Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 308 del 13/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/01/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 13/01/2021), n.308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4700-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

ELSA TRADING SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7453/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata

il 04/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

La CTR della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, nel disattendere l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, confermò la sentenza della CTP di Avellino che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso a carico della Elsa Trading s.r.l. relativo alla ripresa a tassazione per gli anni 2006, 2010 e 2011 di imposte correlate ad operazioni inesistenti ed all’indebita utilizzazione dell’esenzione IVA connessa a cessioni intracomunitarie. La CTR, dopo avere rilevato che l’atto impugnato poteva ritenersi correttamente motivato, rilevava tuttavia l’illegittimità dello stesso in relazione alla dimostrata prova dell’esistenza di cessioni intracomunitarie in base alla copiosa documentazione prodotta.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

La parte intimata non si è costituita.

Con il primo motivo la ricorrente deduce l’omessa pronunzia sulla censura concernente il carattere di operazioni inesistenti concernenti l’anno di imposta 2006.

Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente. La CTR avrebbe adottato una motivazione priva di reale contenuto decisorio, avendo tralasciato di esaminare le questioni sottoposte al suo esame in ordine all’inesistenza delle cessioni intracomunitarie.

Con il terzo motivo si deduce la violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 41, comma 1, lett. l. La CTR avrebbe considerato come esistenti le operazioni di cessione intracomunitarie in spregio ai principi espressi da questa Corte in materia.

Il secondo motivo di ricorso merita di essere esaminato con priorità per ragioni di ordine logico.

La censura è infondata, avendo il giudice di appello posto a base della decisione in ordine alla natura di cessioni intracomunitarie delle operazioni gli elementi che a suo dire potevano giustificare il regime agevolativo per il contribuente. Tanto esclude di potere ritenere integrata l’ipotesi di motivazione apparente alla stregua dei canoni fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte – cfr. Cass., S.U., n. 8053/2014 -.

E’ invece fondato il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce l’omessa pronunzia sul motivo di appello concernente la natura di operazioni inesistenti concernenti l’anno di imposta 2006, questione sulla quale, in effetti, il giudice di appello ha totalmente omesso di pronunziarsi.

Risulta fondato pure il terzo motivo di ricorso.

Giova premettere un breve inquadramento normativo, al fine di una più corretta definizione della questione ivi esaminata. Innanzitutto, il del D.L. n. 331 del 1993, art. 41, comma 1, lett. a) dispone che costituiscono cessioni intracomunitarie non imponibili “le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti di imposta”. Il beneficio dell’esenzione dall’imposta per le cessioni intracomunitarie trova inoltre espressione nella direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, la quale all’art. 138 dispone che “Gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati fuori dal loro territorio ma nella Comunità, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni”.

Orbene, è consolidato il principio di questa Corte per cui l’onere della prova circa l’esistenza dei requisiti costitutivi del detto beneficio fiscale – i.e. onerosità della cessione, soggettività passiva del cedente e del cessionario nonchè la movimentazione del bene con partenza dall’Italia ed arrivo in altro Stato membro – grava sul cedente, il quale è tenuto a fornire elementi oggettivi che permettano di qualificare come “intracomunitaria” una cessione onerosa di beni tra due soggettivi passivi d’IVA, e specificamente a “dimostrare l’effettività dell’esportazione della merce nel territorio dello Stato nel quale risiede il cessionario o, in mancanza, di fornire adeguata prova della propria buona fede, ossia di aver adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere, per non essere coinvolto in un’evasione fiscale avendo riguardo alle circostanze del caso concreto” (Cass., Sez. V, n. 4045/2019).

Ne consegue che in tema di cessioni intracomunitarie il cedente ha l’onere di dimostrare l’effettività dell’esportazione della merce nel territorio dello Stato nel quale risiede il cessionario o, in mancanza, di fornire adeguata prova della propria buona fede, ossia di aver adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere, per non essere coinvolto in un’evasione fiscale avendo riguardo alle circostanze del caso concreto: ne deriva che, in caso di vendita con clausola “franco fabbrica”, il cedente ha diritto all’esenzione IVA solo ove fornisca la prova documentale rappresentativa dell’effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione o di “fatti secondari”, dai quali desumere la presenza delle merci in un territorio diverso dallo Stato di residenza, ovvero, se la documentazione sia in possesso di terzi non collaboranti e non sia acquisibile da altri soggetti, di aver espressamente concordato, nei contratti stipulati con vettore, spedizioniere e cessionario, l’obbligo di consegna del documento e, a fronte dell’altrui inadempimento, di aver esperito ogni utile iniziativa giudiziaria – Cass. n. 4045/2019 -.

Va ancora aggiunto che nell’ipotesi in cui l’acquirente benefici del potere di disporre del bene e non abbia assolto all’obbligo, previsto dal D.L. n. 331 del 1993, art. 41 conv. nella L. n. 427 del 1993, di trasportare lo stesso al di fuori dello Stato membro di cessione, ai fini del riconoscimento della esenzione dall’IVA a favore del fornitore è necessario – in conformità alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 21 febbraio 2018, Kreuzmayr) che lo stesso abbia agito in buona fede, impiegando la massima diligenza esigibile da un operatore accorto, valutata secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, rispetto alle circostanze del caso concreto, al fine di assicurarsi di non essere coinvolto in un’operazione finalizzata ad un’evasione delle imposte – cfr. Cass. n. 22333/2018 -.

Si è poi aggiunto che in tema di IVA, al fine di considerare un’operazione triangolare come cessione intracomunitaria non imponibile, l’espressione letterale “a cura” del cedente, contenuta nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. a) o quella corrispondente “per suo conto”, contenuta nell’art. 15, comma 1, della direttiva 77/388/CEE (sesta direttiva), vanno interpretate in relazione allo scopo della norma, che è quello di evitare operazioni fraudolente, le quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente – e cioè al di fuori di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente – decidere di esportare i beni in un altro “Stato membro” e, quindi, non nel senso che la spedizione o il trasporto devono avvenire in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest’ultimo, ma nel senso che è essenziale che vi sia la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, nella comune volontà degli originari contraenti, come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero – cfr. Cass. n. 4408/2018 -.

Orbene, la CTR per ritenere dimostrata l’esistenza di una cessione intracomunitaria ha affermato che il contribuente aveva “documentato che trattasi di cessione intracomunitaria e che l’affidamento di trasporto dei beni non necessita di formali contratti scritti ma possono essere anche solo verbali”, trovando giustificazione nella cospicua documentazione prodotta consistente in fatture, documento di trasporto e mezzo di pagamento.

Tale motivazione è errata in diritto, risultando in contrasto con i principi sopra riportati dalla giurisprudenza di questa Corte che hanno agganciato l’esistenza della cessione intracomunitaria alla rigorosa dimostrazione delle operazioni che, per converso, il giudice di merito ha desunto dall’esistenza di documentazione non meglio specificata, aggiungendo di ritenere non necessaria l’esistenza di formali “contratti scritti” potendo risultare anche solo verbalmente. Affermazioni che si caratterizzano per estrema genericità e, per altro verso, non in linea con i parametri giurisprudenziali sopra indicati.

Sulla base di tali considerazioni la sentenza impugnata, in accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, disatteso il secondo, va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Campania anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Campania anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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