Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30792 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 26/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 26/11/2019), n.30792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

M. s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Pieve Ligure 48

presso l’abitazione del Dott. D’Angelo Enrico e rappresentata e

difesa, per procura a margine del ricorso, dall’Avv. Carlo De

Stavola.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentato e difeso.

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 3940/49/2014 della Commissione

tributaria regionale della Campania, depositata il 16 aprile 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24 settembre 2019 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.

Fatto

RILEVATO

che:

la Commissione Tributaria Regionale della Campania (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.), con la sentenza indicata in epigrafe, decidendo sulla controversia promossa dalla M. s.r.l. avverso l’avviso di accertamento, relativo a IRES, IVA e IRAP dell’anno di imposta 2005, rigettava l’appello proposto dalla contribuente avverso la decisione di primo grado anch’essa sfavorevole;

in particolare, il Giudice di appello rilevava la legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria che aveva proceduto ad accertamento del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, desumendo l’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati dalla presenza di lavoratori in nero;

aggiungeva la C.T.R. che, per la giurisprudenza di legittimità, la congruità del reddito dichiarato agli studi di settore, come opposta dalla contribuente, non costituiva una valida prova contraria, essendo riservata all’Amministrazione finanziaria la scelta del metodo di accertamento e, quindi, ben potendo la stessa rinunciare ad avvalersi dei parametri determinati in base agli studi di settore, nel caso in cui le irregolarità riscontrate nella contabilità non impedivano di ricostruire gli elementi positivi e negativi di reddito;

avverso la sentenza M. s.r.l. ha proposto ricorso affidato a tre motivi;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo – rubricato: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, – la Società deduce l’errore commesso dalla C.T.R. nell’avere ritenuto legittimo l’accertamento impugnato, con malgoverno del regime delle presunzioni, laddove il fatto ritenuto certo (impiego di lavoratori in nero) era, invece, anch’esso frutto di presunzioni;

con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame da parte del Giudice di appello di fatti decisivi allo stesso prospettati, quali la natura artigianale dell’attività svolta (con la conseguenza che alcune incombenze accessoriè quali le sottoscrizioni delle bolle di consegna, venissero espletate da parenti, amici, avventori occasionali) e la mancata indicazione di rimanenze finali;

con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza laddove la C.T.R., pur riscontrando il grave difetto motivazionale di cui era afflitta la sentenza di primo grado aveva ritenuto di confermarla, formulando una nuova motivazione;

per ragioni di ordine logico giuridico delle questioni prospettate in ricorso, tale ultimo motivo va esaminato da primo ed è infondato;

costituisce, invero, ius receptum, (cfr., tra le altre, Cass. n. 13733 del 17/06/2014) che “il vizio di nullità della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione non rientra fra quelli, tassativamente indicati, che ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comportano la rimessione della causa al primo giudice, dovendo il giudice del gravame, ove ritenga la sussistenza del vizio, porvi rimedio pronunciando nel merito della domanda, senza che a ciò osti il principio del doppio grado di giurisdizione, che è privo di rilevanza costituzionale”;

il secondo motivo è, invece, inammissibile;

in primo luogo, perchè, con difetto di specificità, la ricorrente non indica, in seno al motivo, come e quando i “fatti” di cui si deduce l’omesso esame sarebbero stati ritualmente introdotti in giudizio, essendo, tra l’altro, il ricorso, con riguardo alla parte relativa alla ricostruzione del fatto e allo svolgimento del processo, predisposto, inammissibilmente attraverso la tecnica dell’assemblaggio delle copie fotostatiche di vari atti;

in ogni caso, peraltro, la ricorrente non specifica neppure la decisività dei fatti rassegnati, formulati, al contrario, in termini assolutamente generici di tal chè, in definitiva, il mezzo appare teso, nella sostanza, a riformulare, inammissibilmente l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito;

il primo motivo, prospettante violazione di legge, è infondato;

questa Corte (cfr. Cass. nn. 656 del 15/01/2014; 30803 del 22/12/2017; 3276 del 12/02/2018) è ferma nel ritenere che, in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purchè grave e precisa;

nel caso in esame, la valutazione effettuata dal Giudice di merito -il quale ha ritenuto idonea presunzione la presenza di lavoratori in nero, desunta dalla sottoscrizione di plurime bolle di consegna da parte di soggetti non indicati nel libro matricola della Società e dalla mancata congruità del personale dichiarato rispetto alle prestazioni fatturate – appare sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria onde la sua rilevanza, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità;

il ricorso va, pertanto, rigettato e la Società, soccombente, condannata alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese giudiziali liquidate, sulla base del valore della controversia e dell’attività difensiva espletata, come in dispositivo;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 5.000,00 oltre spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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