per la revoca del beneficio concesso in via provvisoria, ex art. 136 citato.

Per la cassazione di tale ordinanza propone ricorso M.R. sulla base di un motivo.

Il Ministero della Giustizia resiste ai soli fini dell’eventuale discussione orale.

Il motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130-bis, assumendo che la norma di recente introduzione, volta a scoraggiare la proposizione di impugnazioni meramente dilatorie o improduttive di effetti a favore della parte, debba essere interpretata in maniera restrittiva e cioè limitata ai soli casi di inammissibilità espressamente codificati, non potendosi estendere anche al caso di specie nel quale la pronuncia della Suprema Corte era di rigetto integrale, e senza mai comunque che sia stata rilevata una causa di inammissibilità espressamente prevista dal legislatore.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, deve evidenziarsi che sebbene il dispositivo dell’ordinanza di questa Corte n. 5660/2019 formalmente reciti che il ricorso era rigettato, non può non concordarsi con la valutazione del giudice di merito che ha evidenziato come il reale contenuto della decisione fosse quello di inammissibilità.

Nella motivazione del detto provvedimento, subito dopo l’illustrazione dei motivi, è possibile, infatti, leggere:

“Il ricorso è inammissibile e infondato e deve essere respinto in ordine a tutti i motivi proposti. I motivi di ricorso contengono tutti una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento. In ordine al primo motivo di ricorso, occorre osservare che la sentenza impugnata riporta le dichiarazioni rese dal ricorrente ed in particolare afferma che il suddetto ha “riferito di essere appartenente ad un gruppo tribale e di essere venuto via dal suo paese per minacce e pressioni subite da quest’ultimo e per la sua appartenenza alla fede cristiana”. Risulta pertanto del tutto infondato il primo motivo di ricorso che lamenta l’omesso esame delle dichiarazioni del ricorrente. La Corte proprio alla luce delle dichiarazioni rese ha piuttosto ritenuto che il ricorrente abbia lasciato il proprio paese per scelta personale e non perché costretto dalla situazione di violenza ivi presente. In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente, cioè il Ghana, escludendo così il diritto alla protezione sussidiaria. La censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata e si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un, n. 8053/2014). Il terzo ed il quarto motivo, relativi alla protezione umanitaria ed al principio di non-refoulement, sono del pari inammissibili sia perché non censurano la ratio decidendi sia in quanto privi di autosufficienza non contenendo alcun riferimento alla vicenda individuale. In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria -al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria- incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine. Nella specie, la Corte territoriale non ha violato il suddetto principio né è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali tenuto anche conto della concreta possibilità di accesso alla protezione interna da pericoli derivanti da soggetti non statuali, non risultando dimostrata l’assenza di una tale tutela e tantomeno che il ricorrente si sia rivolto alle autorità del suo paese vanamente. Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia esso non può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria e tantomeno come fattore esclusivo per il suo riconoscimento, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale in relazione alla compressione dei diritti acquisiti in caso di ritorno in patria (Cass.sez.1 2018/4455), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa in motivazione.”

Il chiaro riferimento al tentativo con i mezzi di impugnazione, sia pure formalmente riferiti a violazioni di legge, di rimettere in discussione gli accertamenti in fatto, peraltro correttamente avvenuti da parte del giudice di merito, senza cogliere in relazione al secondo motivo, la effettiva ratio decidendi del provvedimento impugnato, consente di affermare che il dispositivo non corrisponda all’effettivo contenuto della decisione, che si sostanzia in una declaratoria di inammissibilità.

Occorre quindi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui (Cass. n. 24600/2017) l’esatto contenuto della sentenza va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione, nella parte in cui la medesima riveli l’effettiva volontà del giudice. Ne consegue che va ritenuta prevalente la parte del provvedimento maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del “dictum” giudiziale, sicché, a fronte di un dispositivo che rigetti l’appello avverso la sentenza anziché dichiararlo inammissibile, debba darsi prevalenza alla motivazione ove emerga chiaramente la causa di inammissibilità.

Tornando quindi alla fattispecie in esame, ritiene il Collegio che sia incensurabile la decisione gravata, che rimarcando il reale contenuto della decisione emessa all’esito del procedimento nel quale il ricorrente aveva prestato il proprio patrocinio, ha ritenuto che si trattasse di un’inammissibilità, peraltro ampiamente prevedibile ex ante, atteso l’utilizzo in chiave strumentale di censure in diritto che nella realtà mascheravano, come appunto rilevato dalla stessa Corte di Cassazione, l’intento di sollecitare un nuovo apprezzamento dei fatti.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Nulla a provvedere quanto alle spese.

Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2022

 

 

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